Andò nel bagno e si chiuse dentro. Guardai fuori, dalla vetrata. Sara mi salutò allegramente da dentro la macchina. Cercai di calmarmi. Cercai di pensare qualcosa che mi aiutasse a fare qualche passo malfermo fino alla porta, pregando perché quel tempo mi bastasse per ridiventare un essere umano normale, un tipo preciso e organizzato (..) Pensai un mucchio di cose, del tipo che ci sono persone che mangiano altre persone allora mangiare uccelli vivi non è una cosa così orrenda. E poi che dal punto di vista della salute è molto meglio della droga, e da quello sociale, più facile da nascondere che una gravidanza a tredici anni. Ma credo che finché non arrivai alla maniglia della macchina continuai a ripetermi mangia gli uccelli, mangia gli uccelli, e via così. (Uccelli vivi, pag. 43)
La pesante valigia di Benavides, di Samanta Schweblin, Fazi editore 2010, traduzione di Maria Nicola, pagg. 183
Erede della più prestigiosa tradizione letteraria, sulla scia di Raymond Carver e Flannery O’Connor, Schweblin gestisce il linguaggio in modo straordinario, con una prosa sobria ed efficace al servizio di storie che si muovono al confine tra reale e fantastico. Inquietanti e sconcertanti, i racconti di Schweblin pongono un enigma che provoca e attanaglia profondamente il lettore.
La raccolta in originale è stata pubblicata nell’ormai lontano 2010, e presenta racconti pubblicati in vari periodi, a partire dal 2002, a testimonianza di quanto questa autrice sia stata pioniera in un genere che ha acquisito nel tempo caratteristiche precise. I diciotto racconti che possiamo leggere nella edizione italiana si muovono di continuo tra realismo, fantastico e “strano”; dunque una raccolta dinamica, sorprendente e a volte disturbante.
C’è molta capacità di creare l’atmosfera giusta, una “calma tesa”: la minaccia si percepisce nel crescendo della tensione, ma il lettore non sa che forma assumerà; la sua economia disciplinata nel creare l’atmosfera ad effetto è rafforzata dal rifiuto di spiegare troppo.
Sembrano un po’ come degli aneddoti, condotti con un tono minaccioso, che inducono un crescente disagio, che semina dubbi e domande, che difficilmente trovano una risposta certa alla fine del racconto. È come trovarsi di fronte ad una distorsione del nostro mondo familiare. Come avviene in “Uccelli vivi”, o nel racconto che dà il titolo alla raccolta (nella versione italiana, perché in quella argentina è “Uccelli vivi”), o in “Nella steppa” e via così, fino all’ultimo, “Sottoterra”.
Spesso, leggendo raccolte di racconti con colpi di scena intelligenti, ti rendi conto che lo stupore va via via scemando poiché inizi a cercare di anticipare le sorprese, a prefigurare un possibile “twist”; qui non succede, non ci sono colpi di scena narrativi, piuttosto un persistente senso di minaccia, come trovarsi di fronte ad un terreno minato. La Schweblin attira la nostra attenzione sulle minacce di ciò che potrebbe nascondersi nella nostra quotidianità familiare: il senso stesso di ciò che è “naturale” è costantemente minato.
Di racconto in racconto, il lettore fa un viaggio attraverso il sinistro, il lato strano delle vite ordinarie, così strano che può sembrare frutto di follia – a volte collettiva – o uscito da un incubo. La Schweblin ha una scrittura molto controllata, che sa costruire mattone su mattone una storia tesa, intrigante ma oscura, a volte senza un apparente perché, altre in modo da turbare e da fare salire l’ansia anche mentre stai leggendo comodamente seduto sul divano di casa tua. Alla fine di ogni racconto ti lascia preda di dubbi, ti spinge a cercare dentro di te le risposte, i probabili significati, quelli più improbabili, o quelli assurdi. Insomma, ti lascia in balia di te stesso e di cosa vuoi trarre da ciò che hai appena letto.
