Addio vacanze, bentornata routine! Ma non disperiamoci: dopo le letture leggere e spensierate dell’estate, è ora di tuffarsi in storie più intense e profonde. Settembre è il mese perfetto per scoprire le novità letterarie che ci faranno dimenticare lo stress del rientro, un vero e proprio tesoro per gli amanti della lettura. Nuovi mondi da esplorare, emozioni da vivere, conoscenze da acquisire: la lettura è il nostro passepartout verso un universo infinito.

Ecco allora la carrellata di libri che vi propongo per rendere uniche le vostre esperienze di lettura.

PER CHI SI INTERROGA SULLE SFIDE GENERAZIONALI E AMA I PERSONAGGI NON CONVENZIONALI

Emma ha trentasei anni e vive a Londra da dodici, una mattina si sorprende adulta: ha un gatto stabile, un compagno stabile, un lavoro stabile in un’università prestigiosa. Sta addirittura per comprare casa e smetterla con la sequela degli amati appartamenti in affitto. Si ritrova involontariamente ossessionata dagli sportelli della cucina, controlla le linee che le stanno comparendo sul viso, mentre si interroga sulla differenza che c’è tra lei e le sue alunne, tra la sua relazione duratura e monogama e il loro modo di destreggiarsi tra varie situazioni sentimentali.
Quello che per anni ha chiamato ‘futuro’ adesso è presente e irrevocabile. Cos’è che l’ha portata in quel preciso punto della vita? Da cos’è composta la sua identità?
Intorno a questo interrogativo, si raccolgono le esperienze che hanno segnato la sua storia: dalla famiglia ormai distante al rapporto con gli uomini e il sesso, dalla relazione con le amiche alla questione, irrisolvibile, della maternità.
Emma sa di essere evoluta eppure rimangono molte domande su questa crescita, questi traguardi raggiunti. E mentre le ore scorrono, emergono dal passato dubbi, disfatte, e le tracce di cose accadute e cadute nel silenzio, cose che suo malgrado l’hanno cambiata per sempre…
La più brava è un esordio eclettico, pieno di ironia e pensiero sul mondo, con una protagonista calata nella contemporaneità, voce delle fatiche e della bellezza del diventare donne oggi.
La sua autrice, Carolina Bandinelli, ci porta con sé in una dimensione generazionale che parla di expat e di desideri, di contagi e conforti, di femminismo e consapevolezze, del non sentirsi mai all’altezza, del non poter essere – nonostante tutto – le più brave.

Se non l’avete ancora letto, vi consiglio il romanzo Il cognome delle donne di Aurora Tamigio, vincitore del Premio Bancarella e del Premio John Fante Opera Prima.
Il cognome delle donne è un affresco coinvolgente e appassionante che ci trasporta nella Sicilia di inizio secolo, fino a giungere agli anni Ottanta. La storia si dipana attraverso le vite di tre generazioni di donne, legate da un filo invisibile fatto di amore, resilienza e determinazione.Rosa, la matriarca, è un personaggio indimenticabile: forte, tenace eppure dolce come un fiore di campo. La sua figura si staglia sullo sfondo di una società patriarcale, dove le donne sono spesso relegate a ruoli secondari. Eppure, è proprio grazie alla sua forza che la famiglia sopravvive e si evolve.

Le figlie di Rosa, ciascuna con la propria personalità e i propri sogni, rappresentano le diverse sfaccettature della condizione femminile in un’epoca di grandi cambiamentiPatrizia, ribelle e intraprendente, Lavinia, sognatrice e appassionata di cinema, e Marinella, giovane e inquieta, incarnano le aspirazioni e le frustrazioni di intere generazioni.

Il romanzo non è solo una storia di famiglia, ma anche un affresco sociale che ci permette di rivivere momenti chiave della storia italiana, dal dopoguerra all’avvento della televisione. Gli oggetti quotidiani, la musica, i fatti di cronaca diventano i tasselli di un mosaico che restituisce un’immagine vivida e autentica del passato.
Il cognome delle donne è un romanzo che commuove, fa riflettere e diverte. La scrittura di Aurora Tamigio è fluida e coinvolgente, uno stile semplice e diretto, ma allo stesso tempo ricco di sfumature, capace di farci entrare in sintonia con i personaggi e di farci vivere le loro emozioni. La trama si sviluppa con ritmo serrato. È un omaggio alle donne, alle loro lotte e alle loro conquiste, ma è anche una riflessione sulla forza dei legami familiari e sull’importanza della memoria. Un libro che consiglio a tutti coloro che amano le storie di famiglia, le saghe femminili e la letteratura italiana contemporanea.

