Non finisci mai? No. Ripeti, richiami, rivivi, riproponi e ricambi perché l’infanzia persiste, la gioventù persiste, l’infanzia e la giovinezza rappresentano un futuro che inizia costantemente, un processo continuo. Lo accerchio e lo restringo senza sosta perché il corpo ricorda, sostiene e pensa, il corpo sa, non solo la mente.

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Ripetizione, di Vigdis Hjorth, Fazi 2025, traduzione di Margherita Podestà Heir, pp. 144

Ho conosciuto questa autrice al tempo dello scandalo suscitato dal suo romanzo Eredità, tradotto in Italia da Fazi, quando scrisse in modo relativamente aperto della sua famiglia e del trauma infantile che ha segnato la sua vita. In Eredità la storia è narrata da Bergljot, che è stata abusata sessualmente da suo padre da bambina. Essendo stata a lungo allontanata dai suoi genitori e dalle sue sorelle che si erano schierati compatti contro di lei confutando la sua versione, Bergljot, a distanza di anni di elusione ed esclusione dalla famiglia, è trascinata in una discussione familiare sull’eredità alla morte del padre; l’occasione dell’eredità riporta alla luce tutto il passato. Il furore mediatico scatenato dal libro è derivato dal fatto che Hjorth ha attinto alla propria storia familiare, provocando anche una confutazione – sotto forma di un altro romanzo, a tinte più “rosa” e non a caso divenuto esso stesso un bestseller – da parte di sua sorella Helga Hjorth. Ma Vigdis Hjorth ha anche insistito che Eredità è finzione, e in effetti, nell’edizione uscita in Norvegia, porta il sottotitolo “Un romanzo” sulla copertina.
A quel romanzo ha fatto seguito Lontananza in cui ritorna il tema del rapporto madre-figlia e dell’abuso, espresso in questo caso nella produzione artistica della protagonista.

Ora in Ripetizione la questione del trauma infantile legato agli abusi del padre torna prepotentemente a galla, ripescato dalla memoria legata alle conseguenze che tali abusi hanno causato, come una reazione a catena, nella vita della donna. Possiamo quindi dire che questo nuovo capitolo va a fare luce sul periodo dell’adolescenza: partendo dal personale vissuto, Hjorth amplia l’orizzonte emotivo esplorando temi universali come la solitudine, l’isolamento e l’incomunicabilità all’interno del nucleo familiare.

La protagonista di Ripetizione, una scrittrice ormai sessantenne, ripercorre la sua adolescenza tormentata, innescata da un episodio apparentemente banale durante un concerto natalizio della Filarmonica di Oslo, quando è seduta vicina a due genitori e una figlia adolescente visibilmente a disagio. L’intuire il disagio represso e il malessere della ragazzina mette in moto la macchina della memoria e, una volta tornata a casa, la donna si immerge nei suoi dolorosi ricordi.

Il titolo del romanzo rimanda a uno dei pensatori a cui l’autrice è legata, il filosofo danese Søren Kierkegaard, che nel 1843 scrisse un piccolo libro, “La ripetizione. Un saggio di psicologia sperimentale“. Il punto di partenza della sua riflessione è effettivamente un esperimento, volto a verificare se, concretamente, nella vita di tutti i giorni, è possibile ripetere una stessa esperienza portando nuovamente alla luce le medesime sensazioni – positive o negative che fossero – che l’avevano accompagnata. La ripetizione per come la intende Kierkegaard significa recuperare un evento che nel passato è già accaduto, portarlo a rinnovata esistenza e produrre di pari passo un rinnovamento interiore che dischiuda sempre nuove possibilità di interpretazione. Ed è esattamente quello che indica l’autrice nel suo prologo, e che sviluppa dallo spunto iniziale poi lungo tutto il libro (vedi Incipit).

Così ci ritroviamo di nuovo nella stessa famiglia che molti anni dopo avrebbe litigato per le successioni ereditarie che abbiamo conosciuto in Eredità. Torniamo all’autunno del 1975. La famiglia vive in una casa a schiera a Tåsen, a Oslo, ma presto si trasferirà in qualcosa di più grande e costoso. Le divisioni di classe nella capitale vengono subito evidenziate. La madre è preda di un nervosismo isterico e di un forte bisogno di controllo sulla figlia, controllo a cui invece non sottopone il fratello e le due sorelle, certo più piccole, ma alle quali sembra non prestare particolare preoccupazione. Il padre, con la sua freddezza e i ripetuti inviti alla madre di lasciare in pace la figlia, sembra rasserenarsi solo quando la figlia esce di casa e, apparentemente, l’atmosfera si rasserena.