I diciotto racconti hanno molti tratti in comune, pur mantenendo la loro singolarità: condividono la carica sovversiva, una certa durezza, la trasgressione dell’ordine domestico, rompendo i connotati di innocenza o purezza, laddove meno te lo aspetti.
Julio Cortázar ha definito “shock” l’effetto che la presenza di qualcosa di strano e inspiegabile che sfida le leggi della vita quotidiana in letteratura provoca sul lettore. Ed è proprio su tali shock che si fonda il lavoro di Samanta Schweblin: ciò che è familiare e improvvisamente irrompe in qualcosa che non lo è, causando terrore. L’irruzione del fantastico non comporta un aspetto positivo e creativo, al contrario, la forza del fantastico rimane nella funzione devastante del reale senza altre opzioni.
La pesante valigia di Benavides, esordio letterario dell’argentina Samanta Schweblin ha ricevuto il Premio Nacional de las Artes e il Premio Casa de las Americas ed è stato così commentato da Mario Vargas Llosa:
Questi premi rendono giustizia ad una scrittrice che padroneggia la difficile arte del racconto, un genere severo e rigoroso che richiede esattezza, concisione ed intelligenza da parte dell’autore. Samanta ci è riuscita, dimostrando un talento e un’originalità concessi a pochi. Le sue storie si leggono con facilità, sebbene questa risulti ingannevole, perché sotto la limpidezza del suo linguaggio e la semplicità degli aneddoti narrati si intravede sempre una realtà complessa, sottile e drammatica fatta di esperienze che spesso rivelano le manifestazioni più crudeli dell’essere umano. Non ho il minimo dubbio che questa narratrice ha una brillante carriera davanti a sé.
Samanta Schweblin è nata a Buenos Aires nel 1978. Il suo primo libro, “Il nucleo del disturbo” (2002), ha vinto premi dal National Endowment for the Arts e dal Concorso Nazionale Haroldo Conti. Nel 2008 ha ricevuto il premio Casa de las Américas per il suo libro di racconti “Pájaros en la boca” (2009), tradotto in tredici lingue e pubblicato in più di venti paesi. Nel 2012 ha vinto il premio francese per racconti Juan Rulfo e nel 2014 ha pubblicato il suo primo romanzo, “Distancia de salvage“. Ha ottenuto borse di studio per residenze di scrittura in Messico, Italia, Cina e Germania e attualmente risiede a Berlino, dove scrive e tiene laboratori letterari in spagnolo. In italiano sono disponibili – oltre alla raccolta di cui vi parlo oggi -: Distanza di sicurezza, edito da Sur, 2020 e Kentuki, edito da Sur, 2019.
Avevo letto Distanza di sicurezza e Kentuki, e li ho molto apprezzati, mi incuriosisce soprattutto dalla tua presentazione, grazie mille
"Mi piace"Piace a 1 persona
Io invece sono alla prima esperienza con questa autrice. All’inizio, letto il primo racconto, mi ha molto spiazzata, poi ho capito che con lei non bisogna aspettarsi la costruzione classica del racconto…. è molto sorprendente, come stile, come impianto. Credo che piaccia molto a chi ama Poe. Grazie del tuo commento!!
"Mi piace"Piace a 2 people
Oh, il paragone con Poe mi intriga assai :). I complimenti (dovuti) sono scontati e, temo, ripetitivi, ma spero che siano lo stesso bene accetti ;).
"Mi piace"Piace a 1 persona
e come potrebbero non esserlo…. la Schweblin “sguazza” nel terrore…..
"Mi piace"Piace a 1 persona
Sai una amica spagnola mi regalò la versione originale “Pájaros en la boca “ e
Poiché il mio spagnolo non è il massimo ci misi parecchio ad arrivate alla fine , poi credo l’anno dopo usci in italiano, e lo comprai e devo dire che la sensazione di racconti “strani” che avevo avuto nella prima lettura mi è rimasta!😄ma molto molto piacevole vome lettura! Ciaooo brava come sempre
"Mi piace"Piace a 1 persona