Viva il lupo ci conduce nel cuore pulsante dell’industria musicale, svelando le sue luci e le sue ombre. Gabriele Purotti, noto come Puro, ha poco più di cinquant’anni ed è il leader dei Dorita, uno dei gruppi rock più in vista della scena indie italiana; è anche un celebre giudice di un talent show. Un giorno si sveglia senza voce e l’evento lo spinge a fare i conti con una crisi esistenziale che lo porta a rivalutare le proprie scelte e il proprio impatto sugli altri. La perdita della voce diventa l’occasione per un profondo viaggio introspettivo, un percorso di redenzione che lo porterà a scoprire un lato di sé inaspettato.

Il romanzo è un affresco generazionale che dipinge un quadro vivido dell’Italia contemporanea, con i suoi giovani talenti in cerca di affermazione e le loro fragilità; sono il riflesso di una società in continua evoluzione, dove il successo è spesso misurato in termini di visibilità e popolarità. Attraverso le vicende di Puro e dei giovani concorrenti, Carotenuto riflette sulla responsabilità del successo, sull’importanza dell’empatia e sul valore delle relazioni umane. La musica, filo conduttore della narrazione, è uno strumento di comunicazione e di introspezione. È attraverso le note e le canzoni che i personaggi esprimono i loro sentimenti più profondi, le loro paure e le loro speranze.

Puro, nel corso della sua ricerca, si rende conto della responsabilità che grava sulle sue spalle. Le sue parole, pronunciate da giudice severo e implacabile, hanno segnato la vita di molti giovani, lasciando ferite profonde e indelebili. Attraverso il suo percorso di redenzione, Puro scopre il valore della gentilezza, dell’empatia e dell’ascolto. Impara che il vero successo non si misura in termini di fama e ricchezza, ma nella capacità di stabilire relazioni autentiche e significative con gli altri.

Una casa di ferro e vento è un romanzo che si dipana come un ricamo, intessendo con delicatezza la storia di una famiglia straordinaria sullo sfondo di un’Italia che cambia. La villa Badoni, ormai in rovina, è il cuore pulsante di questa narrazione, un luogo carico di ricordi e di segreti che si svelano lentamente, pagina dopo pagina. Al centro del romanzo troviamo quattro sorelle Badoni, ognuna con una personalità unica e un destino segnato dalle vicende storiche e dalle scelte familiari. Laura, la ribelle, Sofia, la romantica, Piera, la poetessa, e Adriana, la pragmatica, sono figure femminili complesse e affascinanti, che incarnano i valori e le contraddizioni di un’epoca. Le loro voci si intrecciano, creando un coro polifonico che ci permette di comprendere a fondo la loro storia e le loro relazioni.
Il patriarca Giuseppe Riccardo Badoni è un personaggio imponente, un imprenditore visionario che ha costruito un impero industriale. Ma dietro la facciata dell’uomo forte si cela un animo tormentato, segnato dalla perdita del figlio e da un profondo senso di solitudine; è un uomo rigido e autoritario, incapace di mostrare le proprie emozioni e di accettare i limiti della propria autorità. Il suo rapporto con le figlie è segnato da un amore profondo ma anche da una distanza incolmabile. Il suo diario, affidato a Marta, diventa la chiave per comprendere i suoi segreti più intimi e per riconnettersi con il passato.

Il romanzo è anche un affresco dell’Italia del Novecento, dalle turbolenze del primo dopoguerra alla ricostruzione, fino agli anni del boom economico. La storia della famiglia Badoni si intreccia con le vicende del Paese, offrendo un ritratto vivido e appassionante di un’epoca che ha profondamente segnato la nostra storia.

