INCIPIT
CAPITOLO 1
Agnes, Philadelphia, marzo 2000
Una giornata perfetta per scrivere, grigia e tranquilla. Ma non le veniva in mente nulla. Non una frase, un’espressione, una parola che valesse la pena di conservare. Il cestino era pieno; la pila degli appunti consistente. Fogli di carta millimetrata tappezzati di diagrammi erano ordinatamente fissati a un pannello di feltro alla parete. Ma la zona della scrivania su cui solitamente si accumulavano le pagine utilizzabili era un nido spoglio.
Non le era mai successo prima. Agnes Lee aveva scritto sei romanzi e decine di libri per bambini senza mai esitare: componeva, riscriveva e stralciava, uccidendo senza remore i suoi cari personaggi, sicura che ne sarebbero arrivati molti altri – senza contare che conservava nascosti in un baule nella soffitta del cottage un gran numero di diari e resoconti, oltre a una moltitudine di articoli e saggi, scritti sotto vari spiritosi pseudonimi. Poteva capitare di dover riscrivere un intero manoscritto, ma prima d’ora non si era mai trovata in questo tipo di stallo, non dopo che le sue ricerche avevano prodotto nuovo materiale ed era arrivato il momento di sedersi e stendere il libro. Le parole erano sempre arrivate. La sua scrittura era sempre pronta per essere spillata, le bastava abbassare la leva e lasciarla scorrere liberamente. Questa consapevolezza era al centro della sua percezione di se stessa. Era una scrittrice. Ma se non ci riusciva, se il rubinetto era a secco, cosa succedeva?
Arrivava lo sconforto – ecco cosa succedeva. Rovistava agitata tra le cartucce d’inchiostro della Rapidograph e affilava la punta delle matite fino a consumare il temperino nuovo. Eppure il suo libro, il suo romanzo, l’opera che avrebbe completato una serie scritta nell’arco di decenni, contava un numero di parole utilizzabili pari a zero. Durante tutto l’inverno non aveva prodotto niente.
Anche per oggi Agnes aveva abbandonato le speranze, ma il tempo da dedicare alla scrittura non era ancora scaduto. Quindi rimase seduta. La regola prevedeva cinque ore, e diamine se per quelle cinque ore sarebbe rimasta lì. Le abitudini colmavano le crepe di un corpo e di una mente senescenti, e non poteva permettersi di rinunciarvi, Aveva visto sua madre cercare di fare gli addominali sul letto di morte, e per quanto Agnes nei confronti di quella snob anaffettiva provasse soltanto un generico rispetto filiale, in quell’istante sperava di essere dotata almeno della stessa disciplina. Aveva stabilito un programma inviolabile, consentito da un po’ di eredità e incoraggiato da una vocazione per la scrittura che la accompagnava da circa sessant’anni. Raramente era dovuta scendere a compromessi con qualcuno, un privilegio che non considerava acquisito e che non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire. Aveva ottant’anni, ma non aveva messo un freno alla sua produttività. Al contrario. Il lavoro che l’attendeva era impellente ed era ben consapevole di procedere accanto all’ombra del momento ignoto del suo ultimo respiro.
Poiché all’ora di pranzo la signora Blundt le aveva lasciato la posta e i quotidiani sul tavolo, e la lettura di alcuni articoli aveva turbato il suo piccolo mondo sotto controllo, Agnes si sentiva particolarmente distratta. Camminava per la stanza, guardava fuori dalla finestra e riprendeva a camminare. Si concesse di spingersi fino al soggiorno, a patto di rimanere concentrata sul suo lavoro.
Alice Elliott Dark