Il mese di marzo, anche quest’anno, è stato un periodo complesso. A parte le difficoltà generali che tutti stiamo vivendo, il covid è purtroppo entrato nella nostra casa, sconvolgendo i ritmi di vita. Mio marito è stato contagiato sul lavoro e solo grazie ad una serie di coincidenze fortuite, siamo riusciti ad isolarlo subito dal resto della famiglia e ad evitare di contagiarci tutti. Naturalmente, abbiamo dovuto fare tutti la quarantena e quindi siamo rimasti chiusi in casa per quattro settimane, tra mille precauzioni e con la preoccupazione che le condizioni di mio marito peggiorassero. Per fortuna niente di grave, si è curato a casa, ma non è stata una passeggiata.

In questo clima non ho avuto la tranquillità necessaria per dedicarmi alle mie letture e alla scrittura; ho letto poco, a singhiozzo e sempre con la testa da un’altra parte. Nei primi giorni, mi sono concentrata soprattutto sui racconti che permettono letture brevi e intervallate, ma poi sono riuscita a leggere anche dei romanzi. Ecco cosa ho letto:

Vera Giaconi, Persone care

Samanta Schweblin, La pesante valigia di Benavides

Liliana Colanzi, Il nostro mondo morto

Wolf Wondratschek, Autoritratto con pianoforte russo

Alia Trabucco Zerán, La sottrazione

Guadalupe Nettel, La figlia unica

Tra questi, quello che mi ha più colpita, per stile e temi trattati, è:

Giaconi persone care logo

Persone care, di Vera Giaconi, edizioni SUR 2019, traduzione di Giulia Zavagna, pagg. 157

La raccolta di Giaconi è composta da dieci storie che esplorano il lato oscuro dei legami affettivi, proiettati su uno sfondo in cui lo straordinario irrompe nella quotidianità dei personaggi in modo surrettizio e allo stesso tempo irrevocabile. I personaggi che abitano l’universo quotidiano di Persone care provengono da spazi diversi ma condividono lo stesso DNA: smarrimento, distanza e un certo dislocamento rispetto alla realtà. Giaconi sa perfettamente che le tensioni familiari, spinte al limite, possono portare a innescare eventi insoliti; la narrazione rimane sempre con i piedi nella realtà, ma lasciando un piccolo spazio, come una fenditura nel muro, attraverso la quale, si intravede un lampo di genialità.

In tutte le storie c’è un denominatore comune: la perdita. Se non è una nipote, come in “Dumas“, sono amici, fratelli, dita. La mancanza è ciò che motiva ciascuna delle storie delle persone careIl corpo, in parte o nella sua interezza, è l’epicentro della mancanza. Una delle storie meglio realizzate è “Limbo“, dove una paziente vede il suo medico peggiorare a causa di una malattia, fino a quando non riesce più a sopportarlo. Rendere visibile questo declino in ciascuno dei personaggi del libro è uno dei migliori risultati dell’autrice.