Da una delle voci più forti e raffinate della letteratura olandese contemporanea, un romanzo sulla solitudine e la singletudine come vocazione esistenziale, sulla partita tra individuo e legami famigliari, e sul corpo come unico appiglio a cui aggrapparsi contro la volatilità del sentimento.

Gerbrand Bakker con Quelli che restano ci immerge in un’atmosfera sospesa e malinconica, dove la solitudine è protagonista indiscussa. Simon, il protagonista, è un uomo segnato da un’assenza che lo accompagna fin dalla nascita: quella del padre, che aveva abbandonato sua madre quando era incinta e che era poi scomparso nel disastro aereo di Tenerife, del 1977, il più grave della storia dell’aviazione, con centinaia di vittime.
La vita di Simon è un riflesso della sua anima: quieta, quasi immobile. La sua routine, fatta di tagli di capelli e nuoto, è un modo per anestetizzare il dolore di una perdita che non ha mai elaborato. Il passato, un tabù in famiglia, incombe su di lui come un’ombra, impedendogli di vivere pienamente il presente.
L’arrivo di uno scrittore che vuole raccontare la sua storia diventa l’occasione per Simon di riaprire vecchie ferite e cercare risposte. Attraverso il racconto degli altri, tenta di ricostruire un ritratto del padre, di comprenderne i motivi e di dare un senso al suo gesto. Ma è un viaggio tortuoso e doloroso, che lo costringe a confrontarsi con i propri demoni interiori.

Il corpo diventa per Simon un rifugio, un luogo dove trovare conforto e un senso di appartenenza. Il nuoto, la sua più grande passione, è una metafora della sua ricerca di un contatto profondo con se stesso e con gli altri. Ma anche qui, la solitudine lo accompagna, nonostante l’attrazione che prova per un ragazzo con disabilità intellettive. Bakker scrive un romanzo crudo e toccante, dove la solitudine è esplorata in tutte le sue sfaccettature. È un romanzo sulla difficoltà di costruire relazioni autentiche, sull’impatto che la perdita di un genitore può avere sulla vita di un individuo, e sulla complessità dei legami familiari.

La scrittura di Bakker è precisa e evocativa, capace di creare atmosfere dense e suggestive. È un romanzo che ci invita a riflettere sulla nostra vita, sulle nostre perdite e sui nostri desideri più intimi. Se siete alla ricerca di un romanzo che vi tocchi nel profondo, Quelli che restano è un’opera da non perdere. Un libro intenso e introspettivo, che ci accompagna in un viaggio emozionante alla scoperta di noi stessi.

Terre piatte di Noreen Masud è un’opera introspettiva e profonda, un viaggio attraverso paesaggi fisici e interiori alla ricerca di un’identità sfuggente. L’autrice, con una prosa delicata e evocativa, ci conduce in un percorso che va ben oltre la semplice descrizione di luoghi: è un’esplorazione della memoria, del trauma, dell’eredità coloniale e del senso di appartenenza.
Le terre piatte del titolo non sono solo i paesaggi inglesi che l’autrice attraversa, ma anche i vuoti interiori che porta con sé dal Pakistan. Questi spazi spogli e silenziosi diventano il riflesso delle sue ferite più profonde, il luogo dove i ricordi riaffiorano e le domande trovano una parziale risposta. Il legame tra l’autrice e questi luoghi è intimo e profondo, un dialogo costante tra l’esterno e l’interno.

Attraverso il filtro della natura, Masud riflette su temi complessi come il colonialismo, il postcolonialismo e l’identità. Il suo essere pakistana in Inghilterra, la sua esperienza di ripudiata dalla famiglia, sono elementi che plasmano la sua visione del mondo e la sua percezione di sé. La memoria diventa uno strumento fondamentale per ricostruire il proprio passato e per comprendere il presente.
Terre piatte è un libro intimo e personale, ma al tempo stesso universale. Le esperienze dell’autrice risuonano in molti lettori che hanno vissuto esperienze simili di sradicamento, di perdita e di ricerca di sé. Il libro è un invito a guardare dentro di sé, a confrontarsi con le proprie ombre e a trovare la forza di ricominciare.

Aramburu accompagna il lettore in un’esplorazione psicologica e letteraria. Il suo nuovo romanzo è carico di emozioni profonde e contrastanti, ma soprattutto pieno di amore, l’amore infinito per i figli che unisce e divide, che fa nascere e può spezzare le famiglie.

