Ogni pomeriggio il buio totale calava un po’ prima, facendo somigliare la valle a una mano che si chiudeva lentamente. La cosa peggiore erano i giorni di pioggia infinita, la stalla e il capanno che si dissolvevano nel grigiore insieme al bosco. (..) Una mattina, non molto dopo il funerale, Slidell era venuto a chiudere le finestre con le assi. Si era sentita come se l’avessero sbarrata per sempre dentro quella baracca di legno.
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La terra d’ombra, di Ron Rash, La Nuova Frontiera 2022, traduzione dall’inglese (Stati Uniti) di Tommaso Pincio, pp. 256immagine di copertina di Luca Tagliafico

All’interno della Box 13 di Romanzi.it dedicata a La Nuova Frontiera ho trovato questo bel romanzo scritto da Ron Rash, autore ormai divenuto un caposaldo della produzione letteraria statunitense. Molti lo descrivono come un autore del Sud, ma seppure senza dubbio esprima e racconti con molta precisione – storica e culturale, oltre che paesaggistica – certi luoghi, le sue storie superano il mero confine geografico per allargarsi ad un orizzonte più vasto. Per certi versi ci ritrovo molto di uno scrittore nostrano che racconta come pochi sanno fare le genti di montagna, parlo di Claudio Morandini, autore valdostano che mescola nei suoi romanzi l’ambientazione precisa e vibrante con i caratteri – e va da sé che siano legati tra loro – degli abitanti, il tutto condito in modo ironico e talvolta inquietante con elementi di realismo magico. Che guarda caso troviamo anche in Rash.

Le vicende narrate si svolgono in una valle stretta e scura, dominata da un dirupo che incombe e getta ombra: una terra d’ombra che richiama superstizioni ancestrali, e che gli abitanti ritengono sia infestata da presenze maligne, soprannaturali. Come se su tutta la valle aleggiasse una inquietante oscurità pronta a inghiottire tutto e tutti, come a parere di popolo ha fatto in passato. I nativi americani non si stabilirono mai in quel pezzo di terra, e i primi coloni europei che vi giunsero morirono presto dopo il loro arrivo. Nel Prologo veniamo a sapere che un giorno la valle sarà inghiottita dall’acqua e diventerà un lago artificiale.
Siamo agli inizi del Novecento, più precisamente nel 1918 quando la Grande guerra infuria in Europa. Laurel Shelton vive in una terra povera, mal sfruttata, emarginata, con le sue colline scoscese e le valli profonde e nebbiose. I suoi genitori sono morti, il fratello Hank è partito soldato di una guerra lontana, ed è sì tornato vivo, ma ha perso una mano. Laurel è comunque grata che abbia fatto ritorno ed è felice di prendersi cura di lui. L’unico aiuto su cui i fratelli possono contare è un uomo di ottantuno anni di nome Slidell, che vuole essere utile a qualcuno nella sua vecchiaia.
Nella vicina cittadina la gente è superstiziosa, si dice che la valle sia infestata e, dopo la morte di entrambi i genitori di Laurel, lei viene considerata uno spirito maligno, forse una strega: la voglia rossa che porta sulla pelle pallida del volto è additata come un simbolo del demonio. A differenza del fratello che, avendo combattuto è trattato con rispetto, Laurel viene ostracizzata dalla comunità.
Il destino di Laurel cambia per sempre quando scopre un uomo ferito nella loro terra. Attirata dal suono del flauto, la ragazza trova un uomo gravemente ferito dalle api e decide di soccorrerlo. Lo sconosciuto si chiama Walter, come apprende dopo aver trovato un pezzo di carta che dice il suo nome e lo diagnostica come muto. Walter ha recentemente lasciato una specie di campo e sta cercando di prendere un treno per tornare a New York. Laurel e Hank sono disposti a curarlo e ad aiutarlo a prendere il treno in cambio di una mano con i lavori della fattoria.
In città c’è un reclutatore militare, il sergente Chauncey Feith. A differenza di molti uomini della regione partiti per il fronte, Chauncey è rimasto in città perché afferma di essere impegnato nel reclutamento per lo sforzo bellico. È un ciarlatano che fa grande mostra di essere un patriota. Uno dei suoi passatempi preferiti è andare alla biblioteca locale per vietare tutti i libri scritti in tedesco.
