Da oggi in libreria il volume:
Addio. Poesia al tempo del virus, di Cees Nooteboom Iperborea, traduzione di Fulvio Ferrari, pagg.92
«In un tempo di smarrimento come quello che viviamo la poesia offre qualcosa che va oltre le vite di ciascuno, sa trasportarci in un luogo che sta più in alto della quotidianità. Compie questo strano e meraviglioso miracolo per cui da un punto molto personale sa portarci a sentimenti condivisi e universali.»
«È un gran libro, questo Addio. Poesia al tempo del virus. Metricamente così compatto, con tutti i componimenti che constano di tre quartine e di un’ultima strofa di un solo verso, breve, che spesso contiene parola-chiave. Alcuni testi sono visionari, vi compaiono fantasmi, spettri, giardini in cui “la durata non ha voce, il tempo non ha comando”, persone in viaggio in cerca di uno scomparto che non c’è, mentre viene annunciato “prossima fermata l’armageddon”» – Giuseppe Conte, la Lettura
Un uomo in un giardino d’inverno: un fico spoglio, le oche del vicino, i sassi di un muro millenario, i cactus dagli strani nomi musicali con cui tesse da sempre un dialogo di sguardi, una nuvola grigio piombo che incombe come una minaccia, e il sorgere di una domanda: «la fine della fine, cosa poteva essere?» È dalla domanda sulla fine che ha inizio questo Addio, trentatré brevi poesie – un costante ritmo di tre quartine chiuse da un solitario verso finale come un accordo sospeso – quasi a evocare i canti di un’umana commedia che costantemente si ripete, un cammino nelle selve oscure dell’esistenza verso un inevitabile distacco. I ricordi indelebili della guerra – soldati in ritirata, il padre in smoking sul lungomare, la madre accanto a quel futuro morto – si mescolano a creature spettrali che sembrano uscite da sogni malvagi e a persone reali amate e perdute: «l’amico morto senza poter più parlare» e l’altro «che sull’ultimo letto / tracciava con le mani un cerchio, / e voleva dire viaggio». Le immagini spaziano dai bassifondi dell’evoluzione alle immensità del cosmo: «Che rumore fa la Terra / nella casa dello spazio?» La poesia nasce dal silenzio, e al silenzio aspira tornare. Come nella Sinfonia degli addii di Haydn, i suoni uno a uno si spengono, gli orchestrali se ne vanno. «Ho percorso la strada / più lunga, la strada senza un arrivo», scrive Nooteboom. Gli altri che camminavano con lui, amici, fratelli, amanti, sono scomparsi, se ne va l’airone solitario che seguiva la traccia «di ghiaia, di sabbia e / conchiglie in frantumi» che è quanto resta della sua vita, il desiderio lo abbandona, non sente più il suono dei suoi passi: nella grandissima quiete di quel sovrumano silenzio gli è dolce il naufragare.
La raccolta è composta da tre sezioni di undici poesie senza titolo. Tutte le poesie includono tre quartine con un’ultima riga di verso come accordo finale “fluttuante”. Nella sua postfazione, il poeta si chiede come sia nata questa raccolta di poesie: “Hai iniziato in un giardino, ciò che viene descritto sono piante mediterranee, ma ciò che emerge sono pensieri sulla guerra, immagini di un passato lontano che non è mai scomparso.”
adoro Nooteboom, indi me lo cerco e me lo compro, grazie
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le sue poesie sono intrise di una certa solitudine attonita…
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