L’atlante dei posti sbagliati, di Dinaw Mengestu, NN Editore 2025, traduzione di Antonio Matera, pp. 256
Ci sono libri che, più che raccontare una storia, disegnano una mappa interiore. L’atlante dei posti sbagliati di Dinaw Mengestu è uno di questi: un romanzo che attraversa confini geografici e affettivi per esplorare la condizione di chi non trova mai il proprio “posto giusto”. Fin dal titolo, Mengestu dichiara il proprio territorio poetico: un atlante che non serve a orientarsi, ma a perdersi — e forse a riconoscersi nel disorientamento.
Il protagonista, Mamush, è un giornalista americano di origini etiopi che vive a Parigi con la moglie Hannah e il figlio. Quando riceve la notizia della morte di Samuel, l’uomo che lo ha cresciuto come un padre, torna a Washington per i funerali. Da questo ritorno prende avvio un viaggio nella memoria, tra le pieghe di un passato costellato di silenzi, omissioni e identità sospese.
Samuel, emigrato dall’Etiopia e tassista nella capitale americana, non è il padre biologico di Mamush, ma ne diventa la figura paterna attraverso la quotidianità, la cura, il mutismo discreto. La madre, rimasta a lungo una presenza sfuggente, contribuisce a quell’ombra che avvolge il passato del protagonista. Il lutto, allora, diventa per Mamush l’occasione di interrogarsi non solo sulla perdita, ma sull’origine: chi è, da dove viene, quali legami lo hanno realmente formato?
Mengestu, nato ad Addis Abeba e cresciuto negli Stati Uniti, scrive sempre a cavallo di più mondi. Nei suoi romanzi l’identità è una terra mobile, attraversata da confini che cambiano con gli sguardi. In L’atlante dei posti sbagliati Parigi, Washington e Addis Abeba non sono soltanto città, ma stati dell’animo: il luogo in cui si vive, quello in cui si è vissuti e quello da cui si proviene finiscono per confondersi.
Il “posto sbagliato” non è un luogo preciso, ma una condizione esistenziale. Mamush è figlio dell’emigrazione, portatore di una doppia — o tripla — eredità culturale che lo rende straniero ovunque. Anche il lettore si muove insieme a lui in una geografia capovolta, dove le mappe non servono a trovare ma a ricordare. L’atlante, in questo senso, è un libro di memorie, un inventario di dislocazioni.
La morte di Samuel innesca un movimento che è più interiore che fisico. Mamush viaggia nei ricordi, cerca negli spazi della memoria la traccia di un’origine perduta. Il romanzo alterna piani temporali, scivola fra passato e presente con un ritmo fatto di pause e silenzi. Mengestu non racconta per eventi, ma per risonanze: ogni incontro, ogni frammento di dialogo diventa un frammento di sé.
La memoria, qui, non restituisce la verità, ma costruisce un’identità possibile. Come in una mappa disegnata a mano, le coordinate non sono esatte, ma personali. Il viaggio diventa così un modo per rimettere insieme i pezzi, anche quando non combaciano.
Uno dei nuclei emotivi più forti del romanzo è il tema della paternità. Samuel, tassista e migrante, incarna una forma di paternità non biologica ma scelta, fragile e insieme tenace. Il suo silenzio è il modo in cui si trasmette un’eredità: quella della sopravvivenza, della resilienza, della dignità in un mondo che spesso non riconosce chi viene da altrove.
Attraverso di lui Mengestu riflette su cosa significhi davvero “avere un padre”: non tanto un’origine di sangue, quanto un punto di riferimento che aiuti a sopportare l’assenza. La famiglia, nel romanzo, non è mai un dato stabile, ma una costruzione affettiva, un equilibrio precario tra vicinanza e distanza.
La scrittura di Mengestu è limpida, poetica, ma sempre trattenuta. Non c’è enfasi, non c’è retorica del trauma: il dolore si manifesta nei silenzi, nei dettagli, nei piccoli gesti quotidiani. Ogni pagina restituisce una bellezza sobria, fatta di malinconia e tenerezza.
L’autore utilizza il linguaggio come uno strumento di scavo: raccontare diventa un modo per misurare la distanza tra ciò che è stato e ciò che si è diventati. Anche per questo, il romanzo non offre risposte definitive — ma piuttosto una forma di accettazione, un equilibrio possibile tra perdita e continuità.
Alla fine del viaggio, Mamush non trova un luogo in cui fermarsi. Ma forse è proprio questo il senso dell’atlante: imparare a convivere con la molteplicità, con l’idea che le nostre radici non siano mai ferme. Mengestu ci consegna una mappa fatta di erranze, un libro che parla di migrazione e identità, ma anche di amore e memoria.
L’atlante dei posti sbagliati non è un romanzo sull’esilio, ma sulla possibilità di sentirsi a casa anche nel movimento. Ogni posto, per quanto “sbagliato”, può diventare un punto di partenza. E ogni fine, come suggerisce il romanzo, può essere l’inizio di una nuova rotta.
Questo romanzo conquisterà chi ama le storie intime e riflessive, dove l’azione lascia spazio all’interiorità. È un libro per lettori di narrativa contemporanea d’autore, sensibili ai temi dell’identità, della memoria e della migrazione. Piacerà a chi ha amato Jhumpa Lahiri (Dove mi trovo), Igiaba Scego (La linea del colore), Chimamanda Ngozi Adichie (Americanah), Teju Cole (Open City) o Nadeesha Uyangoda (Acqua sporca) — autori che, come Mengestu, intrecciano geografie e biografie per raccontare lo sradicamento e la ricerca di un luogo da chiamare casa.
L’atlante dei posti sbagliati è, in definitiva, un romanzo che invita a guardare il mondo come una mappa imperfetta: ogni punto che sembra un errore può diventare la chiave per capire chi siamo.

Dinaw Mengestu è nato in Etiopia e cresciuto negli Stati Uniti. I suoi articoli e racconti sono apparsi su The New York Times, The New Yorker, Harper’s Magazine, Granta e Rolling Stone. È autore di tre romanzi, tutti inseriti nella lista dei “Notable Books” del New York Times: Tutti i nostri nomi (2014), Leggere il vento (2010) e Le cose che porta il cielo (2007), che gli sono valsi prestigiosi riconoscimenti come la Guggenheim e la MacArthur Fellowship. Nel 2017 è stato incluso nei “Best Young American Novelists” di Granta.


Ciao Pina, questo libro mi attrae per le emozioni, i racconti e lo stato di consapevolezza di chi scrive.
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Mi è piaciuto molto 👍🏻
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Prendo nota, grazie.
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Grazie a te 🤗
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Mi hai molto incuriosita, sento che il libro mi chiama. 😊
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Allora bisogna rispondere 😉😀
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D’obbligo 😊
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Che bello, non lo conoscevo ma sembra davvero interessante. Mi piace l’idea del viaggio interiore e di sentirsi un po’ fuori posto, credo che potrei apprezzarlo. Me lo segno, grazie del consiglio!
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Mi aveva molto incuriosito e lo avevo già proposto in un post dedicato alle novità. Ora che l’ho letto confermo le mie prime impressioni. Si tratta di un libro ben scritto, non banale, con una profondità di temi notevole, ben sviluppati attraverso i personaggi e le loro storie.
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Mi hai convinta 😊Mi piacciono i libri che sanno toccare temi importanti con delicatezza
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