Sebbene a prima vista i vocaboli “mucido” e “surrettiziosembrino appartenere a sfere semantiche distanti – l’uno legato alla sfera sensoriale del deterioramento, l’altro a quella dell’inganno e della clandestinità – un’analisi più approfondita rivela una sottile e affascinante connessione. Entrambi i termini evocano qualcosa che si sviluppa nell’ombra, lontano dalla luce e dalla supervisione.
Il “mucido” si manifesta in assenza di aria e freschezza, proprio come un odore o un sapore sgradevole che affiora da ciò che è stato lasciato a sé stesso; il “surrettizio” opera nel segreto, la sua esistenza spesso rivelata solo quando i suoi effetti dannosi o non autorizzati vengono alla luce. In un certo senso, un’azione surrettizia può generare un’atmosfera “mucida”, un senso di degrado morale o di marciume che si insinua lentamente in una situazione, rendendola spiacevole e insostenibile.

Vediamo da vicino questi due aggettivi.

Mucido, /mù·ci·do/: agg. e s. m. [dal lat. mucĭdus «ammuffito», der. di mucus «muco»], non com. – Di cosa che, per essere stata in luogo umido, ha odore o sapore di muffa; ammuffito, stantìo.

Proviamo a scoprire il fascino di un vocabolo come “mucido”, una parola che evoca immediatamente una percezione sensoriale ben definita. Non si limita a descrivere qualcosa di semplicemente vecchio, ma porta con sé l’odore e il sapore inconfondibili di ciò che è stantio, guasto, intriso di un’umidità che favorisce la decomposizione e l’insorgere di muffe. È il sentore di una cantina chiusa da troppo tempo, il retrogusto sgradevole di un cibo mal conservato, ma può anche travalicare il suo significato letterale per dipingere atmosfere di degrado, idee superate, o situazioni che si trascinano in un’insopportabile e stanca monotonia. La sua sonorità stessa sembra quasi rievocare la sensazione di qualcosa di umido e appiccicoso, rendendo il termine particolarmente evocativo nel descrivere non solo un oggetto, ma anche lo stato d’animo o l’ambiente circostante.

Surrettizio, /sur·ret·tì·zio/: agg. [dal lat. surrepticius, der. di surripĕre «togliere via di nascosto», comp. di sub- e rapĕre «rapire»; «insinuarsi furtivamente» (comp. di sub- e repĕre «strisciare»)]. Di ciò che viene compiuto od ottenuto di nascosto, tenendone intenzionalmente all’oscuro chi dovrebbe o vorrebbe esserne a conoscenza.

Surrettizio è un aggettivo che descrive qualcosa fatto, ottenuto o introdotto in modo nascosto, fraudolento, o non autorizzato. Implica una condotta ingannevole, volta a celare la vera natura o origine di un atto o di un oggetto, spesso con l’intento di trarre un vantaggio illecito o di eludere norme e controlli; racchiude in sé l’essenza dell’inganno e della clandestinità.
Non si riferisce a una semplice azione furtiva, ma a un’azione compiuta con l’intenzione specifica di aggirare ostacoli, norme o la consapevolezza altrui, spesso per un tornaconto personale o per un fine poco limpido. Possiede una connotazione intrinsecamente negativa, indicando qualcosa che non dovrebbe esistere o che è stato ottenuto in maniera illegittima. Pensiamo a un’informazione introdotta in modo surrettizio in un documento, alterandone il significato senza che la modifica sia evidente; o a un’influenza esercitata surrettiziamente su una decisione, agendo nell’ombra. È la parola perfetta per descrivere la sottigliezza di un’azione subdola, un sussurro ingannevole, o l’insinuarsi silenzioso di un piano segreto, rendendola un termine prezioso per chiunque voglia esprimere con precisione l’idea di una frode velata o di un’azione celata con maestria.

Li conoscete? Li usate? Vorreste salvarli da un ipotetico oblio?