Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Il venditore di incipit per romanzi

INCIPIT

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– La prima frase di un romanzo deve contenere un po’ dell’energia di un grido istintivo che provoca una valanga… Deve essere una scintilla che genera una reazione a catena… Ecco il motivo per cui la prima frase non è mai innocente. Essa contiene in sé, in germe, l’intera storia, l’intero conflitto. La prima frase è come un embrione pullulante di possibilità, come uno spermatozoo fortunato, se mi passa il paragone… Ah, ah, ah!
Ascoltavo queste parole solo per cortesia, ma in verità ero assorto in altri pensieri. Durante la notte, avevo fatto un sogno strampalato, quasi un incubo: sognavo me stesso mentre stilavo un elenco dei grandi problemi dell’umanità (crisi, guerre, epidemie, catastrofi), ma non riuscivo a stabilire la giusta gerarchia tra di loro e quindi li spostavo di continuo da un posto all’altro, il problema numero uno passava al quarto posto, il numero cinque al secondo, e così via. Poi, nel corso della mattina, avevo ricevuto una telefonata da Bucarest, un collega scrittore mi chiedeva di firmare una petizione per salvare Casa Monteoru. Tutto ciò mi aveva gettato in uno strano stato di distacco dalla realtà. Sulla scia di queste inquietudini, a perturbarmi si aggiunse anche il violento acquazzone abbattutosi a mezzogiorno, che sfigurò gli alberi sugli Champs-Élysées, una tromba d’acqua provocata con ogni evidenza da un destino avverso, che mi voleva rovinare la giornata, nel corso della quale mi sarebbe stato consegnato un importante premio letterario.
– Le prime parole di un romanzo sono come l’urlo di un marinaio che, scrutando l’oceano dalla coffa dell’albero maestro, a un certo punto grida che all’orizzonte si scorge terra…Lo so, le potranno sembrare un pochino patetiche, perfino grottesche, queste asserzioni. Tuttavia, se accorderà loro un po’ di attenzione, capirà quanto siano giuste… Un buon incipit di romanzo o produce quel clic metafisico, o non produce nulla.
Chi mai mi aveva presentato quella persona? E com’è che mi stava di continuo alle costole, in quel giardino segreto dove alla fine si era svolta la cerimonia di consegna di alcuni premi minori sotto un sole alquanto generoso, spuntato tra le nuvole all’ultimo istante? Il manto erboso, i cespugli di rose, i vialetti cosparsi di ghiaino minuto erano ancora imbevuti d’acqua, ma nessuno pareva intimidito da quell’universo ancora umido e fresco. Come usciti dai libri premiati lì, tutti quegli scrittori e critici, direttori di riviste e agenti letterari mi sembravano più che altro personaggi. Li osservavo stupefatto: come approfittavano a piene mani di quel garden party, come si muovevano frenetici, come si precipitavano da un tavolo carico di prelibatezze all’altro, dalle specialità giapponesi a quelle maghrebine, dalla piramide di frutta ai vassoi di dolci, ma soprattutto come approfittavano dello champagne offerto lautamente e come si scambiavano tra loro frasi e parole in codice, accompagnate da gesti e sguardi pieni anch’essi di significati e messaggi sottili.
Io stesso reggevo in mano una coppa di champagne e mi sforzavo di sorridere ogni volta che qualcuno mi si avvicinava per dirmi quanto meritassi anch’io, una buona volta, che la giuria mi degnasse della sua attenzione. Certo, non si trattava di un premio importante, non figuravo neppure ai primi posti della lista, ma avevo fatto comunque un passo significativo verso una maggiore visibilità.

Matei Vişniec

Recensione