Fernando Aramburu è uno dei miei autori preferiti, il suo Patria è uno dei più bei romanzi degli ultimi anni; con la sua maestria narrativa, torna a toccare le corde più profonde dell’animo umano in Il bambino. Ambientato nel contesto storico e geografico già esplorato in Patria, il romanzo ci immerge in una storia di dolore, perdita e resilienza che lascia un segno indelebile. Il romanzo è un inno alla vita, ma anche un doloroso promemoria della fragilità dell’esistenza.

A partire da un evento tragico, l’esplosione che porta via la vita di numerosi bambini, tra cui Nuco, il nipote di Nicasio, Aramburu dipinge un quadro toccante e realistico del lutto e delle sue conseguenze. La figura di Nicasio, ossessionato dal ricordo del piccolo e incapace di accettare la sua assenza, è un ritratto struggente della follia che il dolore può generare. La famiglia di Nuco, unita dal dolore ma profondamente segnata da esso, rappresenta un microcosmo in cui si intrecciano le diverse reazioni al lutto. Mariaje, la madre, combatte tra il desiderio di ricominciare a vivere e la necessità di confrontarsi con i segreti del passato; José Miguel, il padre, si aggrappa alla moglie e ai ricordi nella speranza di trovare un senso a tutto ciò.

È un’opera che parla al cuore e che ci ricorda l’importanza di affrontare il dolore, anche quando sembra impossibile; è un romanzo che consiglio a tutti coloro che amano la letteratura impegnata e che sono alla ricerca di una lettura che li faccia riflettere sulla vita, sulla morte e sul significato dell’esistenza.

Dal premio Pulitzer Richard Ford un nuovo romanzo che ha per protagonista Frank Bascombe. La saga è composta da quattro romanzi: Sportswriter, Il giorno dell’indipendenza, Lo stato delle cose Tutto potrebbe andare molto peggio. Il giorno dell’indipendenza, è stato il primo romanzo a vincere sia il Premio Pulitzer per la narrativa che il Premio Faulkner.
Richard Ford ci sorprende ancora una volta con Per sempre, regalandoci un nuovo capitolo della saga di Frank Bascombe. Pensavamo di averlo lasciato alle spalle, ma l’autore ci riporta nel mondo di questo personaggio complesso e affascinante, ora alle prese con una delle sfide più difficili della vita: assistere il figlio malato.
Il romanzo è un intenso viaggio interiore ed esteriore. Frank, invecchiato e più solitario, si trova a confrontarsi con la mortalità in modo diretto e crudo. La malattia di Paul diventa il catalizzatore di una riflessione profonda sulla vita, la morte, il legame padre-figlio e il senso dell’esistenza.

Il rapporto tra Frank e Paul, così diverso eppure così profondo, è il cuore pulsante della narrazione. I loro dialoghi, a tratti comici e a tratti strazianti, ci offrono uno spaccato autentico della condizione umana. Ford riesce a ritrarre con maestria la fragilità e la forza di questo legame, regalandoci momenti di grande intensità emotiva. Nonostante il tema centrale sia la malattia e la morte, Per sempre non è un libro triste. Al contrario, è permeato da una profonda umanità e da una sottile vena di ironia. Frank, con il suo caratteristico stoicismo, affronta la situazione con coraggio e dignità, senza mai perdere di vista la bellezza della vita.
Ford conferma il suo talento di narratore, offrendoci un romanzo maturo e toccante. La scrittura è limpida e precisa, capace di evocare immagini e sensazioni intense. Se siete già fan di Frank Bascombe, non potete perdervi questo nuovo capitolo della sua storia. Se invece non conoscete ancora questo personaggio, Per sempre è un ottimo punto di partenza per scoprire l’opera di Richard Ford. Un romanzo che parla al cuore e che ci accompagna in un viaggio emozionante e indimenticabile.