La sua paura mi inventava, perché la paura, l’invenzione e la scrittura sono strettamente collegate.

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La madre la controlla in ogni suo movimento, ascolta dietro le porte, perquisisce la sua camera da letto, la sottopone a controinterrogatori, la fa sentire in colpa per tutto ciò che gli altri considerano normali attività adolescenziali, la costringe a mentire sui suoi spostamenti per potere frequentare gli amici. Appare subito chiaro che non è un comportamento amorevole da chioccia; anzi, la relazione sembra priva di calore e familiarità. Agli occhi della figlia, la madre appare afflitta da un’ossessione nevrotica, “una follia che non capivo, ma alla quale ovviamente contribuivo semplicemente con la mia esistenza“.

Aveva paura che io cedessi alle tentazioni di gioventù, alle droghe fatali che venivano dagli Stati Uniti, aveva paura che ne diventassi dipendente, che andassi a letto con i ragazzi, rimanessi incinta e mi sputtanassi. Evidentemente fiutava in me la presenza di un abisso e faceva in modo che anch’io lo subodorassi. Mi sorvegliava con il suo sguardo vigile e sospettoso per scoprire i segni dell’inizio della fine e presto mi misi a farlo anch’io, imparando così ad analizzare me stessa con ansia.

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La profonda sfiducia che la pervade segna in modo indelebile la formazione della sua identità. Da un lato, alimenta la paura di essere intrinsecamente difettosa, di celare dentro di sé un potenziale di autodistruzione. Dall’altro, la spinge verso un’impellente necessità di liberazione, di trascendere i propri limiti. Nei rari momenti di spensieratezza giovanile, scopre l’ebbrezza dell’alcol, che su di lei esercita un effetto amplificato rispetto ai coetanei.

Durante una festa, vive il suo primo, goffo rapporto sessuale con un ragazzo. Nel suo diario, trasfigura l’esperienza in un racconto intensamente erotico, ma non veritiero. La scoperta del diario da parte della madre scatena una reazione furiosa. In preda all’isteria, la madre mostra il testo al padre, che nel cuore della notte esce di casa furente e si ubriaca.

La ragazza, devastata dall’incidente, si ritrova a lottare con pensieri suicidi. Tuttavia, questo evento traumatico funge da catalizzatore, gettando luce sulle oscure radici del comportamento dei suoi genitori. Da adulta, i ricordi riemergono con una chiarezza inquietante: suo padre l’ha abusata durante l’infanzia. La madre, tormentata dal sospetto, vive nel terrore che la figlia, cedendo a comportamenti “tipici” delle vittime di abusi, possa confermare le sue peggiori paure. Il diario, con le sue confessioni erotiche, diventa la prova schiacciante di questa minaccia.

L’abuso si rivela una realtà inaccettabile per la madre, un abisso di cui non può sopportare la vista. Prigioniera di un matrimonio con un uomo autoritario, il divorzio è una via di fuga preclusa. Quando la figlia adulta cerca di portare alla luce la verità, si scontra con il muro della negazione, venendo accusata di menzogna. Come abbiamo visto in Eredità, la famiglia sacrifica la figlia per preservare la facciata di normalità, espellendola dal proprio cerchio.

L’autrice riesce a trasmettere con potenza l’oppressione subita dalla protagonista, il suo costante senso di inadeguatezza e la ribellione che ne consegue. La scelta della protagonista di non discolparsi dalle accuse ingiuste della famiglia rispetto al presunto rapporto sessuale col ragazzo, pur potendo farlo, è un atto di resa amara, frutto di una stanchezza profonda e della consapevolezza che nulla cambierebbe.

La parte finale ci riporta al presente, con la protagonista adulta e distante dai genitori. La narrazione conduce il lettore lungo il filo delle riflessioni su quello che è conseguito a quegli eventi. La protagonista si chiede come hanno potuto convivere, consapevoli dell’abuso? La figlia ipotizza che la madre, priva di indipendenza economica e istruzione, non avesse alternative. Ma questa è l’unica verità? Possiamo immaginare i genitori anziani, in un’apparente tranquillità, confrontarsi con il passato? Le riflessioni della figlia adulta, le sue “verità”, sono forse anch’esse velate da meccanismi di difesa? E se il cuore pulsante del romanzo non fosse l’incesto, ma l’assenza di amore materno? L’eredità materna è un fardello di isteria e rabbia, un peso che la figlia è costretta a sopportare. Non è tanto l’abuso in sé, quanto la sua gestione, a rivelare il fallimento più profondo: l’incapacità di una madre di proteggere e amare.

