La cena di Natale di Patricia Cornwell, Mondadori 1999, illustrato, pp. 86
Chi apre La cena di Natale. A tavola con Kay Scarpetta aspettandosi un omicidio tra l’antipasto e il dolce resterà sorpreso. Patricia Cornwell, regina del thriller forense, qui decide di fare un passo di lato, come un’attrice che esce dalla scena principale per raccontare cosa succede dietro le quinte. Niente indagini, niente cadaveri. Solo una tavola imbandita, il Natale alle porte e una manciata di personaggi amatissimi che, per una volta, respirano senza l’urgenza del crimine.
Il libro è un racconto natalizio ibrido, a metà strada tra la narrazione e il ricettario, incentrato su Kay Scarpetta e sul suo mondo privato. È una Cornwell diversa, più intima, che usa il cibo come chiave narrativa: ogni piatto diventa un modo per raccontare i legami, le abitudini, persino le manie dei personaggi.
La trama è semplice e volutamente domestica. Kay sta organizzando una cena di Natale insieme a Marino, Lucy e altri volti noti della serie. Tra una ricetta e l’altra, emergono ricordi, battute, piccoli attriti e affetti consolidati. A movimentare la serata arrivano anche due ospiti inattesi, che aggiungono una lieve tensione narrativa, mai drammatica, ma sufficiente a ricordarci che siamo pur sempre nell’universo Scarpetta.
Il vero cuore del libro, però, è la cucina. Cornwell dissemina il racconto di ricette legate ai personaggi, spesso presentate in modo narrativo più che tecnico, come se fossero confidenze sussurrate mentre si mescola una pentola.

Tra i piatti citati troviamo:
- il famigerato Eggnog di Marino, soprannominato con ironia “Cause of Death”, una bevanda natalizia potente quanto la sua personalità
- la Pizza delle feste di Kay Scarpetta, che riflette le sue radici italiane
- una zuppa di pollo “salutare”, confortante e rassicurante
- la Pasta Primavera contro il cattivo umore, che sembra più una terapia che un primo piatto
- il Chili dell’ultimo minuto di Marino e la sua omelette del New Jersey, rustiche e senza fronzoli
- lo stufato famoso di Kay, piatto simbolo della convivialità
- i Bloody Mary di Lucy, immancabili e poco innocenti
- una grigliata “amichevole” firmata sempre da Lucy
- e, per chiudere in dolcezza, i leggendari biscotti “criminosi” di Lucy, tanto buoni da meritare un nome da fedina penale compromessa
Non aspettatevi dosi precise o procedimenti rigorosi: molte ricette sono evocative, quasi impressionistiche. Servono più a creare atmosfera che a guidare davvero ai fornelli. E funziona. Perché La cena di Natale non vuole insegnarti a cucinare, ma farti sentire parte della tavolata.