Paolo Malaguti ci immerge nel cuore della bassa padana, in un mondo dominato dall’acqua, dalla nebbia e da una natura selvaggia e imponente. La storia di Fumana è un viaggio affascinante e introspettivo, che ci racconta di una donna forte e determinata, destinata a un ruolo speciale.
Nata durante una terribile alluvione, Fumana sembra fin da subito segnata da un destino particolare. Cresciuta tra le paludi e i canali, sotto l’ala protettiva del nonno Petrolio, sviluppa un legame profondo con la natura e un’intuizione straordinaria. Ma è l’incontro con Lena, la “strigossa” del paese, a rivelare il suo vero dono: la capacità di guarire e di leggere nell’anima delle persone.

Malaguti dipinge un quadro vivido della vita di campagna, con i suoi ritmi lenti, le sue tradizioni e le sue superstizioni. La figura di Fumana si staglia su questo sfondo, come un faro che illumina le tenebre. La sua storia è un inno alla vita, alla resilienza e alla capacità di superare le avversità. È un libro che parla di radici, di tradizioni, di legami familiari, di donne forti. La narrazione è fluida e coinvolgente, alternando momenti di grande intensità a passaggi più delicati. La storia di Fumana è un viaggio iniziatico, una ricerca delle proprie radici e della propria identità.

Diego De Silva abbandona temporaneamente il suo iconico Vincenzo Malinconico per addentrarsi in un territorio più intimo e universale: la fine di un amore. L’autore ci regala un romanzo che va oltre la semplice narrazione di una separazione, trasformandosi in un’analisi profonda e delicata dei sentimenti che accompagnano questo doloroso passaggio.
Fosco e Alice, due anime legate da un passato intenso, si ritrovano a dover affrontare l’inevitabile addio. Attraverso le loro voci, l’autore ci conduce in un labirinto di emozioni contrastanti: dolore, rabbia, rimpianto, ma anche tenerezza e nostalgia. Le loro parole, filtrate dai rispettivi avvocati, ci offrono un quadro completo e multi-sfaccettato di una relazione che si spezza.
De Silva, con la sua maestria narrativa, riesce a rendere palpabile la complessità dei sentimenti che accompagnano una separazione. Non si limita a descrivere le dinamiche legali e burocratiche, ma scava a fondo nell’animo dei protagonisti, svelando le loro fragilità e le loro paure.

Il romanzo è un’ode all’amore, anche quando questo finisce. È un invito a non dimenticare le gioie e le emozioni vissute insieme, a cercare un senso di chiusura e a trovare la forza di andare avanti. La scelta di far ritirare i protagonisti in una casa del passato è una mossa geniale. In questo luogo carico di ricordi, Fosco e Alice ripercorrono la loro storia, cercando di dare un senso a ciò che è stato. È un viaggio doloroso ma necessario, che li porta a confrontarsi con le proprie responsabilità e a trovare un nuovo equilibrio.

Alena Mornštajnová , con Hana, ci regala un romanzo che va ben oltre la semplice narrazione di una storia. È un’immersione profonda nell’animo umano, un’esplorazione del passato che si intreccia con il presente, lasciando nel lettore un senso di profonda commozione.
La storia di Mira, una bambina orfana e costretta a confrontarsi con la misteriosa zia Hana, è il fulcro attorno al quale ruota l’intera narrazione. Attraverso i suoi occhi, entriamo in un mondo fatto di silenzi, di segreti e di un dolore profondo, celato dietro uno sguardo perso nel vuoto. Mornštajnová ha la straordinaria capacità di farci vivere sulla nostra pelle le emozioni dei personaggi. Sentiamo la paura di Mira, la solitudine di Hana e la forza di Elsa, una figura materna che lascia un segno indelebile nel cuore.

La struttura narrativa, che alterna il presente di Mira al passato di Hana ed Elsa, arricchisce ulteriormente la storia. Scopriamo come gli eventi bellici abbiano segnato profondamente la vita di queste donne, come l’amore e la speranza possano essere distrutti dalla guerra e come, nonostante tutto, la vita continui a scorrere. Hana è un romanzo che tocca temi universali come la famiglia, l’amore, la perdita e la resilienza. È un libro che ci invita a riflettere sul peso del passato e sulla capacità di guarire le ferite dell’anima. Non è un caso che questo romanzo abbia conquistato il Czech Book Award e sia diventato un best seller. È un’opera che merita di essere letta e riletta, un gioiello della letteratura contemporanea che lascia un segno indelebile nel cuore di chi lo legge; è un romanzo che consiglio a tutti coloro che amano le storie intense e profonde, che cercano nei libri un’occasione per riflettere sulla vita e sulle sue complessità. È un libro perfetto per chi ama la letteratura femminile e per chi è interessato alla storia del XX secolo.