Oltre al trauma dell’incesto e al silenzio complice, il romanzo suggerisce un’ulteriore dimensione di conflitto: la rivalità erotica tra madre e figlia. Sebbene il padre mantenga una distanza fisica dalla figlia, sembra riconoscerne e rispettarne l’indipendenza, una qualità che manca alla moglie. La gelosia materna si manifesta in modo eclatante con la scoperta del diario, quando i sospetti si trasformano in certezza. Lo sguardo di “odio” lanciato alla figlia dopo il ritorno del padre, la porta sbattuta e la scena in camera da letto, tutto contribuisce a delineare un triangolo edipico. Per un’autrice come Hjorth, interessata alle teorie freudiane, queste scene sono cariche di significato.

La successiva riflessione della figlia, ormai adulta, sulla possibilità che la madre abbia cercato di “proteggerla” chiudendo la porta, suona come una giustificazione forzata. Piuttosto, il comportamento materno può essere interpretato come una reazione di gelosia e competizione. La pubertà della figlia, l’emergere della sua sessualità, potrebbero essere stati vissuti dalla madre come una minaccia, come una sfida al suo ruolo di donna. In quest’ottica, l’isteria materna si rivela non solo come una reazione al trauma, ma anche come un’espressione di rivalità.

È un colpo al cuore scoprire che tua madre ti ha abbandonato, non per un’impotenza comprensibile, ma per una scelta deliberata: la sua sicurezza, la sua comoda menzogna. La rivelazione che, nel profondo, l’amore materno è mancato, è un dolore che paralizza, un’angoscia che risuona come un eco dalle pagine iniziali del romanzo. È un tradimento che lacera l’anima, la consapevolezza che il legame più primario è stato reciso da un egoismo inaspettato.

Il romanzo di Vigdis Hjorth si addentra nelle zone oscure della psiche familiare, svelando come il silenzio e la negazione possano perpetuare il trauma. Ripetizione non si limita a denunciare l’incesto, ma esplora le dinamiche di potere, la complicità e la mancanza di amore che possono devastare un individuo. Attraverso la voce della protagonista, Hjorth mette in discussione le nozioni di verità e memoria, invitando il lettore a confrontarsi con le ambiguità e le contraddizioni che definiscono le relazioni umane. Il romanzo è un’indagine spietata sulla capacità di sopravvivere al trauma e sulla ricerca di una voce autentica in un mondo di silenzi.

La mente si scontra con un limite e, quando scrivo, vado a urtare quel limite, per questo scrivo, lavoro con questo limite per capire cosa ha peso e cosa ha significato, sì, riscrivo e riproduco, come il pittore ha creato diverse versioni dell’urlo, ripeto e vario la ripetizione, senza vergogna, con i nervi scoperti e i rigurgiti acidi, ma necessari, per essere in grado di elaborare, capire, lasciarmi alle spalle o rafforzare in me l’amarezza e l’entusiasmo, per cambiare me stessa ripetendo e variando i modelli, per far questo evoco mia madre, evoco mio padre, evoco i miei genitori, queste due tristi figure che ho amato, perché chi altro avrei potuto amare, non sono mai stata indifferente verso di loro e loro non lo sono stati verso di me, giustificati e colpevoli verso di me, timorosi di me nel doppio senso della parola, e a ragione

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Qui potete leggere l’incipit.

Nata a Oslo nel 1959, Vigdis Hjorth è una delle scrittrici norvegesi più conosciute e stimate. Ha esordito nel 1983 con Pelle-Ragnar i den gule gården, grazie al quale il Ministero della Cultura norvegese le ha attribuito il premio per il miglior romanzo d’esordio. Ha pubblicato più di trenta libri, tra cui una ventina di romanzi, conquistando numerosi premi letterari. Eredità (Fazi Editore, 2020), incluso nella rosa dei finalisti del National Book Award for Translated Literature nel 2019, è il romanzo con cui ha ottenuto la fama internazionale. Fazi Editore ha pubblicato anche Lontananza (2021), finalista all’International Booker Prize 2023.