La via del loto, viaggiare in Asia, leggere l’Oriente, di Luca Buonaguidi, I libri di Mompracem 2025, pp. 384

Anche a questo servono i viaggi, a far incontrare la nostra vecchia ombra con una nuova possibilità di luce. La luce dell’Asia.

Un cammino fuori e dentro di sé, alla scoperta dell’Oriente e delle sue storie, attraverso l’esperienza diretta e un costante dialogo tra Oriente e Occidente. La via del loto di Luca Buonaguidi è uno di quei rari testi che, mentre li leggi, ti fanno venire voglia di preparare lo zaino… ma anche di aprire un altro libro. È come se dicesse: “non basta vedere, bisogna capire”. E a me questo approccio ha parlato subito. C’è, dentro questo libro, un modo di viaggiare che non si sovrappone linearmente con l’itinerario tracciato sulla mappa. È un movimento più profondo, all’inizio spiazzante, che passa attraverso le letture, gli incontri, le storie e le parole che accompagnano ogni spostamento. La via del loto. Viaggiare in Asia, leggere l’Oriente di Luca Buonaguidi appartiene a questa categoria rara: un libro che trasforma il viaggio in un esercizio di conoscenza, un cammino di consapevolezza, un ponte tra esperienza e riflessione.

Il loto è uno dei simboli più ricchi e stratificati nelle culture asiatiche, e non è un caso che Buonaguidi lo scelga come immagine guida. Il fiore di loto cresce in acque stagnanti o fangose ma emerge pulito, intatto, luminoso.
È un simbolo potentissimo di trasformazione, di capacità di elevarsi sopra le difficoltà, di non essere determinati dall’ambiente ostile. Nelle tradizioni buddista e induista, il loto è associato allo stato di risveglio: ogni petalo che si apre è un passo verso la comprensione. Il loto si apre con la luce del giorno e si richiude al calare del sole: un ciclo continuo di nascita, morte e rinascita. La radice è nel fango (la realtà fisica), il fiore è nell’aria e nella luce (la dimensione spirituale). È un simbolo perfetto dell’umano sospeso tra materia e spirito. Quindi possiamo ipotizzare che con questa scelta Buonaguidi alluda a un percorso che cambia chi lo compie.

Mi mischio a quel­la folla di persone e cose chiamata Asia, ma invece di sentirmene assorbito, come nei racconti dei viaggiatori intrepidi e felici che mi hanno preceduto, inizio a sentirmi solo, solo come in una poesia di Antonio Delfini: non sono solo, ma solo-solo, solo senza neanche me stesso.
Il poeta se lo augurava, gli piaceva. A me non ancora, però almeno è qualcosa di diverso. Anche di questo spaesamento rispetto a se stes­si si nutre un viaggio e a me pare che quel poco senso di me stesso costruito in venticinque anni di vita mi sia stato confiscato alla doga­na.

Buonaguidi parte per un lungo tragitto di quasi un anno attraverso l’Asia, la Via del Loto, il viaggio letterario per antonomasia, la Via battuta dai “più grandi scrittori, avventurieri e mistici dei secoli scorsi nell’Asia profonda”: Sri Lanka, India, Nepal, Birmania, Thailandia, Malesia, Singapore, Indonesia, Laos, Cambogia, Vietnam, Hong Kong, Tibet, Cina, Mongolia, Russia. Un viaggio fragile, incerto, autentico, fatto di autobus improbabili, avvolti nel fumo aromatico dell’incenso sotto lo sguardo imperturbabile di una statuetta del Buddha, di treni, di notti in ostello o in qualche baracca, o in una piccola chiesa battista, e incontri che restano nella memoria.

Come l’incontro con Karol, “uno di quei tipi che si incontrano solo in viaggio”, un giramondo che subito ispira fiducia a Luca, che riesce a risvegliare lo spirito del viaggiatore che era in lui e a dargli la spinta giusta per godere appieno l’esperienza.

Ciò che mi ha colpito non è la quantità dei chilometri, bensì il modo in cui l’autore li attraversa: con uno sguardo lento, quasi protettivo, come chi sa che ogni luogo è una storia e che ogni storia merita tempo. Un viaggio “di zaino”, libero, accompagnato dal desiderio di lasciarsi trasformare da ciò che incontra. La vera originalità del libro è un dialogo continuo con gli scrittori che, prima di lui, hanno attraversato e raccontato l’Oriente. Un percorso fisico che si sviluppa con i piedi sul terreno e la mente che si muove tra riflessioni, citazioni, rimandi. Un viaggio che in realtà Luca ha iniziato tanti anni prima quando si aggirava tra gli scaffali di una libreria di Firenze e pescava diari di viaggio, reportage, memoir, tuffandosi mentalmente in percorsi e luoghi fino a quel momento a lui sconosciuti.

Chi non vorrebbe aver vissuto la vita di Terzani, Salgado o Ted Si­mon, oppure della coppia neozelandese di Uluwatu? il viaggio come terapia, la viandanza come salvazione, il viaggiatore come guru che, oltre a insegnare a viaggiare, insegna a vivere anche agli stan­ziali.

In queste pagine convivono i grandi nomi della letteratura di viaggio – da Chatwin a Terzani, da Kapuściński a Nicholas Bouvier, e perché no Hugo Pratt – ma anche voci meno note, poeti, antropologi, cineasti. E poi i volti e le voci delle persone incontrate sul suo cammino, ciascuno acceleratore di conoscenza, ciascuno latore di una epifania. Ogni tappa diventa così una soglia in cui esperienza personale e memoria culturale si incontrano. L’Asia non è solo un luogo geografico: è un orizzonte mentale, un territorio simbolico dove si interrogano identità, spiritualità, paure e desideri.

