Il giardiniere e la morte, di Georgi Gospodinov, Voland 2025, traduzione di Giuseppe Dell’Agata, pp. 208

Di cosa parliamo quando parliamo della morte? Della vita ovviamente, di tutta la sua incantevole fugacità.

Georgi Gospodinov è un autore che non ha paura di interrogarsi sul tempo, sulla memoria e sull’assenza, e Il giardiniere e la morte, ne è un’ulteriore, affascinante dimostrazione. In questo breve ma denso romanzo, l’autore bulgaro ci conduce in un viaggio intimo e metaforico, dove la morte non è una fine, ma un catalizzatore di vita, un’ombra che definisce il contorno di ciò che resta. Il romanzo di Gospodinov è un continuo dialogo con l’idea di conclusione, un punto di incontro precario tra ciò che è concreto e ciò che trascende la materia, tra il vissuto corporeo e l’elevazione lirica. L’autore, riprendendo la celebre domanda di Raymond Carver, ed esplorando la dimensione epica dei cori della tragedia greca, innesta la metafora del giardino, che il padre cura con metodo e dedizione e che continuerà ad esistere e dare frutti anche dopo la sua scomparsa, così come la memoria potrà continuare a fornire ricordi, parole, immagini.

L’immagine epica che l’autore evoca quando dice che il padre fa l’elenco delle sue malattie “come Omero elenca le navi nel secondo canto dell’Iliade, o come nel diciottesimo descrive la forgiatura dello scudo di Achille” vuole definire un’epica della vita quotidiana, degli sforzi e delle prove che siamo chiamati a sostenere anche nelle vite “normali”, nelle piccole o grandi tragedie familiari che occorrono.

Mio padre era giardiniere, ora è giardino.

Il protagonista è lo stesso autore che si trova ad affrontare la perdita di una persona cara, il padre, il giardiniere appunto. Non c’è una trama complessa o un susseguirsi di eventi eclatanti; piuttosto, il romanzo si sviluppa attraverso riflessioni, frammenti di ricordi, e gesti quotidiani che assumono un significato profondo. Il Nostro racconta il giardiniere, la sua totale simbiosi col suo orto e la cura delle piante, la sua filosofia del “niente di grave“, il suo passare sopra le occasioni perdute come un destino tra tanti che poteva capitare, e così facendo sembra trovare nella natura un eco della vita che se ne va – percorrendo metafore come “la morte è un ciliegio che matura senza di te” – e, al tempo stesso, un terreno fertile per elaborare il lutto. Racconta anche uno spaccato di Bulgaria, soprattutto in quel passaggio cruciale, a cavallo del 1989, quando il regime sovietico è crollato, muovendosi però a zig-zag su questo confine temporale, lo stesso andamento che caratterizza il suo affabulare, un circolo e ricorcolo di tempo, avanti e indietro, presente e memoria.
La morte non è personificata in modo classico, ma piuttosto come una presenza-assenza che continua a influenzare il reale. È in questa sottrazione che il giardiniere riscopre il valore delle cose, dei legami, e della resilienza della vita stessa.

Lo stile di Gospodinov è immediatamente riconoscibile per la sua essenzialità e la sua profondità. La prosa è chirurgica, quasi rarefatta, ma ogni parola è scelta con cura, portatrice di molteplici significati. L’autore utilizza spesso un linguaggio poetico e immagini evocative che si imprimono nella mente del lettore. Le frasi brevi, talvolta aforistiche, si susseguono in un ritmo pacato che invita alla riflessione. Non ci sono orpelli stilistici superflui; Gospodinov mira dritto al cuore della questione, esplorando il dolore e la consolazione con una delicatezza sorprendente. Questa asciuttezza formale non è indice di freddezza, bensì di un’emozione contenuta e autentica che si manifesta tra le righe.

Per chi ha già avuto modo di apprezzare Gospodinov, Il giardiniere e la morte si inserisce perfettamente nel suo percorso autoriale. Si ritrovano qui temi cari all’autore, come il rapporto con la memoria e il passato, centrali in opere acclamate come Fisica della malinconia e il più recente Cronorifugio (vincitore del Premio Strega Europeo 2021 e del Booker Prize 2023). Se in Fisica della malinconia la memoria era un labirinto di storie personali e collettive, e in Cronorifugio si esplorava l’ossessione per il passato e i suoi tentativi di replicazione, ne Il giardiniere e la morte l’attenzione si sposta sull’elaborazione dell’assenza come parte integrante del ricordo. Il tempo, non più lineare ma ciclico, scandito dalla crescita e dalla decadenza delle piante, diventa un ulteriore strumento per comprendere il lutto. L’autore continua a indagare la fragilità dell’esistenza e la capacità umana di trovare senso anche nel vuoto, sempre con quella peculiare malinconia agrodolce che lo contraddistingue.