Andrés Montero ci trasporta in un’isola misteriosa, un luogo fuori dal tempo dove passato e presente si intrecciano in un racconto avvincente e profondo. La storia di Jerónimo e Julián, due gemelli separati dalla vita e riuniti dopo decenni, è il fulcro di un romanzo corale che esplora i temi dell’identità, della famiglia, della memoria e della perdita.

L’isola, con i suoi misteri e le sue leggende, è un personaggio a sé stante. È un luogo magico, dove il tempo sembra scorrere in modo diverso e dove gli abitanti custodiscono segreti millenari. L’autore, con una prosa ricca di immagini e suggestioni, crea un’atmosfera unica, fatta di leggende, superstizioni e atmosfere oniriche. La narrazione si sviluppa attraverso le voci di numerosi personaggi, ognuno con la propria storia e il proprio punto di vista. Questo coro di voci ci offre un quadro completo della vita sull’isola, svelando i segreti del passato e i desideri del presente. Al centro della storia c’è il rapporto tra Jerónimo e Julián, due fratelli gemelli che, nonostante l’affetto che li lega, sembrano destinati a non comprendersi mai del tutto. Il loro incontro, dopo tanti anni di separazione, diventa l’occasione per ripercorrere il passato e cercare di ricucire i fili di un rapporto complesso e tormentato.

L’anno in cui parlammo con il mare è un viaggio introspettivo che ci porta a riflettere sulla fugacità del tempo, sulla vita che abbiamo vissuto e su quella che avremmo potuto vivere. È un romanzo che ci invita a confrontarci con le nostre paure, i nostri desideri e i nostri rimpianti. La scrittura di Montero è fluida e coinvolgente, capace di creare un’atmosfera magica e misteriosa. L’autore ci trasporta in un mondo lontano, fatto di leggende e superstizioni, ma allo stesso tempo profondamente umano e riconoscibile.

Romanzo vincitore nel 2024 del Prix Maison de la Presse (vinto in passato da Valérie Perrin e Michel Bussi). La fantastica storia di un misterioso ritratto di donna, visibile oggi nella Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza.

Camille de Peretti, con La Sconosciuta del Ritratto, ci regala un’opera d’arte a sé stante, un romanzo che si intreccia con la storia dell’arte, del mistero e dell’amore. Partendo da un quadro di Gustav Klimt, il cui fascino enigmatico è noto a tutti, l’autrice ci trasporta in un viaggio appassionante attraverso il tempo e i continenti, alla scoperta di una storia che va ben oltre la semplice rappresentazione di una donna su una tela.

La giovane protagonista, la cui identità rimane avvolta nell’ombra, diventa il fulcro di una trama intricata e avvincente. Dai salotti viennesi dell’inizio del Novecento, passando per la frenetica New York degli anni della Depressione, fino all’Italia contemporanea, seguiamo le tracce di questa donna e dei suoi discendenti, in un susseguirsi di eventi che ci tengono col fiato sospeso.

De Peretti, con una scrittura elegante e coinvolgente, ci regala un romanzo che è molto più di un semplice giallo storico. È un’esplorazione profonda dell’animo umano, delle passioni che ci muovono, dei segreti che custodiamo e delle cicatrici che portiamo con noi. L’autrice riesce a creare personaggi complessi e indimenticabili, ognuno con i propri sogni, le proprie paure e le proprie ambizioni.

Tracy Chevalier, dopo il grande successo de La ragazza con l’orecchino di perla, ci regala un’altra gemma con La maestra del vetro, un romanzo che ci trasporta nella Venezia del XV secolo e ci affascina con la storia di Orsola Rosso, una donna straordinaria che sfida le convenzioni e lascia un’impronta indelebile nel mondo dell’arte vetraria.

