Tornare a quando, María Elena Morán, Guanda 2025, traduzione di Roberta Arrigoni, pp. 224

Nel suo Venezuela sembra che ogni cattiva notizia debba essere o diventare vera, è solo questione di tempo.

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Nel panorama della narrativa contemporanea, in cui le storie di migrazione spesso si perdono in resoconti anonimi, il romanzo di María Elena Morán, Tornare a quando, emerge con una forza e una sensibilità rare. L’autrice non si limita a narrare le complessità della diaspora venezuelana (i rifugiati e migranti dal Venezuela sono più di sette milioni sparsi in diversi paesi del mondo), ma le cala in un contesto intimo e familiare che le rende tangibili e profondamente umane.

María Elena Morán crea un romanzo che intreccia la storia intima di una famiglia con la complessa realtà del Venezuela del 2018. Attingendo a elementi autobiografici, l’autrice esplora la tragedia di personaggi che, pur sopravvivendo alla crisi socioeconomica e alla radicalizzazione dei conflitti dopo la morte di Hugo Chávez, mantengono vivi i loro ideali e le loro speranze. La forza del libro risiede nella capacità di Morán di narrare una storia profondamente radicata nella realtà attraverso la prospettiva unica e intima di ciascun protagonista. Con una ottima padronanza del tempo, l’autrice costruisce una struttura narrativa che si sviluppa attraverso voci distinte, offrendo al lettore un affresco multidimensionale della vita in un Paese in bilico.

Il libro si apre con il fragore e la brutalità della violenza, immergendoci subito nel caos di Paracaima, in Brasile, al confine col Venezuela, dove centinaia di migranti venezuelani sono ammassati nei campi. Le fiamme, metafora di un’intera nazione in fiamme, bruciano non solo i beni dei migranti, ma anche le speranze di una vita normale. È in questo scenario che incontriamo Nina, un’anima tormentata in cerca di un lavoro che possa garantire la sussistenza della sua famiglia, un tempo appartenente al ceto medio (il padre professore universitario e la madre  segretaria presso lo stesso istituto) che, dal fuoco appiccato da un gruppo di facinorosi, cerca di salvare il salvabile, ma che ha già pagato un prezzo altissimo: la separazione dalla figlia adolescente, Elisa, e dalla madre, Graciela, rimaste a Maracaibo.

Il romanzo si dipana poi su più piani narrativi, seguendo le vite parallele di queste tre donne. La Morán, con una prosa elegante e scorrevole, naviga tra i ricordi e le speranze, tessendo un arazzo emotivo complesso e avvincente. Il dramma della migrazione non è solo la storia di un esodo fisico, ma anche un viaggio interiore, un percorso di riconciliazione con il passato e di ridefinizione del futuro. Elisa, la cui vita è stata sospesa dalla crisi, interpreta la fuga della madre come un abbandono, e questo conflitto, questa ferita interiore, diventa il motore di un’inaspettata maturazione. La sua lotta per la sopravvivenza – lotta a cui è costretta anche dallo stato di depressione in cui è caduta la nonna che non ha ancora superato il lutto per la morte del marito -, la forgiatura di nuove solidarietà e l’assunzione del peso della sua famiglia dimostrano una resilienza sorprendente.

Le madri possono essere avventurose quanto vogliono, ma non possono piantare in asso i figli per ricominciare tutto da zero. O meglio, possono farlo, ma a quel punto anche i figli possono inventarsi un’altra vita senza chiedere il permesso a nessuno. L’amore non lo comandi a distanza, figurarsi l’obbedienza.

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L’arrivo inatteso di Camilo, padre di Elisa e figura assente per gran parte della sua vita, aggiunge un altro strato di complessità. La sua riapparizione, intrisa di timida speranza, solleva interrogativi sulla natura della famiglia e sul significato del perdono. La Morán esplora con maestria questi temi, mostrando come il legame di sangue non sia sempre sinonimo di legame emotivo, e come la famiglia possa essere un concetto fluido, costruito e ricostruito dalle circostanze.

I personaggi principali

Nina è l’incarnazione del conflitto tra dovere e sopravvivenza. La sua fuga in Brasile, pur essendo un atto disperato per assicurare un futuro alla sua famiglia, è vissuta dalla figlia come un tradimento e un abbandono. Psicologicamente, Nina è divisa: da un lato, prova un senso di colpa paralizzante per aver lasciato i suoi cari; dall’altro, la speranza di un ricongiungimento la spinge a resistere. La sua resilienza si manifesta nella caparbietà con cui cerca di trovare una stabilità, ma il suo animo resta tormentato dai ricordi e dalla distanza. Le sue telefonate intermittenti in Venezuela, cariche di ansia e instabilità, sono la metafora perfetta di un legame che cerca disperatamente di non spezzarsi.

