Il conflitto che si è svolto in Bosnia ed Erzegovina tra il 1992 e il 1996 è stato una delle pagine più feroci e cruente del Novecento; in particolare, l’assedio alla multietnica e fino ad allora pacifica città di Sarajevo, è stato uno dei più lunghi e devastanti. Dal 5 aprile del 1992 al 29 febbraio del 1996, in città sotto i bombardamenti e i proiettili dei cecchini, sono morte più di 12.000 persone e più di 50.000 ne sono uscite ferite.
Ricordo molto bene le immagini che vedevamo in televisione in quegli anni; increduli, incapaci di pensare che in Europa, a due passi da noi, in una città come una qualsiasi altra città che conoscevamo, potesse accadere tutto ciò. I miei ricordi, come molti dei miei coetanei, si riallacciavano al 1984, anno delle olimpiadi invernali proprio a Sarajevo, a cui, ora, non riuscivamo ad associare le immagini tremende che vedevamo al tg.
Vi parlo di questo perché ieri mi è capitata sottomano un’edizione di poesie di Izet Serajlić, e oggi vorrei proporvi alcuni suoi versi, per cercare di non dimenticare e per ricordarci che quello che abbiamo visto allora in Bosnia Erzegovina sta ora accadendo in molti altri luoghi del pianeta, perché certe lezioni, purtroppo, non si imparano mai.
Ultimo tango a Sarajevo
Il novantaquattro, 8 marzo.
La Sarajevo degli amanti non si arrende.
Sul tavolo l’invito per il matinée di danza allo Sloga.
Naturalmente ci andiamo!
I miei pantaloni sono un po’ logori,
e la sua gonna non è proprio da Via Veneto.
Ma noi non siam a Roma,
noi siamo in guerra.
Arriva anche Jovan Divjak. Dagli stivali si vede
che viene direttamente dalla prima linea.
Quando ti chiede un ballo sembri un po’ confusa.
Per la prima volta ballerai con un generale.
Il generale non immagina l’onore che ti ha fatto,
ma, a dire il vero, anche tu al generale.
Ha ballato con la donna più celebrata di Sarajevo.
Ma questo tango – questo è solo nostro!
Per la stanchezza ci gira un po’ la testa.
Mia cara è passata anche la nostra magnifica vita.
Piangi, piangi pure, non siamo in Via Veneto,
e forse questo è il nostro ultimo ballo.
(1994)
Sarajevo
E adesso dormano pure tutti i nostri cari e immortali.
Sotto il ponte presso il II liceo femminile scorre gonfia la Miljacka.
Domani è domenica. Prendete il primo tram per Ilidža.
Naturalmente, posto che non cada la pioggia.
La noiosa, lunga pioggia di Sarajevo.
Chissà come si sentiva senza di lei Čabrinović in carcere!
Noi la malediciamo, le bestemmiamo contro, e tuttavia mentre cade
fissiamo gli appuntamenti d’amore come fossimo nel cuore di maggio.
Noi la malediciamo, le bestemmiamo contro, sapendo che essa non potrà mai
far diventare la Miljacka né il Guadalquivir né la Senna.
E con ciò? Forse per questo ti amerò di meno
e ti farò soffrire meno nella sventura?
Forse per questo sarà minore la mia fame di te
e minore il mio amaro diritto
di non dormire quando il mondo è minacciato dalla peste o dalla guerra
e quando le uniche parole rimaste sono “non dimenticare” e “addio”?
Del resto, può darsi che questa non sia neppure la città in cui morirò,
ma in ogni caso essa sarebbe stata degna
di un me incomparabilmente più sereno,
questa città dove, a dire il vero, non ho sempre avuto molta fortuna
ma dove ogni cosa è mia e dove posso sempre
trovare almeno uno di voi che amo
e dirvi che sono disperatamente solo.
A Mosca potrei fare lo stesso, ma Esenjin è morto
e Evtušenko è certamente in giro da qualche parte della Georgia.
A Parigi come potrei chiamare il pronto soccorso
se non ha risposto neppure agli appelli di Villon?
