Rientrai di malumore quella sera e mentre mi spogliavo per mettermi a letto, pensavo che Giulio mi portava in pineta e si divertiva a baciarmi, e intanto il tempo passava senza che mi avesse chiesta ancora. E io ero impaziente di sposarmi. Ma pensavo che dopo sposata volevo essere libera e godermela un mondo, e invece forse con Giulio non sarei stata libera per niente. Forse avrebbe fatto con me come il padre, che sua moglie l’aveva chiusa in casa perché diceva che il posto di una donna è fra le mura domestiche. (pag.12)
La strada che va in città, e altri racconti, di Natalia Ginzburg, Einaudi
Il volume assembla il romanzo breve “La strada che va in città” e tre racconti, oltre ad un discreto materiale critico. Contiene anche la prefazione scritta dall’autrice in occasione della pubblicazione del volume “Cinque romanzi brevi” del 1964.
“La strada che va in città” è la sua prima opera, pubblicata nel 1942, a ventisei anni, con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte a causa delle leggi razziali e scritta a Pizzoli in provincia dell’Aquila nel periodo di confino che lì trascorse con il marito Leone Ginzburg e i tre figli. Il lavoro fu poi ristampato nel 1945 sotto il nome dell’autrice.
Come fa notare Garboli nell’introduzione, in questo primo romanzo sono già presenti molti elementi – di contenuto e stilistici – che poi ritroviamo nelle sue opere maggiori, “Lessico famigliare” e Voci della sera”.
Uguale è l’attenzione prestata alle apparenze, alla futilità, agli atteggiamenti, ai vestiti dietro i quali la vita si nasconde e si manifesta. (..) Perfino il rapporto tra le due sorelle, la nubile e la maritata, Delia e Azalea, si lascia leggere come il precedente di quello tra Natalia e Paola nel Lessico.
Con un impetuoso realismo ma senza alcun giudizio morale, Natalia Ginzburg dà la parola a Delia, una sedicenne che vive in un paesello alle porte della città, in una casa misera e scalcinata, con i genitori – la mamma sarta, il padre elettricista -, cinque fratelli, e un cugino orfano, il Nini, a cui la lega un rapporto contrastato.
Delia appare come una ragazza fredda, egoista e “cattiva”, come sia Giulio che il Nini, nonché il fratello Giovanni, la apostrofano. Disprezza i suoi genitori, la sua casa, il paese in cui vive, vuole fuggire dalla miseria, dallo squallore, dalle maldicenze e scappa, appena le è possibile, in città, dove vive la sorella maritata e dove le sembra che tutto sia più allettante.
Delia frequenta Giulio, il ricco figlio del dottore, in segreto, perché né suo padre né i genitori di Giulio vedrebbero di buon occhio la cosa, come poi ben si manifesterà nel prosieguo della storia. Il Nini, trovato lavoro in fabbrica, va a vivere con Antonietta, una vedova più grande di lui, che Delia detesta. Il Nini ama leggere i suoi libri e crede nel fatto che il lavoro sia l’unica possibilità di sganciarsi dalla vita del paese. Lo consiglia anche a Delia, che però non ne vuole sapere e anzi crede che l’unico modo per riscattarsi sia un matrimonio d’interesse. Del resto, ha davanti l’esempio della sorella maggiore, Azalea, sposata con un uomo molto più anziano, poco presa dal senso di maternità, e più interessata a farsi un giovane amante.
Delia e Giulio continuano a frequentarsi finché accade “l’irreparabile”: una gravidanza che scombussola tutti i rapporti. Il padre caccia Delia di casa, la madre la affida ad una zia che continua a farle la morale, Giulio non si degna nemmeno di andarla a trovare, e i genitori di Giulio fanno di tutto per evitare il matrimonio riparatore. E il Nini? Il Nini, che di Delia era innamorato, alla fine si deve arrendere al fatto che i suoi sentimenti erano mal riposti.
Delia alla fine avrà quello che voleva: Giulio la sposerà, andranno a vivere in città, in una bella casa ben arredata, avrà perfino la serva che la solleverà da ogni fatica, persino quella di essere madre. Ma sarà felice?
Ma forse la sola cosa che volevo era tornare com’ero una volta, mettere il mio vestito celeste e scappare ogni giorno in città, e cercare del Nini e vedere se era innamorato di me, e andare anche con Giulio in pineta ma senza doverlo sposare.
Un romanzo che dischiude già la maestria di Natalia Ginzburg nel raccontare le storie. Uno stile che io adoro: lineare, asciutto, senza “sbrodolate” – cito un termine caro all’autrice -, senza sentimentalismi né indulgenze. Sembra facile, ed invece è la cosa più difficile. Uno stile che mi riporta al mio amato Pavese, quello di “La bella estate” e “La spiaggia”, solo per fare un esempio.
Un romanzo che consiglio di leggere e rileggere, soprattutto a chi ama scrivere, perché questo è davvero un manuale di scrittura creativa.
Natalia Ginzburg appartiene alla lunga, ahimè, lista di autrici/autori che mi riprometto di leggere da troppo tempo: farò tesoro delle tue parole e vedrò di farle scalare un po’ di posizioni in wishlist. Intanto sono sicura che questa lettura darà i suoi frutti e migliorerà ancora la tua già eccellente scrittura :).
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Alcuni autori sono inarrivabili. Sono i veri scrittori, quelli che diventeranno i classici.
Buone letture!!
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intensa
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e apparentemente semplice
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apparenze vertiginose
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Bello, Natalia Ginzburg è una delle maggiori scrittrici italiane del Novecento, ho letto quasi tutto quello che ha scritto, forse tutto, e anche se alcune cose oggi appaiono un po’ datate, nell’insieme la sua opera è ancora attuale e la sua prosa eccezionale
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Concordo!!
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Della Ginzburg ho amato tutto, fino a La Corsara di Sandra Petrignani, che ne racconta magistralmente la storia
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Grazie che hai citato il libro della Petrignani 👍
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