Elisa rappresenta la generazione che ha conosciuto la crisi fin dall’adolescenza. La sua psicologia è segnata da un precoce senso di responsabilità e da un rancore profondo verso la madre. L’abbandono percepito la costringe a crescere in fretta, assumendosi il peso della sussistenza di Graciela e di se stessa. Elisa non è una vittima passiva, ma una combattente che plasma la sua identità nel caos.
L’arrivo del padre, Camilo, aggiunge un’ulteriore complessità al suo mondo interiore: un misto di diffidenza e di timida speranza che la costringe a riconsiderare il suo passato.

Sai che la scelta di Elisa non è tra Nina e te; è tra il vuoto momentaneo di Nina e te, che non sei mai stato pienezza, ma oggi sei una promessa. Ce la farai per una volta a mantenerla?

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Camilo incarna la dualità del ritorno e dell’assenza. Figura enigmatica e irrisolta, proviene da una famiglia borghese, ma ha scelto di abbracciare la rivoluzione chavista, un’adesione che gli è costata un occhio in uno scontro. Questa ferita lo ha trasformato, suo malgrado, in un eroe agli occhi degli altri, un ruolo però lui che non ha mai accettato. La sua psicologia complessa è un groviglio di contraddizioni e segreti, e le ragioni della sua lunga assenza, che ha lasciato un vuoto profondo nella vita di Elisa, restano parzialmente irrisolte. La sua riapparizione, carica di incertezza e ambiguità, suggerisce un uomo in cerca di espiazione o che tenta di recuperare un pezzo di vita perduto. Inizialmente un’ombra del passato, il suo ritorno offre una speranza di guarigione, sia per lui che per Elisa, e la possibilità di una riconciliazione che, sebbene non completa, rappresenta comunque un passo essenziale verso il futuro.

Graciela, la nonna, incarna la nostalgia e la rassegnazione. La sua psicologia è dominata dal lutto per la morte del marito e da un senso di rinuncia alla vita terrena. Vive in un mondo sospeso, fatto di ricordi e di una passività quasi totale. La sua figura riflette il dolore di una generazione che ha visto il proprio Paese crollare e non ha più la forza di lottare. Nonostante la sua apparente fragilità, è la radice che tiene ancorata la famiglia a Maracaibo, il simbolo di un passato che non vuole o non può essere abbandonato. La sua presenza silenziosa è un peso per Elisa, ma anche un promemoria costante delle perdite che hanno plasmato la loro realtà.

La rovina dell’anima e della nazione

María Elena Morán si discosta dalla narrazione superficiale della tragedia umanitaria venezuelana per scavare in profondità nell’esperienza soggettiva dei personaggi. La rovina del Paese non è incarnata solo nelle file e nella fame, nei ripetuti black out, nell’inflazione spropositata che abbatte anche chi ha uno stipendio, ma in una nostalgia inarticolata e nella perdita di un’identità collettiva. I personaggi non fuggono solo dalla povertà, ma da una casa e da un progetto politico fallito, che si insinua nelle speranze frustrate di Nina e degli altri. La crisi non è vista come un’operazione esterna, ma come un crollo intimo e condiviso della Rivoluzione Chavista.

Attraverso questa lente, l’autrice riesce a mettere in discussione la polarizzazione manichea che spesso domina le analisi sulla realtà venezuelana, tracciando i fili che uniscono l’esperienza personale al destino di un’intera nazione. Il lutto per la perdita di un padre si fonde con la rovina materiale, che è anche il lutto per gli antichi splendori legati al petrolio e agli ideali di un nuovo socialismo.

La rovina è, in sintesi, il Paese come una “promessa zombie”. Un termine evocativo che, secondo Morán, descrive la morte in vita di una nazione, lo svuotamento di una geografia immaginaria che un tempo ha plasmato l’identità nazionale. Il Venezuela, in questa visione, è un luogo che “ha cessato di essere ciò che era ed è diventato una rovina”, che al contempo esiste e non esiste più. Da qui l’eloquenza del titolo, Tornare a quando, che richiama una dimensione temporale complessa e irrisolta.

