Ciononostante, tutti e tre erano segnati da una profonda e remota ignoranza, per la privazione della conoscenza della vita al di là di quelle mura.

La famiglia, di Sara Mesa, La Nuova Frontiera edizioni 2024, traduzione dallo spagnolo di Elisa Tramontin, pp. 224

La famiglia è un romanzo che tiene il lettore in costante tensione, a volte trasmettendo una sensazione di claustrofobia che diventa desiderio di fuga. Un libro che ogni tanto bisogna chiudere e lasciare per qualche ora, prima di riprenderlo in mano. Perché la famiglia, concetto che siamo abituati ad associare a valori positivi, può invece diventare un luogo da incubo. Ancora più doloroso se quello che avviene tra le mura di una casa che sembra non avere nemmeno finestre è una violenza psicologica, una continua e tenace sopraffazione, l’esercizio del potere derivante da un ruolo, quello di pater familias interpretato con assoluto arbitrio e una certa dose di ossessività compulsiva.

Il nuovo romanzo di Sara Mesa racconta la storia del “Progetto” di Damián e Laura, genitori di tre figli, Rosa, Damián, Aquilino, e Martina – una nipote da loro adottata. Damián è il padre e viene presentato come un uomo dalle idee fisse, maniacali, ossessionato dall’integrità morale, ammiratore della “grande anima” di Gandhi che indica ai figli come modello di rettitudine e disinteresse per gli aspetti materiali della vita. Lascia intendere di essere un avvocato, si vanta di prodigarsi in attività di beneficienza, stabilisce cosa sia giusto e cosa no. Col passare del tempo, però, l’apparenza monolitica della famiglia si va sgretolando e l’oppressione che si avverte al suo interno finirà per creare vie di fuga, codici clandestini, occultamenti, finzioni e menzogne. 

Raccontato dal punto di vista dei diversi componenti della famiglia e di alcuni personaggi esterni, il romanzo diventa corale; tra i quattordici capitoli troviamo spesso la voce dei bambini della famiglia, facendo così emergere il punto di vista infantile, che spesso si interroga su questioni e comportamenti degli adulti che risultano incomprensibili, e che, allo stesso tempo, creano una sensazione di disagio e di ansia.
La narrazione copre diversi decenni attraverso le cui testimonianze batte il desiderio di libertà e la critica ai pilastri che tradizionalmente hanno sostenuto, e tuttora sostengono largamente, l’istituzione familiare: autoritarismo e obbedienza, vergogna e silenzio. La famiglia così intesa, come ambiente sottomesso, scomodo e opprimente, è la vera protagonista, insieme alla solitudine.

Attraverso questa storia potente l’autrice ritrae quella forma unica di infelicità che alcune famiglie sanno creare così bene; Mesa introduce il lettore nel racconto chiedendogli, anzi, incitandolo a guardare bene la casa (vedi INCIPIT), e fissare nella memoria gli spazi in cui tutto presto andrà in scena. Perché la famiglia è, in senso lato, anche un luogo fisico, lo spazio ristretto e condiviso in cui devono muoversi. E diventa davvero difficile mantenersi sereni quando vieni obbligato a trascorrere i pomeriggi chiuso in casa senza potere andare a giocare con gli altri bambini, senza poterti chiudere in camera a fare quello che ti va, foss’anche solo leggere o scrivere un diario, o chiacchierare con tua sorella, figuriamoci guardare la TV, o leggere un fumetto.

Padre e – per effetto della sua sottomissione – Madre decidono tutto riguardo alle vite dei loro quattro figli. In casa non è ammessa la televisione, in quanto foriera di messaggi errati ed esempi fuorvianti; ricevere e fare regali è disdicevole e segno di materialismo; i ragazzi non possono chiudersi nelle loro stanze ma devono riunirsi, con i genitori, nel salotto e lì dedicarsi a ciò che vogliono, sotto la stretta sorveglianza e con la totale ingerenza di Padre. Tra loro non può, non deve esserci spazio per i segreti. Le differenze vengono soppresse, le parolacce sono vietate e anche le domande scomode sono vietate. Neppure Madre ha la possibilità di decidere: si sottomette, per ammirazione, reverenza o terrore, ai disegni del marito.

Il presente familiare si alterna ad alcune scene del passato della coppia, agghiaccianti per la naturalezza della violenza perversa; e innesca una serie di domande sul futuro e sul disagio che può scaturire dall’essere cresciuti in una famiglia così. Di quali ricordi potranno nutrirsi le vite dei figli, quali persone diventeranno da grandi, di quali ferite e cicatrici saranno portatori.

La scrittura – magnetica, oscura e psicologicamente tagliente – e il montaggio delle scene rendono l’atmosfera molto tesa; c’è sempre la sensazione che qualcosa di imminente stia per esplodere in ciascuno dei personaggi, anche mentre svolgono azioni quotidiane.

La famiglia è un’opera per nulla compiacente nei confronti del lettore; le atmosfere opprimenti e i personaggi inquietanti riflettono scenari contemporanei, denotati da contraddizioni, ambiguità, chiaroscuri; e l’autrice è brava a procedere con uno stile sobrio, senza eccedere in compiacimenti o scivolare in derive melodrammatiche, senza impartire morali, ma, piuttosto, esplorando i conflitti, addentrandosi in territori scomodi, oscuri e inquietanti, senza paura, realizzando un’opera illuminante, e affidando al lettore il compito di trovare delle risposte.

Per approfondire, vi consiglio l’intervista all’autrice di Laura Marzi su Il manifesto.

Sara Mesa è nata a Madrid nel 1976, ha pubblicato Cuatro por cuatro, finalista del premio Herralde, Cicatrice (Bompiani, 2017), premio El Ojo Crítico de Narrativa, Cara de pan, la raccolta di racconti Mala letra e la novella Silencio administrativo. Il primo romanzo pubblicato da La Nuova Frontiera, Un amore, è stato selezionato nella cinquina finalista del Premio Strega Europeo 2022.