Gospodinov, con la sua abilità magistrale, impiega la scrittura come strumento primario per trasmutare il dolore in un paesaggio interiore, e il lutto stesso in una forma di linguaggio. La sua opera è un tentativo di dare concretezza e tangibilità alla morte, persino nei suoi aspetti più crudi e lontani da ogni lirismo, come la freddezza dei referti medici, che con il loro linguaggio tecnico gli fanno dire che “la prima autopsia, ancora da vivo e senza anestesia, la fa la lingua“. L’autore bulgaro sembra volerci suggerire che, di fronte a malattie terminali o alla nuda realtà della fine, non esiste un’estetica del morire, ma solo la sua ineluttabile e spesso disarmante verità.

La penna di Gospodinov, autentico maestro della parola, diventa il mezzo per convertire il dolore più profondo in un panorama narrativo, e la sofferenza del lutto in una nuova grammatica espressiva. L’autore si sforza di rendere la morte palpabile e definita, anche quando si manifesta in forme tutt’altro che poetiche. È un monito, quello di Gospodinov, a riconoscere che per le malattie terminali e per l’atto finale dell’esistenza, non c’è spazio per un’estetica preconfezionata del morire.

Il giardiniere e la morte è un romanzo che non si rivolge a chi cerca una trama avvincente o un susseguirsi di colpi di scena. È, piuttosto, un’esperienza letteraria per il lettore che apprezza la prosa raffinata, la riflessione intima e l’esplorazione delle grandi domande esistenziali. È ideale per chi ama gli autori che sanno scavare nell’animo umano con delicatezza e senza retorica, offrendo spunti di meditazione sul lutto, sulla natura, e sul ciclo ininterrotto della vita e della morte. Se avete amato la sensibilità di artisti come Pëtr Il’ič Čajkovskij (sebbene in ambito musicale, il riferimento è alla malinconia), o l’essenzialità di certi narratori mitteleuropei, questo romanzo di Gospodinov saprà toccarvi nel profondo. È un libro da leggere lentamente, assaporando ogni frase, lasciandosi avvolgere dalla sua atmosfera sottile e potente.

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Anche qui fa la sua comparsa Gaustìn, un personaggio ricorrente e significativo nelle opere di Georgi Gospodinov. Non è una figura univoca o facilmente definibile, ma piuttosto un alter ego dell’autore, una sorta di “vagabondo del tempo” e un “anarchico nel tempo”.

Appare in diverse opere, tra cui la raccolta di poesie e prose poetiche Lettere a Gaustìn e il romanzo acclamato Cronorifugio. Qui, Gaustìn è il personaggio che ha l’idea di creare cliniche del passato, luoghi dove le persone affette da perdita di memoria possono tornare a rivivere epoche storiche in cui si sentivano più sicure. In questo contesto, Gaustìn è una figura misteriosa, enigmatica e carismatica.

Gospodinov stesso ha affermato di trovare difficile separare sé stesso da Gaustìn, suggerendo una profonda connessione tra l’autore e il suo personaggio. Gaustìn incarna spesso la riflessione sulla memoria, il tempo, la fragilità della vita e l’ironia, tutti temi centrali nella produzione letteraria di Gospodinov.

Nato a Jambol nel 1968, Georgi Gospodinov è poeta innovativo e raffinato, prosatore e studioso di letteratura, oggi considerato lo scrittore più talentuoso della Bulgaria. Con il suo esordio narrativo, Romanzo naturale (Voland 2007), accolto come una vera rivelazione, ha immediatamente incontrato il favore di critica e pubblico che ne hanno decretato lo straordinario successo, e ha ottenuto il primo premio del concorso Razvitie per il romanzo bulgaro contemporaneo. È tradotto in diciannove lingue.
Di Gospodinov Voland ha pubblicato le raccolte di racconti …e altre storie (2008), E tutto divenne luna (2018), Tutti i nostri corpi (2020) e i romanzi Fisica della malinconia (2013) – con il quale nel 2014 è stato finalista del Premio Von Rezzori e del Premio Strega Europeo –, e Cronorifugio (2021), con il quale l’autore si è aggiudicato il Premio Strega Europeo 2021.