Finalmente, dopo un lungo periplo, mi ero decisa ad abitare il corpo in cui ero nata, con tutte le sue particolarità. In fin dei conti era l’unica cosa che mi apparteneva e mi vincolava in modo tangibile al mondo, e insieme mi consentiva di distinguermene.

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Il corpo in cui sono nata, di Guadalupe Nettel, La Nuova Frontiera 2022, traduzione dallo spagnolo (Messico) di Federica Niola, pp. 190

All’interno della Box 13 di Romanzi.it ho trovato questa bellissima sorpresa, il romanzo di Guadalupe Nettel che ancora non avevo letto. Nettel è una delle autrici latinoamericane contemporanee che maggiormente apprezzo, ho letto i suoi racconti (Qui e Qui) e il romanzo La figlia unica e non vedevo l’ora di leggere questo suo libro. Ho sulla scrivania anche la recente pubblicazione dei racconti, La vita altrove quindi presto vi parlerò anche di quello.

Di questo romanzo che Nettel scrisse nel 2011 si è scritto tantissimo: date un’occhiata alla rassegna stampa presente sulla pagina del sito dell’editore dedicata al libro e vi renderete conto di cosa parlo… Probabilmente ne avrete anche letta qualcuna di quelle recensioni per cui non vi dirò niente di nuovo, ma ve lo dirò lo stesso perché dopo avere letto il romanzo sento l’urgenza di condividere con voi le mie impressioni.

Come già in altri suoi scritti, Nettel ci porta a ragionare su due aspetti fondamentali: la diversità, declinata nei vari gradi e tipologie dell’imperfezione del corpo, e l’emarginazione, o meglio il senso di marginalità che si prova se si ha una imperfezione nel corpo, e delle “imperfezioni” familiari. Possiamo definirlo quindi un percorso di adattamento ad un corpo che capita in sorte, e la ricerca di una collocazione identitaria personale e sociale.

Superamento e consapevolezza: due binari sui quali si muove il viaggio di crescita personale della protagonista, dal sentirsi diversa e paragonata ad un animaletto, lo scarafaggio, dalla madre, a identificare in esso, che deriva dal più antico abitante del pianeta, il trilobita, chi come lei ha il dono della diversità.

Durante l’adolescenza Guadalupe legge molto e ama particolarmente Franz Kafka e la “Candida Eréndira“, personaggio dello scrittore Gabriel García Marquez.

Mi identificavo completamente nel personaggio della Metamorfosi, che aveva una storia simile alla mia. Anch’io una mattina mi ero svegliata con una vita diversa, un corpo diverso, senza sapere fino in fondo in che cosa mi fossi trasformata.

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L’identificazione col personaggio di Kafka introduce un altro elemento che ricorre nelle opere di Nettel, e cioè il rapporto di confronto col mondo animale. Lo abbiamo trovato ad esempio nei racconti di Bestiario sentimentale” (animali, pesci, insetti o fungo che siano), ma non solo, come cartina al tornasole per evidenziare i disagi, le carenze, le debolezze umane.

È solo con il tempo e con un duro lavoro di digestione emotiva che si possono elaborare tutti i sentimenti, le difficoltà, le frustrazioni, per arrivare ad una accettazione di sé, per farne un motivo di distinzione, perché solo chi ha attraversato questo tunnel ed è arrivato integro dall’altra parte, può uscirne arricchito, in termini di comprensione umana e maturazione.

La protagonista è lei stessa in questo romanzo autobiografico, che si racconta da adulta alla sua analista – la quale non prende mai la parola, rivelandosi un espediente narrativo – e al lettore. Nata con un neo bianco sulla cornea dell’occhio destro, nel bel mezzo dell’iride, Guadalupe bambina guarda il mondo attraverso una “finestra” particolare; è costretta a continui ed estenuanti esercizi oculari e a portare una benda sull’occhio “pigro” al mattino, quando va a scuola, in attesa che si completi la sua crescita e si possa valutare una eventuale operazione. Questa necessità le conferisce un aspetto che incuriosisce gli altri bambini, e divide la sua vita in due universi: “quello mattutino costituito soprattutto da suoni e da stimoli olfattivi, ma anche da colori nebulosi, e quello pomeridiano, sempre liberatorio ma anche di una precisione stupefacente“.

Nettel compone con lucidità e precisione le sue sensazioni e frustrazioni di bambina che si sente “diversa”; molte cose le vive come una imposizione, spesso incomprensibile e schiacciante. Il suo punto di vista da personale si allarga a comprendere tutti i bambini/e marginali come lei, per questioni di imperfezioni fisiche, familiari o ambientali, come la piccola Ximena, la sua dirimpettaia cilena, fuggita con la mamma e la sorella dalla dittatura che aveva ucciso il padre, che rinuncia a vivere una vita a cui sente di non appartenere.

La sua peculiarità fisica plasma la sua vita di relazione fin dall’infanzia e continuerà a farlo durante l’adolescenza e fino a quando riuscirà ad elaborare il suo vissuto. Elaborare, sì, ma certo non dimenticare, come ci dice; perché il dolore rimane sempre nella coscienza di chi l’ha provato, resta lì quieto per un po’, ma trova il modo di sgusciare fuori quando si precipita in certe situazioni che lo evocano e lo fanno riemergere drammaticamente.

I bambini vivono in un mondo dove la maggior parte delle situazioni in cui si trovano è imposta. Altri decidono per loro: la gente che devono vedere, il luogo in cui devono vivere, la scuola che frequenteranno, persino ciò che devono mangiare ogni giorno.

