da “Lavorare stanca” Cesare Pavese
Incontro
Queste dure colline che han fatto il mio corpo
e lo scuotono a tanti ricordi, mi han schiuso il prodigio
di costei, che non sa che la vivo e non riesco a comprenderla.
L’ho incontrata, una sera: una macchia più chiara
sotto le stelle ambigue, nella foschia d’estate.
Era intorno il sentore di queste colline
più profondo dell’ombra, e d’un tratto suonò
come uscisse da queste colline, una voce più netta
e aspra insieme, una voce di tempi perduti.
Qualche volta la vedo, e mi viene dinanzi
definita, immutabile, come un ricordo.
Io non ho mai potuto afferrarla: la sua realtà
ogni volta mi sfugge e mi porta lontano.
Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane:
mi sorprende, a pensarla, un ricordo remoto
dell’infanzia vissuta tra queste colline,
tanto è giovane. È come il mattino. Mi accenna negli occhi
tutti i cieli lontani di quei mattini remoti.
E ha negli occhi un proposito fermo: la luce più netta
che abbia avuto mai l’alba su queste colline.
L’ho creata dal fondo di tutte le cose
che mi sono più care, e non riesco a comprenderla.
Questa è la poesia che apre “Dopo”, la seconda sezione di “Lavorare stanca”. In essa “il legame con la propria terra d’origine (è) sentito non solo come affetto, memoria che si custodisce e alimenta nell’animo, ma come qualcosa di fisico, quasi come una matrice biologica che è alla radice di tutto il nostro modo di essere” (1): uno dei temi più ricorrenti in tutta l’opera di Pavese.
Si nota subito un cambiamento, rispetto alle liriche che la precedono: dalla poesia-racconto alla poesia-immagine. Incontriamo la donna che simboleggia il mistero della natura. “La donna è qui “figura”, emblema delle colline e fatta della stessa materia. Questa donna – nata da esse e che ad esse riporta il poeta – è un elemento primordiale delle più segrete ed oscure fibre dell’essere. I suoi attributi fisici (voce, occhi) sono nel contempo paesaggio.” (1)
La sua voce, che riporta ai mattini remoti, è giovane, come l’infanzia, il mattino, l’alba: tutti elementi che danno l’idea dell’inizio. Questa donna ha negli occhi “la luce più netta” e tuttavia il poeta non riesce a comprenderla.
Secondo Geno Pampaloni, “c’è la dichiarazione della incomunicabilità, della insufficienza dell’amore di fronte alla realtà; c’è il motivo dell’amato inconoscibile che noi troviamo qui nella cellula germinale, nel primo moto dell’animo, e che costituirà uno dei grandi temi di fondo di tutta l’opera dello scrittore.”
L’immagine della donna-natura è in effetti ricorrente: come ne “La luna e i falò”, dove troviamo la donna collina o frutto, o nella poesia “Notturno” (Tu non sei che una nube dolcissima, bianca); anche ne “La bella estate” troviamo un accostamento della donna alla collina ( Io ti prendo una donna e te la stendo come se fosse una collina in cielo neutro), solo per citarne alcuni.
Vengono in mente alcuni passaggi letti nel diario di Pavese, “Il mestiere di vivere”; ne riporto uno:
“O non piuttosto scorrono semplicemente tra me e il Piemonte relazioni, alcune coscienti e altre inconsce, che io oggettivo e drammatizzo come posso in immagini: in immagini-racconto ?” (11.10.1935)
(1) S. Guglielmino “Guida al Novecento“
La luna e i falò è il mio preferito ❤
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E’ il suo ultimo romanzo e, come il mestiere di vivere, mi emoziona molto leggerlo.
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Immagino! 😉
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quanto amo pavere e…sì…la luna e i falò
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