Qui, se chiamo, persino i pioppi, che sono miei concittadini,
sapranno ciò che mi fa soffrire.
Perché questa è la città dove, a dire il vero, non ho avuto molta fortuna
ma dove tuttavia anche la pioggia, quando cade,
non è solo pioggia.
1961
Izet Serajlić è considerato unanimemente uno dei principali poeti del Novecento ed è il più tradotto poeta di tutti i tempi dalla lingua serbo-croata (da autori come Brodskij, Evtušhenko, Hans Magnus Enzensberger, Roberto Retamar, Charles Simic e altri ancora). È stato il poeta testimone di una grande tragedia: la guerra di Bosnia e l’assedio di Sarajevo e la grande voce della Sarajevo città martire dalla quale si è rifiutato di fuggire. Nella guerra ha perso le sorelle Nina e Raza, e subito dopo la guerra, la moglie, provata dagli stenti e dalle ristrettezze. Di famiglia musulmana, membro del “Circolo 99” di Sarajevo, sposato con una cattolica, con un genero di religione ortodossa, ha lottato per il mantenimento di quella cultura laica della pluralità e della convivenza, che è l’eredità storica della Bosnia-Erzegovina. È stato amico fraterno di Alfonso Gatto (la sorella Raza, nota italianista aveva tradotto in serbocroato Gatto e tanti altri scrittori italiani: Morante, Rodari, ecc.).
Izet Serajlić, conosciuto come Kiko, nacque a Doboj nel 1930, nella Bosnia settentrionale, in una famiglia musulmana; nel 1945 si trasfeì a Sarajevo, dove compì gli studi universitari alla facoltà di filosofia. Nel 1954 fondò il “Gruppo 54”, un movimento di innovazione poetica; fu inoltre uno degli organizzatori delle “Giornate poetiche di Sarajevo”.
Dopo la guerra in Bosnia, grazie all’amicizia con Alfonso Gatto, iniziò a frequentare Salerno e avviò una stretta collaborazione con la “Casa della poesia” di Baronissi (in provincia di Salerno) della quale divenne presidente onorario. Ha intrattenuto un epistolario con Erri De Luca, che ha anche scritto una prefazione al libro “Qualcuno ha suonato“. Vi invito a visitare il sito della “Casa della poesia” per approfondire la vita e la poetica, e per trovare la bibliografia completa delle sue opere. Morì a causa di un infarto, nella sua Sarajevo, il 2 maggio 2002.
A proposito di Sarajevo e dell’assedio, vi suggerisco la lettura di due romanzi che mi hanno molto colpita. Uno è “Venuto al mondo” della Mazzantini. So che a sentire questo nome molti storceranno il naso, ma a me il romanzo è piaciuto molto, la storia e l’ambientazione sono di grande impatto e descrivono con grande lucidità e struggimento quegli anni.
L’altro è “Il pittore di battaglie” di Arturo Peréz-Reverte.
Da ultimo, non posso non suggerire la lettura di “La cotogna di Istanbul” di Paolo Rumiz.
Grazie per questo intenso e generoso articolo. Se me lo dici così, se me lo dici tu, quasi quasi con la Mazzantini ci provo… 🙂
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Di suo ho letto solo questo (che mi aveva raccomandato una mia ex compagna di università, originaria proprio di Sarajevo) e “Mare al mattino” e in tutta sincerità mi sono piaciuti.
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Sarajevo, credo, sia una delle pagine più nere degli ultimi trent’anni. Emerge molto chiaramente dai brani citati nel tuo post. Credo sia un chiaro monito a tutti quelli che, oggi, pensano di essere al sicuro. Purtroppo, per vari motivi, non lo siamo.
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non lo siamo davvero
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Hai ragione: troppe tensioni tutte insieme. In questo momento storico, per quanto possa essere affascinante la farsa atomica fra Stati Uniti e Corea del Nord, la vera polveriera è ancora una volta l’Europa; ma il vero contrappasso è che una buona parte di queste tensioni si lega al tentativo – per me fallito in partenza – di unirla.
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