Il romanzo è un viaggio nel tempo che ci permette di seguire le vicende di Orsola e della sua famiglia attraverso secoli di storia. Dalla Venezia rinascimentale, un fulcro di ricchezza e cultura, fino all’epoca moderna, la Chevalier dipinge un quadro vivido e dettagliato di una città che cambia, ma rimane sempre affascinante e misteriosa. Orsola, una donna dotata di un talento innato per la lavorazione del vetro, è costretta a nascondere la sua passione per proteggere il suo nome e la sua famiglia. La sua storia è una celebrazione della creatività, della resilienza e della forza d’animo. La scrittrice riesce a trasmettere al lettore la passione di Orsola per il suo lavoro, la sua lotta per affermare se stessa in un mondo dominato dagli uomini e la sua profonda connessione con la città di Venezia.

Orsola è un personaggio complesso e affascinante, una donna che incarna la forza e la determinazione. Anche i personaggi secondari, come i membri della sua famiglia e i maestri vetrai, sono ben delineati e contribuiscono a rendere la storia ancora più ricca. La narrazione è fluida e coinvolgente, alternando momenti di grande intensità a passaggi più delicati. La storia di Orsola è un viaggio emozionante, pieno di colpi di scena e di sorprese. Il romanzo è un omaggio all’arte vetraria, un’arte che richiede maestria, passione e dedizione.

Francesco Recami ci trascina in un labirinto narrativo con Wunderland, un romanzo che mescola elementi di fantascienza, noir e satira sociale. La storia di Bruno Stock, un uomo apparentemente ordinario, si trasforma in un’odissea grottesca e inquietante, dove la realtà si dissolve e lascia spazio a un mondo surreale e distopico.
La vita di Bruno sembra un idillio borghese: una famiglia, un lavoro stabile, due amanti. Eppure, c’è qualcosa di innaturale in questa perfezione. La città in cui vive è un luogo asettico e controllato, dove ogni aspetto dell’esistenza è regolato da regole precise. È un mondo che ricorda una scenografia di un film, dove l’apparenza inganna e la realtà è sempre più sfuggente.
L’incontro con Trudy sconvolge l’equilibrio di Bruno. La loro relazione, passionale e trasgressiva, diventa il detonatore di una serie di eventi inaspettati. L’amore per Trudy spinge Bruno a mettere in discussione la sua esistenza e a cercare una via di fuga dalla sua monotona routine.
La leggendaria Wunderland, una sorta di parco divertimenti senza regole, diventa il simbolo della libertà e della possibilità di reinventare se stessi. Ma dietro la facciata scintillante di questa città si nasconde una realtà molto più oscura e pericolosa.

Wunderland è un romanzo che destabilizza. Recami gioca con le aspettative del lettore, costruendo un mondo ambiguo e sfuggente. La narrazione è ricca di elementi surreali e onirici, che mettono in discussione la percezione della realtà. L’autore utilizza un linguaggio tagliente e ironico, che non risparmia nessuno. Wunderland è un romanzo complesso e sfaccettato, che si presta a molteplici interpretazioni. È un’opera che stimola la riflessione e che lascia un segno indelebile nel lettore. Recami ci invita a mettere in discussione la realtà che ci circonda e a cercare il significato nascosto dietro le apparenze.

PER CHI AMA LO SPORT E CHI LO SA RACCONTARE

1971: nasce una televisione di confine che da lì in avanti farà la storia del giornalismo. Siamo a Capodistria, a pochi chilometri da Trieste, ma dentro la Federazione Jugoslava. Sono gli anni di Tito e della cortina di ferro. Telecapodistria inizia a trasmettere con mezzi di fortuna i più grandi eventi sportivi a livello mondiale. Lo fa in lingua italiana e il segnale raggiunge tutto il Nord Italia e gran parte delle regioni adriatiche: l’Italia scopre Sergio Tavcar, un giornalista diretto, privo di filtri, che racconta il basket (e tutti gli altri sport) in modo unico.
Un libro ironico che narra i primi anni Settanta per poi arrivare all’era berlusconiana: sono gli anni di Dan Peterson, Guido Meda, di una generazione di giornalisti che ritroviamo ancora oggi. Sullo sfondo di questa storia, un confine, un paese poco prima della disgregazione, un mondo altro eppure a noi vicino. Dai grandi nomi del giornalismo sportivo al racconto delle trasferte alle Olimpiadi o ai Mondiali: una serie di storie e aneddoti dove si ride, ci si stupisce e si riscopre una memoria sportiva collettiva.

