Le parole che scegliamo hanno il potere di definire il nostro pensiero, e termini come nitore e reprimenda, pur appartenendo a registri linguistici elevati, offrono uno spaccato interessante su concetti opposti ma complementari. Il nitore evoca l’idea di lucentezza, chiarezza e pulizia, sia in senso fisico (il nitore del vetro) che metaforico (il nitore di uno stile di scrittura), suggerendo l’aspirazione alla perfezione e alla purezza. La reprimenda, al contrario, non mira a un ideale di perfezione, ma piuttosto a correggere un’imperfezione o un errore. Derivando dal latino reprimĕre, che significa “tenere a freno”, indica un rimprovero formale e severo, un atto che riporta all’ordine e alla correttezza. In un certo senso, il nitore è un obiettivo da raggiungere, mentre la reprimenda è lo strumento per correggere ciò che si allontana da esso.

Vediamole in dettaglio.

Nitore, /ni·tó·re/:  s. m. [dal lat. nitor –oris, der. di nitēre «splendere»], lucentezza, nitidezza.

Il significato di nitore può essere distinto in due accezioni principali:

  • Significato letterale: si riferisce alla lucentezza, alla nitidezza e alla pulizia di qualcosa di materiale. Si può parlare del “nitore del vetro”, del “nitore dell’aria” o della “tovaglia”. In questo senso, è sinonimo di termini come lucentezza, splendore, limpidezza.
  • Significato figurato: si estende a concetti astratti, indicando chiarezza, eleganza e purezza formale. In questo caso, viene spesso utilizzato in riferimento allo stile di scrittura o di espressione, come nel “nitore dello stile” o “della prosa classica”.

Nitore è una parola che appartiene a un registro linguistico elevato e letterario. Raramente si trova nel linguaggio comune e quotidiano. È più frequente in contesti di scrittura formale, saggistica, critica letteraria o in descrizioni poetiche, dove si vuole enfatizzare la purezza e l’eleganza di un oggetto o di un’espressione.
Eppure è così bella e precisa, efficace e diretta che sarebbe da utilizzare anche nel linguaggio più comune.

Esempi di utilizzo:

  • “Il nitore del cielo dopo il temporale era impressionante.” (Senso letterale)
  • “Ammirava il nitore della sua prosa, priva di orpelli e ridondanze.” (Senso figurato)
  • “Il disegno si presenta con un nitore quasi fotografico.” (Senso letterale)
  • “La chiarezza espositiva e il nitore del pensiero sono qualità fondamentali per un oratore.” (Senso figurato)

Reprimenda, /re·pri·mèn·da/: s. f. [dal fr. réprimande (che è dal lat. reprimenda culpa «colpa da reprimere»), rifatto secondo la forma latina dal verbo latino reprimĕre ]: severo rimprovero, sgridata.
L’origine etimologica sottolinea l’idea di “tenere a freno” o “sopprimere” un comportamento, riflettendo perfettamente il significato attuale della parola.

Il termine reprimenda indica un rimprovero severo e formale, spesso espresso in modo pubblico o ufficiale. Non si tratta di una semplice critica, ma di un’azione mirata a correggere un comportamento giudicato scorretto o inadeguato.
Si differenzia da un semplice rimprovero per il tono e l’intenzione: la reprimenda è un atto più strutturato e ha lo scopo di porre fine a un’azione indesiderata, spesso con la minaccia di conseguenze più serie in caso di recidiva.

È una parola che si usa in contesti formali, burocratici o letterari. È meno comune nel linguaggio colloquiale, dove si preferiscono termini come sgridata o ramanzina, ma ha una forza espressiva molto più incisiva.

Che mi dite di queste due parole? Le usate? Hanno un fascino che le rende attuali? O dobbiamo lasciarle relegate in contesti ristretti?