Ma Jian è nato a Qingdao il 18 agosto 1953. Ha lavorato come riparatore di orologi, pittore di poster di propaganda e fotoreporter per una rivista diretta dallo stato. A trent’anni, abbandona il lavoro e viaggia per tre anni attraverso la Cina, un viaggio poi descritto nel suo libro Polvere Rossa (Neri Pozza, 2002).
Pechino, estate 1983. Ma Jian, pittore e poeta sulla soglia dei trent’anni, lavora come fotografo presso il Dipartimento di propaganda della Federazione dei sindacati cinesi. La sua vita è giunta in realtà a un punto di non ritorno. Separato dalla moglie, Ma Jian ha visto spegnersi nel tradimento la storia con Xi Pong, la sua seconda compagna, e accrescersi invece di giorno in giorno la stupida arroganza della burocrazia del Dipartimento. Dopo essere stato rilasciato dall’Ufficio di pubblica sicurezza, Ma Jian decide allora di dare una svolta radicale alla sua esistenza: abbandona il lavoro, mette insieme un cambio di vestiti, un quaderno, un rotolo di buoni per il riso, una copia di Foglie d’erba di Walt Whitman, e sale su un treno a vapore diretto a Urumqi, la regione più occidentale della Cina. Ma Jian dà inizio alla sua straordinaria avventura: tre lunghi anni trascorsi sulle strade della Cina, nei grandi deserti dove la luce abbacinante e il calore cancellano i contorni del paesaggio e del corpo; sulle sponde dei laghi e degli immensi fiumi dove si avventurano i cercatori d’oro, e i pescatori di notte se ne stanno a parlare e a bere insieme attorno a un fuoco; sulle montagne sacre ai confini col Tibet, dove le donne hanno guance e bluse intensamente rosse; sui grandi pascoli solcati da immensi greggi e mandrie; nei templi, nelle città, nei villaggi delle più svariate ed esotiche etnie del mondo.
Ma Jian è diventato famoso nel mondo con il libro Tira fuori la lingua. Storie dal Tibet, scritto nel 1987 e tradotto in lingua inglese nel 2006. Questo libro è uno ritratto del Tibet diverso dal solito. Qui la cultura tibetana non è idealista, ma abbastanza severa e a volte inumana. Il libro è stato bandito in Cina come un libro volgare che diffama l’immagine dei nostri compatrioti tibetani, e ha costretto l’autore all’esilio dal suo paese. Nessuno dei suoi libri può circolare nella Repubblica Popolare. Ma Jian, però, torna abbastanza spesso, avendo ancora il passaporto di Hong Kong su cui non occorre nessun visto.
Uno scrittore cinese con alle spalle un matrimonio fallito parte per il Tibet. Durante i suoi vagabondaggi assiste alla sepoltura celeste di una ragazza morta di parto, condivide la tenda con un nomade diretto a una montagna sacra a chiedere perdono per aver avuto rapporti sessuali con la figlia, incontra un orafo che tiene appeso alla parete di una caverna il corpo della sua amante incartapecorito dal vento, ascolta la storia di una giovane lama morta durante un rito di iniziazione.
Cinque racconti che mostrano come la povertà e la repressione politica abbiano annientato quella che un tempo era considerata una cultura ricca e brillante. Messo clamorosamente all’indice in Cina nel 1987, Tira fuori la lingua ha costretto Ma Jian all’esilio, rendendogli impossibile ancora oggi pubblicare nel suo paese.
“È un libro volgare e osceno che diffama l’immagine dei nostri compatrioti tibetani. Ma Jian non è in grado di descrivere i grandi passi avanti compiuti dal popolo tibetano nella realizzazione di un Tibet socialista unito e prospero. Il ritratto del Tibet che esce da quest’opera sudicia e ignobile non ha nulla a che vedere con la realtà, e altro non è che il prodotto dell’immaginazione dell’autore e del suo desiderio ossessivo di sesso e soldi… A nessuno dev’essere permesso leggere questo libro. Tutte le copie devono essere confiscate e distrutte immediatamente.” (Annuncio della messa al bando dell’opera in Cina)
Nel 1986 lasciò Pechino per Hong Kong, poco prima che le sue opere fossero bandite in Cina. In seguito alla restituzione di Hong Kong alla Repubblica Popolare Cinese, nel 1997 Ma Jian si è trasferito in Europa, prima in Germania e poi a Londra, nel 1999, dove vive tuttora con la famiglia e la sua traduttrice, Flora Drew.
Suoi libri, editi da Feltrinelli: Spaghetti cinesi (2006), Pechino è in coma (2009), La via oscura (2015), Il sogno cinese (2021).
Ogni settimana, uno scrittore politico e un donatore di sangue professionista si incontrano per cena. I due sono amici improbabili: molto diversi, hanno filosofie e stili di vita opposti. Ma vivono nella medesima realtà, la Cina post-Tienanmen, quella delle grandi opportunità, delle libertà ritrovate e dei facili guadagni. Durante una serata particolarmente alcolica, lo scrittore decide di raccontare i personaggi che popolano il suo immaginario e di cui vorrebbe scrivere, se solo ne avesse il coraggio. Complice una bottiglia di buon vino, facciamo allora conoscenza con un trentenne che, acquistata una fornace di seconda mano da un istituto d’arte, avvia una brillante attività di cremazione, deliziato dalla possibilità di molestare i cadaveri di agenti di polizia e segretari di partito. C’è poi l’attrice dal cuore spezzato che compie un suicidio pubblico, entrando nelle fauci di una tigre selvaggia, e lo scrittore su commissione che passa la vita a comporre lettere d’amore per gli altri. Con questo dipinto corale Ma Jian, le cui opere sono tutt’oggi bandite in Cina, traccia un esilarante ma corrosivo ritratto di coloro che lottano per sopravvivere a un sistema che detta ogni loro mossa.
