A essere onesta, non sono mai andata d’accordo con mia madre. Anche se ci vogliamo molto bene, i nostri incontri sono pieni di frizioni e qualche volta anche di scintille dolorose. A quanto dice, sto sempre a rivangare il passato, e a lei non piace niente di quello che faccio nel presente. Noi figlie tendiamo a vedere negli errori delle nostre madri l’origine di tutti i nostri problemi, e le madri tendono a considerare i nostri difetti come la prova di un possibile fallimento. Per evitare conflitti, negli ultimi anni ho preferito non rivelare tutto ciò che penso, nascondendo le mie predilezioni e le mie fobie, diventando il più ermetica possibile per scongiurare i suoi commenti taglienti, ma non mi verrebbe mai in mente di fare a meno di lei. Mentirei se dicessi che non ne ho bisogno; quando non c’è, mi sento priva di protezione. (pag. 144)

La figlia unica, di Guadalupe Nettel, La Nuova Frontiera 2020, traduzione di Federica Niola, pagg.215

Il romanzo di Guadalupe Nettel La figlia unica affronta il tema della maternità, un tema che nasconde molte sfumature proprio perché appartiene alla sfera più intima e personale delle donne che decidono di affrontarla, o di evitarla. Un argomento delicato che implica – non sempre – il coinvolgimento di un partner e molte decisioni di impatto sulla vita. Il romanzo ruota attorno a questo tema declinato attraverso tre paradigmi: la maternità percepita come un peso insopportabile, come matrice dell’amore incondizionato, come legame che resiste nel tempo. Ci sono quattro donne protagoniste in questo delicato romanzo che mostrano le diverse possibilità di sviluppare questi paradigmi, e la possibilità di puntare sull’amicizia femminile come rete di sostegno. Nettel, nel raccontare queste storie, tocca anche due aspetti molto importanti: l’accoglienza, la capacità cioè di ciascuno di accogliere un’altra vita, che sia un figlio proprio o no; il processo di scoperta di se stessi, di quanto ciascuno possa dire di conoscere – e accettare – se stesso, di fronte a situazioni imprevedibili.

Protagonista e voce narrante del romanzo è Laura, una accademica che ha viaggiato molto e che ha sempre saputo di non volere figli. Di questa convinzione ha fatto un po’ una bandiera della sua vita indipendente, un faro pronto a illuminare le scelte della sua vita, compresa quella di rinunciare ad un uomo che invece da lei avrebbe voluto un figlio. Alina, la sua migliore amica, ha condiviso con lei questa convinzione e lo stile di vita giramondo, fino a quando, tornata a Città del Messico e conosciuto Aurelio, ha cambiato idea e ha voluto con lui affrontare l’arrivo di un figlio.

Anche Laura è tornata a città del Messico, dove è impegnata a portare a termine la sua tesi di dottorato; nell’appartamento di fianco al suo vivono una madre con un figlio di sette anni, che sente litigare e piangere ogni giorno. Una volta alla settimana, Laura incontra sua madre con cui intrattiene un rapporto spesso conflittuale, seppure sia a lei molto legata. Più di tutto, Laura si sente giudicata dalla madre nella sua scelta di rifiutare la maternità.

La gravidanza di Alina procede tra emozione e preparativi, lei e Aurelio sono sempre più coinvolti ma, durante una visita di routine, vengono informati che la bambina che nascerà ha una gravissima malformazione al cervello, che ne impedirà lo sviluppo e che, con molte probabilità, non sopravvivrà dopo la nascita. Il loro percorso diventa quindi complesso e il modo in cui lo affrontano apre la strada a molte riflessioni sul senso che assume l’accogliere una vita, sui quesiti etici che la riguardano, sull’accettazione della malattia, sull’impatto sulla vita di coppia e sulle amicizie.

Nel frattempo, Laura entra in contatto con la sua vicina Doris e il figlio Nicolás, impegnati ad affrontare il duro passato in comune: il fantasma di un marito e padre violento, morto in un incidente, lasciandoli da soli, in una città che Doris percepisce come violenta e pericolosa. La donna ha paura a uscire di casa e obbliga il figlio, dopo la scuola, a rimanere chiuso in casa; da qui il malessere che il bambino esprime con violente crisi.

Mentre Laura cerca di rendersi utile con la vicina, si accorge che due piccioni hanno fatto il nido sul suo balcone; la Nettel inserisce quindi anche il tema della maternità da un punto di vista diverso, attraverso il parallelismo col mondo animale, scegliendo, peraltro, un aspetto inquietante: quello della cova parassitaria. Si innesta, quindi, nella storia un aspetto metaforico fortemente incidente.

Un bel giorno i piccioni se ne sono andati. Hanno abbandonato il nido come si lascia una pelle o un cappotto rovinato. (..) Restavano solo le foto e i video che avevo fatto nel corso della loro permanenza. A volte le immagini comparivano sul mio cellulare, accanto a quelle della gravidanza di Alina e di alcuni libri della  biblioteca. Il piccioncino nero continuava ad apparirmi più che mai perturbante. (..) Il piccolo dei piccioni, quell’uccello brutto, come uscito da un cielo eternamente rannuvolato, era nato in casa mia. Aveva forse un significato? Non riuscivo a smettere di chiedermelo. (pag. 134)

Laura è testimone attiva di entrambe le storie, cerca di avere un ruolo positivo per aiutare sia Alina che Doris, apportando il valore del suo punto di vista diverso; col passare del tempo e vivendo queste esperienze, si apre sempre di più nei confronti del concetto di maternità, divenendo più propensa ad accogliere opinioni diverse dalla sua. Anche il suo rapporto con la madre, dopo una fase di stallo in cui si sono allontanate, riprende la normale routine; ciò avviene quando Laura scopre la svolta femminista che inizia ad avvicinarle e a trasformare il loro rapporto. Laura e sua madre, per vie diverse, sono entrate nel collettivo femminista del quartiere che si adopera per contrastare la violenza sulle donne – che a Città del Messico è un fenomeno particolarmente tragico – e per supportare madri e figli in difficoltà.

Il romanzo è caratterizzato da una narrazione lineare, espressa con apparente semplicità  che permette di concentrarsi sui dettagli emotivi e cruciali delle diverse storie che si intrecciano. L’accettazione di ciascuno con il proprio passato e il proprio presente fa sì che il futuro sia un problema lontano da risolvere, simile al consiglio che i medici danno ad Alina in relazione alla vita con la sua bambina: vivi e concentrati sul presente. Affrontare la sorpresa che la conoscenza di sé produce dopo aver preso decisioni difficili, sembra dirci questo romanzo, richiede pazienza e desiderio di apprendimento.

La figlia unica è un romanzo profondo, pieno di saggezza sulla maternità, sulla sua negazione o sulla sua assunzione; sui dubbi, le incertezze e persino i sensi di colpa che la circondano; delle gioie e dei dolori che l’accompagnano. È anche un romanzo su tre donne – Laura, Alina, Doris – e sui legami – di amicizia, di amore – che stabiliscono tra loro. Un romanzo sulle varie forme che la famiglia può assumere nel mondo di oggi.

Qui potete leggere l’incipit.

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