E vale anche per i biscotti. Lucy prepara i suoi famosi Lucy’s Felonious Cookies, chiamati così proprio perché li cucina con un mix di ingredienti un po’ “ribelle” e soprattutto a occhio, senza misure precise come farebbe una pasticciera tradizionale. Lucy mescola burro fuso, zucchero bianco e zucchero bruno, poi uova, farina, un pizzico di lievito, un po’ di sale e vaniglia. A quel punto incorpora noci spezzettate, scaglie di cioccolato fondente e gocce di butterscotch. Anche per la cottura ha le sue idee: preferisce i biscotti ancora un po’ morbidi nel centro e li sforna prima dei dieci minuti di cottura consigliati.
Mise una capace pirofila sul tavolo e cominciò a tirar fuori zucchero bianco e bruno, farina, estratto di vaniglia, uova, sale e lievito in polvere.
Aveva dieci anni quando la zia le aveva insegnato a preparare quei biscotti trasgressivi. Ormai era diventato un fatto istintivo. Lucy faceva sempre le dosi a occhio, e non usava il contaminuti. Da un pezzo aveva imparato a semplificare le operazioni e a sporcare meno roba possibile. Anzitutto occorreva far fondere nella pirofila un po’ più di due etti di burro: ma che restasse ancora torbido. Poi vi aggiunse zucchero bruno e zucchero bianco, ottenendo un miscuglio denso. Quindi le uova e, seguendo i dettami dell’esperienza, ne impiegò due da unire a tanta farina sufficiente a ottenere un composto morbido e granuloso, né troppo umido né troppo asciutto. Non bisognava dimenticare il lievito: circa un cucchiaino accuratamente cosparso sulla superficie prima di unire sale e vaniglia a piacere. A quel punto l’impasto era freddo e Lucy vi incorporò, a mano, noci spezzettate e scaglie di cioccolato fondente. Sebbene la zia non fosse d’accordo, Lucy riteneva opportuno abbondare con questi ultimi ingredienti.
Accese il forno regolando il termostato sui centottanta gradi centigradi e unse leggermente la placca da pasticceria con olio di semi privo di colesterolo. Ebbe un piccolo sogghigno: zia Kay era una maniaca salutista.
«È perché hai sempre a che fare con gente morta» la canzonava spesso Lucy quando la zia si rifiutava di comperarle bibite o gomme da masticare o di portarla a mangiare nei fast food se non in casi di emergenza.
Durante i suoi numerosi soggiorni presso Kay, quando Lucy era ragazzina, nel frigorifero c’erano sempre state spremute di frutta fresca oltre a mele, banane, mandarini e uva bianca. Il popcorn al cinema non creava problemi, ma la zia bandiva rigorosamente i dolciumi, soprattutto le caramelle dure e vetrose che potevano andare di traverso. I lecca lecca, infilzati sui loro stecchini, erano proibiti. […]
I biscotti richiedevano una decina di minuti di cottura, ma Lucy li sfornava sempre con un filo di anticipo perché le piacevano ancora un poco umidi e morbidi al centro.
Li passò su un vassoio, con una spatola, e ne mangiò subito uno ancora caldissimo.
«Dio!» ansimò. «Impazzirete!» gridò alle amiche. «Sono buoni da morire.»
Sedute una accanto all’altra davanti al fuoco, con i guizzi delle fiamme che si riflettevano sui loro volti, li tuffarono nei bicchieri colmi di Bailey’s Irish Cream.
Dal punto di vista letterario, il libro è una pausa consapevole nella serie di Scarpetta. Un testo minore solo in apparenza, che invece rivela quanto Cornwell conosca i suoi personaggi e sappia farli vivere anche lontano dalla tensione del thriller. È una lettura breve, calda, perfetta per chi ama Kay Scarpetta non solo come professionista implacabile, ma come donna, amica e padrona di casa.
In definitiva, La cena di Natale è un libro che profuma di spezie, risate e confidenze serali. Un regalo per i fan storici e una curiosità letteraria per chi vuole vedere cosa succede quando il giallo resta fuori dalla porta… e dentro si apparecchia.
E adesso tocca a voi: quale di queste ricette vi stuzzica di più e vi piacerebbe provare durante le feste? Raccontatecelo nei commenti!



Io scelgo i biscotti. 🙂
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Sono molto buoni!
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Mi sembra che questo libro sottolinei un aspetto che anche a me piace della cucina, e per spiegare il quale vorrei raccontare una storia.
Sono piuttosto bravo a cucinare, e mi piace farlo. Un mio amico una volta mi ha detto: dovresti andare a Masterchef. Ed io gli ho risposto che non volevo farlo, intanto perché non credo di essere abbastanza “professionale” (né voglio esserlo), ma soprattutto perché quel programma incarna un’idea della cucina che è agli antipodi rispetto alla mia: cucinare non è una gara, è un atto d’amore.
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Concordo, si cucina sempre per qualcuno e di solito lo si fa per regalare una coccola, delle attenzioni, o per condividere un momento piacevole.
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Io scelgo la pizza delle feste, la pasta primavera, la grigliata e da golosona di dolci quale sono i biscotti, 😋.
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Menù completo 😉😅 una bella cena di Natale
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Prendo nota, grazie.
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Anche per lo slurp.
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Buone feste!
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