Se vogliamo conoscere il senso dell’esistenza, dobbiamo aprire un libro: là in fondo, nell’angolo più oscuro del capitolo, c’è una frase scritta apposta per noi.
La citazione è tratta da Il sogno della camera rossa (1986), uno dei saggi più intensi di Pietro Citati, dedicato alla grande tradizione del romanzo e al rapporto intimo tra lettore e testo. In queste parole si condensa l’idea citatiana della letteratura come luogo di rivelazione silenziosa, non proclamata, quasi nascosta, dove il significato della vita non si offre in formule solenni ma si lascia scoprire da chi legge con attenzione e disponibilità interiore. Il libro, per Citati, non è mai un oggetto neutro, ma un interlocutore segreto che parla a ciascun lettore in modo diverso, nel punto più inatteso e appartato della pagina.
Critico letterario tra i più autorevoli del Novecento italiano, Citati ha saputo unire erudizione e immaginazione, rigore interpretativo e scrittura visionaria, restituendo ai grandi testi del passato una vitalità contemporanea. La sua opera è attraversata dalla convinzione che la letteratura non spieghi il mondo, ma lo illumini a tratti, come una frase trovata per caso che, improvvisamente, sembra scritta proprio per noi.

Raccolta di saggi letterari di Pietro Citati. Come un foltissimo e colorato romanzo, con molti luoghi, tempi, intrecci, avventure, dove dei personaggi discorrono tra loro intorno al tutto e al nulla. L’autore è un cuoco, che invece di svelare ai suoi commensali l’arte di preparare il bouef à la mode, uno sformato di spinaci o un coniglio al limone, spiega ai suoi lettori i segreti della letteratura: oppure è un viaggiatore, che gira tra i libri come potrebbe girare in un giardino o in una città, ammirando qui un tramonto, lì la facciata di una chiesa o un palazzo roso e dorato dal tempo. Un libro frivolo e metafisico, melanconico e lieto, limpido e ombroso, leggero e vertiginoso, intessuto in parti eguali di miti e di aneddoti, di verità e di finzioni.
Citati intitola il suo libro Il sogno della camera rossa riprendendo deliberatamente il titolo del grande romanzo cinese del Settecento (Hong lou meng, attribuito a Cao Xueqin) perché vede in quell’opera una metafora perfetta della letteratura stessa. Il capolavoro cinese racconta un mondo chiuso, raffinato e fragilissimo, destinato a dissolversi, dove sogno e realtà, desiderio e perdita, memoria e illusione si intrecciano senza confini netti. È proprio questa atmosfera che affascina Citati: la letteratura come spazio sospeso, una “camera rossa” in cui l’esperienza umana viene osservata, trasfigurata e infine consumata dal tempo.

Nel saggio, Citati non si limita a omaggiare un classico esotico, ma lo assume come chiave simbolica per leggere il romanzo europeo e occidentale: anche qui i personaggi vivono in mondi intensi e luminosi che, come nel Sogno della camera rossa, sono destinati a svanire. Il titolo segnala dunque una parentela profonda tra tradizioni lontane e afferma una delle convinzioni centrali di Citati: i grandi libri, al di là delle epoche e delle culture, raccontano sempre la stessa storia, quella della bellezza che nasce sapendo già di dover finire.