Dunque, Tornare a quando è molto più di una storia di migrazione. È un’ode alla resilienza femminile, un’esplorazione della memoria e un inno alla speranza. Con uno stile letterario impeccabile e una trama avvincente, María Elena Morán ci invita a riflettere su cosa significhi davvero “tornare a casa”, e ci mostra che, anche tra le ceneri di una tragedia, si può trovare la forza di ricostruire la propria vita, un frammento alla volta.

Voci intrecciate: Il mosaico dei punti di vista

La scelta stilistica di María Elena Morán in questa opera è un elemento distintivo e cruciale: l’uso della seconda persona e l’alternanza dei punti di vista. La scrittura in seconda persona (“tu”, “voi”) è una tecnica narrativa poco comune ma di grande impatto. In questo romanzo, non è l’autore a parlare di un personaggio, ma è come se l’autore stesso si rivolgesse direttamente a lui, mettendolo al centro della narrazione.
L’uso del “tu” crea un legame immediato tra il lettore e il personaggio. Il lettore è invitato a calarsi nei panni di Nina, Elisa, Camilo e Graciela. Non leggiamo di loro, ma viviamo con loro. È un invito a “sentire” le loro emozioni, i loro pensieri e le loro paure in modo più profondo e personale.
La narrazione in seconda persona assume spesso il tono di un’interrogazione o di una riflessione interiore. È come se il personaggio stesse parlando a se stesso, ripercorrendo i propri ricordi, le proprie scelte e i propri rimpianti. L’autore, rivolgendosi al personaggio, ne svela le motivazioni più intime, le contraddizioni e le fragilità.

I capitoli che alternano il punto di vista dei quattro personaggi principali (Nina, Elisa, Camilo, Graciela) non sono solo una scelta strutturale, ma una strategia narrativa che completa l’uso della seconda persona. Ogni personaggio offre la propria prospettiva sugli eventi, sulle relazioni e sul passato. Questo crea una storia polifonica, dove la verità non è univoca, ma si costruisce attraverso la sovrapposizione e il confronto dei diversi ricordi. L’alternanza dei punti di vista riflette la natura frammentaria e soggettiva del ricordo. Ogni personaggio ha una sua versione degli eventi, influenzata dalle proprie emozioni, esperienze e ferite. Il lettore, leggendo i diversi capitoli, deve ricomporre un puzzle, un mosaico di memorie spesso contrastanti.
L’alternanza, inoltre, permette di esplorare a fondo la psicologia di tutti e quattro i protagonisti. Conosciamo i loro pensieri più reconditi, le loro speranze, i loro segreti e le loro motivazioni. Questo arricchisce la trama, rendendo le relazioni tra i personaggi più complesse e sfumate.
L’alternanza crea anche un meccanismo di suspense. Spesso un capitolo si conclude con un’informazione o una rivelazione che verrà ripresa e approfondita nel capitolo successivo, dal punto di vista di un altro personaggio. Questo spinge il lettore a continuare la lettura per scoprire tutti i pezzi del puzzle.

Qui potete leggere l’incipit.

Questo libro è per chi

Il romanzo di María Elena Morán è particolarmente indicato per chi ama le storie incentrate sulle dinamiche familiari, sui legami intergenerazionali e sui conflitti emotivi; il lettore troverà in questo libro una trama avvincente e personaggi splendidamente delineati. Il romanzo è un’ottima lettura anche per chi vuole approfondire la realtà venezuelana, al di là dei titoli dei giornali. Il modo in cui Morán intreccia la crisi politica con le esperienze intime dei personaggi lo rende un testo di grande valore sociale.
I lettori interessati a narrazioni di formazione e di sopravvivenza, come quella di Elisa, che affronta l’abbandono e trova la forza per maturare, saranno coinvolti emotivamente dalla trama.

Per la sua capacità di mescolare la storia di una famiglia con il destino di una nazione, Tornare a quando può essere accostato a opere di autori che esplorano la memoria, la migrazione e l’impatto della politica sulla vita quotidiana, come la Isabel Allende di La casa degli spiriti, o Chimamanda Ngozi Adichie in Metà di un sole giallo.

María Elena Morán è nata a Maracaibo nel 1985 ed è una scrittrice e sceneggiatrice venezuelana. Si è laureata in giornalismo presso l’Universidad del Zulia, ha studiato sceneggiatura presso l’EICTV di Cuba e ha conseguito un dottorato in scrittura creativa presso la Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul. Vive a San Paolo, in Brasile. Ha pubblicato racconti ed è autrice del romanzo Los Continentes del Adentro.
Tornare a quando, il suo primo libro pubblicato in Italia, ha vinto il Premio Café Gijón.