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Sono gli anni Settanta, Guadalupe e suo fratello Lucas crescono in una famiglia in cui i genitori si dichiarano progressisti e paladini della verità, della sincerità senza filtri e della liberazione sessuale. Cavalcata l’onda della rivoluzione sessantottina e fatti propri idee e stili di vita un po’ hippy, in opposizione al capitalismo e aderendo al movimento comunista che si sta evolvendo in centro e sud America (la cui repressione poi ben conosciamo), i genitori rifiutano l’autorità genitoriale come valore. Sono convinti che ai bambini non si debba nascondere nulla, neanche gli argomenti imbarazzanti, anche per quanto riguarda la vita sessuale di cui parlano ai bambini senza metafore adatte alla comprensione di un bambino di sei o otto anni. Ma se le intenzioni possono essere buone e condivisibili, la mancanza di adattamento alle possibilità infantili crea un ulteriore scollamento dagli altri bambini, evidentemente educati in modo diverso, inducendo un senso di disagio e inadeguatezza.

Le decisioni che più impattano sulla vita di Guadalupe e Lucas sono quelle relative al divorzio dei genitori e all’allontanamento. Il padre sparisce dalle loro vite, si saprà in seguito che è finito in prigione, mentre la madre decide di frequentare un dottorato nel sud della Francia, dove si trasferisce lasciando i bambini per nove mesi alle cure della nonna materna. Un lungo periodo in cui i due bambini riescono a malapena a parlare con la madre una volta al mese, e non sempre, e mai col padre. Affidati ad una nonna bigotta e autoritaria che proibisce tutto, soprattutto a Guadalupe perché è femmina. Una dura prova che incide sulla psicologia della bambina.

Se a Città del Messico la frequenza della scuola Montessori rappresenta uno dei pochi aspetti positivi dell’educazione e della vita sociale di Guadalupe, tutto cambia quando la madre decide di portare con sé i figli in Francia, dove si trovano in una scuola tradizionale e in una banlieue con i noti problemi di integrazione con cui soprattutto Guadalupe deve fare i conti. Se infatti in Messico la famiglia era benestante e viveva in un comprensorio borghese, qui sono di fatto degli immigrati poveri, che si mantengono con una borsa di studio e qualche sussidio. Un’altra decisione imposta, un altro repentino cambiamento quando in qualche modo la ragazzina si sforzava di trovare un equilibrio. Anche qui Guadalupe si sente diversa, emarginata e fatica ad integrarsi con gli altri immigrati.

E non finisce lì, perché quando con grande fatica in una età già difficile di suo come l’adolescenza, quando dicevo riesce ad integrarsi e a trovare un suo modo per sentirsi accettata, la madre finisce il suo progetto e, armi e bagagli, li riporta tutti a Città del Messico. Dove peraltro li iscrive in una scuola privata esclusiva in cui con nessuno Guadalupe può riconoscersi e crearsi delle amicizie.

Per fare i conti con tutto quello che le accade, Guadalupe sviluppa uno strumento che la accompagnerà per tutta la vita: la scrittura. Attraverso l’urgenza e la necessità di abitare le parole come un edificio che protegge dall’esterno, una specie di corazza con cui affrontare i malesseri, le disperazioni, la ragazzina inizia a scrivere racconti in cui traspone i suoi sentimenti e sensazioni. Lo fa fin dalle elementari dove protagonisti dei suoi racconti horror sono i compagni trascinati in storie mostruose e divertenti e quando la maestra decide di farle leggere in classe i racconti la sua reazione è di terrore, temendo che i compagni si arrabbieranno con lei e la isoleranno ancora di più. Invece accade che viene apprezzata da tutti divenendo per una volta popolare.

Ecco dove si supera il disagio per una imperfezione: nella scrittura Guadalupe trova il motore del cambiamento; dal subire la propria unicità come una cosa negativa, una fragilità, a rivendicare il diritto alla propria diversità come un aspetto positivo, che sviluppa una sensibilità più acuta, una capacità di empatia che altri non hanno, una lucidità razionale che come una lama affilata incide sulla narrazione della propria biografia. Che la scrittura abbia anche uno scopo terapeutico nel maturare le proprie consapevolezze non esclude che diventi arte, così come il punto di vista personale è capace di allargarsi e divenire storia universale.

Ci vorranno anni e tutta una serie di cambiamenti di vita per potere finalmente affermare che la diversità ci rende unici e irripetibili, per potere mostrare al mondo la propria accettazione rendendo così le imperfezioni – ammesso che lo siano – un punto di forza da opporre ai giudizi degli altri:

Ero decisa a sottolineare la mia eccentricità che altrimenti sarebbe apparsa involontaria e, dunque, ingestibile. Riconoscerla, invece, era una dimostrazione di forza.

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

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Guadalupe Nettel è nata a Città del Messico nel 1973. Nella sua carriera ha ricevuto diversi riconoscimenti tra i quali il premio franco-messicano Antonin Artaud (2008), il premio tedesco Anna Seghers (2009), il Premio de narrativa breve Ribera del Duero (2013) per la raccolta di racconti Bestiario sentimentale, il Premio Herralde de Novela (2014) e il Premio Cálamo per La figlia unica (2020).
Con La Nuova Frontiera ha pubblicato Bestiario sentimentale, Petali La figlia unica (li trovate tutti recensiti sul blog).