Quello che mi ha colpito davvero è l’idea del viaggio come atto di ascolto. In un tempo in cui siamo portati a “consumare” luoghi e paesaggi con la fretta di chi vuole vedere tutto, spesso più presi a fotografare che a godere di ciò che si guarda, La via del loto ci ricorda che si può viaggiare anche restando fermi: leggendo, confrontandosi, lasciandosi mettere in discussione. E quando ci si mette davvero in cammino, ciò che conta non è la lista delle mete, o le storie da condividere, ma la disponibilità all’esperienza, la capacità di orientarsi con la bussola dell’apertura mentale e del dialogo. È un libro che invita a rallentare senza giudicare, con una sincerità che arriva dritta. Chi mi segue lo sa: è esattamente così che intendo sia la letteratura che il viaggio.

Il libro è attraversato da un’idea chiara: il viaggio come forma di ecologia, non ambientale ma culturale. Viaggiare, per Buonaguidi, significa prima di tutto osservare, ascoltare, leggere. Significa rifiutare l’atteggiamento predatorio del mordi e fuggi, del turismo di massa, di chi “consuma” i luoghi come bere una bibita ghiacciata, e abbracciare invece un rapporto più lento, rispettoso, dialogico. È una prospettiva che oggi, nell’epoca del turismo accelerato, suona quasi sovversiva.

Dal punto di vista stilistico La via del loto mescola reportage, diario, saggio e riflessione filosofica. Il ritmo è meditativo, mai compiaciuto: Buonaguidi racconta il mondo, ma allo stesso tempo si interroga sul modo stesso di raccontarlo. Il lettore è invitato a seguirlo non come spettatore, ma come compagno di cammino.

Chi cerca un diario di viaggio avventuroso potrebbe rimanere sorpreso: qui il paesaggio esteriore è sempre accompagnato da quello interiore. Ma proprio questa doppia prospettiva rende il libro prezioso. È un invito a non accontentarsi di vedere, ma a capire; a non limitarsi a partire, ma a lasciarsi cambiare.

La via del loto è un testo che parla ai viaggiatori, agli appassionati di letterature d’Oriente, a chi concepisce la lettura come un movimento nello spazio e nel tempo. È, in definitiva, la storia di un cammino che non finisce quando si torna a casa, perché continua nelle pagine che si sfogliano, nelle domande che restano aperte, nelle geografie dell’anima che solo i libri sanno rivelare.

Forse l’unica verità del viaggiatore è che dopo un certo numero e tipo di viaggi non si riesce più a smettere. Allora il viaggio diventa un modo d’essere, uno stato della mente.

Se amate i diari di viaggio, troverete luoghi e volti. Se amate la letteratura, troverete citazioni e rimandi. Se amate entrambi, troverete un ponte. Io, personalmente, ho trovato un invito a ricordare che ogni viaggio, anche il più breve, può diventare una forma di conoscenza. E che nessuna mappa, da sola, può raccontare tutto.

Leggendo La via del loto non ho potuto fare a meno di ricordare un altro libro di Buonaguidi che avevo amato: Uno studio sul niente. Viaggio in Giappone. In quel caso si trattava di un diario di viaggio in versi, asciutto e contemplativo, accompagnato da fotografie e da una costellazione di citazioni — scrittori, fumettisti, monaci, filosofi — che avevano accompagnato l’autore lungo l’isola di Honshū.

Quell’opera, più lirica e silenziosa, sembra oggi una sorta di anticamera di La via del loto. Se il libro sul Giappone era un taccuino poetico, un modo per restituire il Giappone attraverso la sottrazione e il minimalismo, La via del loto è invece un continente aperto, un viaggio più vasto, dialogico, attraversato da molte più voci. Ma in entrambi i libri ritorna la stessa attitudine: viaggiare come gesto di ascolto, come incontro tra lo sguardo personale e la memoria culturale di chi quei luoghi li ha vissuti o raccontati prima di noi.

Ritrovare questa continuità mi ha fatto percepire La via del loto non come un semplice diario di viaggio, ma come un tassello di un percorso più ampio: quello di un autore che usa la letteratura per capire il mondo, e il mondo per capire la letteratura.

Luca Buonaguidi è psicologo e scrittore. Vive sull’Appennino tosco-emiliano e viaggia spesso tra l’Asia, la Grecia e Parigi. Ha scritto libri di poesia, di psicologia, di viaggio sull’India e sul Giappone, di musica intorno a Franti e Luciano Cilio. Le sue ultime pubblicazioni sono Ambulance Songs 1 e 2 (Arcana, 2019-2021), Poesia e Psiche (Mille Gru, 2023) e Stare bene si può (Bur, 2025). Altri testi sono stati raccolti in varie antologie in Italia e all’estero, ha scritto per diverse riviste e blog, condiviso progetti multimediali con musicisti e fotografi, animato festival di controcultura sulle montagne e nelle periferie. È docente di psicologia presso l’Università di Verona, membro della Federazione Italiana Psicologi dello Sport, formatore per Poetry Therapy Italia, relatore a convegni internazionali sull’utilizzo terapeutico della scrittura. Dopo anni di lavoro in ambito psichiatrico e di dipendenze patologiche, oggi si occupa di clinica nel suo studio in provincia di Pistoia.