Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Fumo e ceneri

INCIPIT

Capitolo primo
Hic sunt leones

A ripensarci, non cessa di stupirmi come per gran parte della mia vita la Cina sia stata per me un enorme spazio vuoto. Nella landa sconfinata che nelle carte geografiche aleggiava sopra l?india avrebbe potuto esserci scritto: Hic sun leones.
Si dà il caso che io sia nato nel Bengala Occidentale, uno stato indiano che confina con la Cina, e cresciuto in una città, Calcutta (ora Kolkata), abitata da una piccola ma significativa comunità cinese. Eppure non provavo il minimo interesse per la storia, la geografia o la cultura cinese. E nemmeno, sebbene abbia sempre amato viaggiare, mi passava per la mente di visitare, ad esempio, lo Yunnan, anche se in linea d’aria il suo capoluogo, Kunming, non dista da Calcutta più di New Delhi. Per qualche ragione Kunming sembrava appartenere a un altro mondo, separato dal mio non solo da un’imponente catena montuosa, ma da un Himalaya della mente.
Solo nel 2004, quando comincia a scrivere il romanzo Mare di papaveri, pensai per la prima volta di andare in Cina. I personaggi principali del libro – la coppia Deeti e Kalua – si imbarcano per Mauritius nel 1838 come lavoratori a contratto. Essendo questo il nucleo della narrazione, sapevo che le mie ricerche mi avrebbero portato a Mauritius – come in effetti accadde – ma non che avrebbero finito per condurmi anche in un’altra direzione, del tutto inattesa. Approfondendo le ricerche, mi resi conto che lo scenario della storia comprendeva non solo l’India e Mauritius, ma anche lo specchio d’acqua che divide (e collega) i due paesi: l’Oceano Indiano.
Scrivere di mare non è la stessa cosa che scrivere di terraferma. Gli orizzonti sono più vasti e all’ambientazione manca quella fissità che consente ai romanzieri di trasmettere un “senso del luogo”. E se l’azione si svolge principalmente su una nave, come la Ibis, la goletta di Mare di papaveri, si diventa molto consapevoli delle correnti, dei venti e dei flussi commerciali. Col proseguire delle ricerche, rilevai che, nel periodo storico di cui stavo scrivendo, la prima metà dell’Ottocento, il grosso del traffico marittimo non era fra l’India e l’Occidente, come avevo immaginato, ma fra l’India e la Cina – o meglio, uno specifico punto della Cina, una città chiamata «Canton».
In passato mi ero imbattuto spesso nel nome di quella città, ma non avrei saputo dire con precisione dove si trovava. Ora, mentre mi imbevevo di letteratura nautica ottocentesca, la mia curiosità andava aumentando: che cosa aveva Canton di tanto speciale che il solo pensiero di spiegare le vele in quella direzione bastava a mandare in visibilio marinai e viaggiatori?

Amitav Ghosh