PER CHI SI INTERROGA SULLE SFIDE DELLA CONTEMPORANEITÁ

La storia di come le reti di informazione hanno fatto e disfatto il nostro mondo, dall’autore del bestseller mondiale Sapiens.
Negli ultimi centomila anni, noi Sapiens abbiamo accumulato un enorme potere. Eppure, nonostante tutte le nostre scoperte, invenzioni e conquiste, oggi ci troviamo in una crisi esistenziale. Il mondo è sull’orlo del collasso ecologico. La disinformazione dilaga. E ci stiamo buttando a capofitto nell’era dell’intelligenza artificiale, una nuova rete di informazioni che minaccia di annientarci. Perché siamo così autodistruttivi? Nexus ci porta a guardare attraverso la lente della storia umana per considerare come il flusso di informazioni ha plasmato noi e il nostro mondo. Partendo dall’età della pietra, passando per la canonizzazione della Bibbia, la caccia alle streghe della prima età moderna, lo stalinismo, il nazismo e la rinascita del populismo di oggi, Yuval Noah Harari ci chiede di considerare il complesso rapporto tra informazione e verità, burocrazia e mitologia, saggezza e potere. Esplora come le diverse società e i sistemi politici nel corso della storia hanno utilizzato le informazioni per raggiungere i loro obiettivi, nel bene e nel male. E ci consente di affrontare con maggior consapevolezza le scelte urgenti che ci attendono oggi che l’intelligenza non umana minaccia la nostra stessa esistenza. L’informazione non è la materia prima della verità né una semplice arma. Nexus esplora la via di mezzo tra questi estremi e, nel farlo, riscopre la nostra comune umanità.

PER CHI AMA VIAGGIARE E SCOPRIRE PAESI E CULTURE, PER CHI SI INTERROGA SUL MONDO CONTEMPORANEO

Per capire meglio la Thailandia occorre provare a familiarizzare con il concetto di thainess, o thailandesità, l’ideologia etnocentrica che ha accompagnato lo sviluppo della nazione thailandese moderna per tutto il XX secolo e la cui eco è tutt’altro che svanita. Anzi, a ben vedere, le cause di molte delle fratture che agitano la società contemporanea, alcune più evidenti altre sottotraccia, possono essere ricondotte alla volontà di creare una cultura egemone in un paese multietnico, imposizione che spesso ha preso la forma di una thaificazione forzata e violenta. Da nord – dove persiste il pregiudizio verso il popolo isan – a sud – dove le spinte separatiste delle province a maggioranza malese e musulmana vengono represse da draconiane leggi speciali – lo scontro tra centro (Bangkok) e periferia è una ferita mai sanata. Non solo in termini geografici, ma anche gerarchici, di centralizzazione del potere, come per esempio nella sfera religiosa, dove lo stato cerca, spesso invano, di addomesticare le correnti non ufficiali del buddhismo. Anche dietro le recenti manifestazioni di piazza e i tanti colpi di scena (e di stato) si celano dinamiche simili: la contrapposizione tra chi è ai margini della società, o appartiene a una classe emergente ma ancora senza voce, e l’élite nobiliare e imprenditoriale conservatrice vicina ai centri del potere. Se vuole emanciparsi dal ruolo limitante di ambita meta turistica, far valere il proprio peso economico, proiettare il suo soft power nel mondo, la Thailandia deve prendere esempio dal coraggio e dallo spirito critico di questa nuova generazione che ha a cuore la libertà e i diritti civili. Forse, in fondo, è proprio la prepotenza a essere una caratteristica poco thailandese, in una società che ha anche un volto solare all’insegna dell’armonia, della gentilezza, dell’accoglienza di minoranze e rifugiati, della (relativa) tolleranza verso la comunità LGBTQ+. Per quanto ci si sforzi di imporre un’unica cultura, etnia e religione, la vera forza thai sembra essere invece il sincretismo, la metabolizzazione.