Nonostante Laurel implori Walter di restare con lei, lui rifiuta deciso a partire in treno ma quando si reca alla stazione e vede la sua faccia su un avviso di ricercato, è costretto a rimanere alla fattoria. Col passare del tempo Walter e Laurel si innamorano e vivono felicemente, a dispetto di tutto. Un giorno Laurel porta la medaglia che lui ha cercato di seppellire a un professore che sa leggere il tedesco. Il professore dice che “Vaterland” impresso sulla medaglia significa “patria”. La Vaterland era una nave di New York che fu abbandonata quando la Germania dichiarò guerra all’Europa. I tedeschi a bordo erano liberi di vagare per gli Stati Uniti, ma quando gli Stati entrarono nella prima guerra mondiale nel 1917, tutti i passeggeri furono portati in un campo di contenimento nella Carolina del Nord. Con queste informazioni, Laurel affronta Walter che ammette di essere davvero un tedesco bloccato in America. Nonostante questa rivelazione, i due desiderano ancora stare insieme. Infatti, dopo la guerra, vorrebbero recarsi a New York e sposarsi.
Nel frattempo, Chauncey sta fomentando sentimenti anti-tedeschi nella cittadina. Quando l’avviso di ricercato con stampato il volto di Walter viene scoperto, la situazione precipita e Laurel si rende conto che il pericolo è reale, al di là di ogni tipo di maledizione mitica. In un crescendo di tensione, il culmine e le conseguenze lasciano senza fiato.
Tra i personaggi di questo romanzo così toccante spicca Laurel, dolce e sensibile ragazza che a dispetto di tutto e tutti cerca di vivere la sua vita. Rimasta orfana, può solo contare sul fratello che, anche se mutilato, è tornato dal fronte. Quando si innamora di Walter sta solo cercando la felicità, per niente condizionata dalla vera identità dell’uomo, ma piuttosto grata dell’amore che riceve da lui. Laurel rappresenta la resilienza di una donna che deve combattere contro i pregiudizi e le superstizioni, contro la malafede e la violenza degli abitanti accecati dall’odio, fomentati da un individuo bieco e meschino.
Mai pesante nella sua scrittura, sempre brutalmente onesto e diretto, Ron Rash ci parla di pregiudizio. Un male in cui, che lo si ammetta o no, siamo tutti immersi. Siamo spesso ostaggio di opinioni – razziali, religiose, sessuali e politiche – profondamente radicate e non facili da cancellare. Non è l’unico tema del romanzo ma certo ne è il perno centrale, seguito e alimentato dall’ignoranza e dalla superstizione.
L’ambientazione del romanzo non è una semplice correlazione tra il carattere degli abitanti e le asperità dei luoghi; come Rash ha dichiarato, in questa opera emerge il concetto che “Il paesaggio è destino”, al pari di un retaggio ancestrale, vincola le persone.
Laurel è letteralmente soffocata dalle montagne che incombono su di lei. (..) sono un memento costante della caducità umana. E’ una questione fisiologica.
cit. intervista a L’indice dei libri del mese
Con grande precisione nella ricostruzione storica dell’America rurale di inizio Novecento e nelle descrizioni dei paesaggi, Rash è particolarmente bravo a catturare quella terra d’ombra in cui i fantasmi ultraterreni si mescolano con la semplice meschinità umana, fino a comporre un’opera d’amore e tenebra, i due volti della umana passione.
Qui potete leggere l’incipit del romanzo.
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Ron Rash (1953, Chester) è autore di sette romanzi — Un piede in paradiso (2002), Saints at the River (2004), The World Made Straight (2006), Serena (2008), The Cove (2012), Above the Waterfall (2015) e The Risen (2016) —, sei raccolte di racconti e quattro libri di poesia. Scrittore di enorme prestigio negli Stati Uniti, dove è considerato un classico della letteratura del sud, le sue opere sono state tradotte in numerose lingue. Nel 2010 ha vinto il Frank O’Connor International Short Story Award mentre nel 2007 è stato finalista del PEN/Faulkner Award. Due volte vincitore del O. Henry Prize attualmente insegna alla Western Carolina University e vive a Clemson, nella Carolina del Sud.