Dai Wei, in coma da dieci anni, è doppiamente prigioniero. Il 4 giugno 1989 è stato colpito alla testa da un proiettile durante la rivolta di piazza Tienanmen. Da allora ‟vive” su un letto di ferro: prigioniero del proprio corpo, prigioniero della polizia, che aspetta il suo risveglio per arrestarlo.
Tutto ciò che rimane a Dai Wei per non perdere il contatto con il mondo è la sua acutissima sensibilità per le piccole cose che gli succedono intorno e una dolorosa e poetica capacità di dialogare con il proprio corpo. Mentre Dai Wei giace, immobile nel cambiamento, assistito dalla madre, la capitale della Cina cambia e lui ripercorre i giorni della rivolta studentesca – ma anche il decennio della Rivoluzione culturale – attraverso i ricordi: le mobilitazioni degli universitari di Beijing e le interminabili discussioni politiche, gli slogan gridati e i sentimenti sussurrati con riserbo. E intanto, forse, si risveglia a un nuovo inizio, mentre l’isolato dove si trova la piccola casa in cui abita viene abbattuto, con la veccia Cina che muore, per far posto a uno stadio, il Nido, per le Olimpiadi del 2008.
Costretto all’esilio dal duca di Lu, Confucio disse: “Se la mia strada finisce salirò su una zattera e mi lascerò portare verso il mare”. E così Kongzi, settantaseiesimo discendente diretto del grande filosofo, fugge con la moglie incinta e la figlia quando la Squadra della pianificazione familiare entra nel villaggio per sterilizzare con la forza tutte le donne fertili e interrompere le gravidanze di quelle che hanno già un figlio. Mentre la Cina si avvia a diventare la prima potenza mondiale, Kongzi e Meili vanno alla deriva lungo lo Yangtze, portando il lettore in un disperato e poetico viaggio attraverso il paesaggio che si trasforma e la tragedia provocata dall’esperimento di ingegneria sociale concepito per contenere, a costo di qualsiasi violenza sul corpo delle donne, la crescita demografica del paese.
Il nuovo libro di Ma Jian si inserisce nel filone già esplorato con i precedenti: una satira feroce condotta con sguardo lucido e provocatore sulla Cina di oggi. Il protagonista del nuovo romanzo è il direttore dell’Ufficio dei Sogni, Ma Daode, che ha un progetto: un chip che impianterà automaticamente nella mente dei cittadini il “sogno cinese” del presidente Xi Jinping, cancellando memorie e aspirazioni personali. Le prime che Ma vuole eliminare sono le sue, le violenze che da Guardia rossa ha compiuto durante la Rivoluzione culturale, la denuncia nei confronti dei genitori, il loro suicidio.
Ma Daode è un mediocre politico di provincia. Fedele al Partito e devoto ammiratore del presidente Xi Jinping, è ricco, corrotto e ha dodici amanti principali, “le Dodici Forcine di Jinling”, come le fanciulle del romanzo della Dinastia Qing, Il sogno della camera rossa. Accanito sostenitore della causa del “Sogno cinese” e della visione di “Ringiovanimento nazionale” di Xi Jinping, dal suo Studio Rotondo, di pochi metri più piccolo del più celebre Studio Ovale, lavora perché il sogno cinese diventi globale. Ma Daode, però, ha un problema: durante la Rivoluzione culturale, come tante giovani Guardie rosse ha commesso parecchi crimini, e i sogni del suo passato, che fino a oggi lo hanno tormentato nel sonno, adesso si presentano anche di giorno, sotto forma di allucinazioni, rendendogli la vita sempre più difficile. È un passato doloroso che il governo ha rimosso dalla coscienza collettiva del Paese, ma che continua a infiltrarsi nella testa di Ma Daode. E allora la soluzione è una soltanto: proporsi volontario per un impianto cerebrale di un dispositivo che garantisce il completo lavaggio del cervello. Comincia così il folle viaggio di un uomo e di un Paese disposti a tutto per cancellare la propria storia.
Ma Jian, nella prefazione, si rifà alla visita di Xi Jinping a fine 2012, qualche mese prima della sua nomina a presidente della Repubblica Popolare Cinese, alla mostra “La strada per il ringiovanimento” all’interno del Museo nazionale della Cina. La critica che Ma Jian esprime nel romanzo è all’opera di cancellazione dalla memoria collettiva diretta dal governo cinese di alcuni fatti storici rilevanti, come, nello specifico in questo libro, al decennio di violenze e terrore che ha caratterizzato la Rivoluzione culturale. Per Ma Jian quindi “il Sogno cinese è un’altra bella bugia costruita dallo stato per rimuovere dalla mente delle persone i brutti ricordi, sostituendoli con pensieri felici”. La dedica a George Orwell “che aveva previsto tutto” e la scelta della copertina del libro, fatta realizzare appositamente dall’artista dissidente Ai Weiwei, inviso al governo cinese tanto da essere stato incarcerato in passato, non lasciano dubbi.
La scelta del nome del protagonista non è casuale, come spiega Linda Zuccolotto nel suo post: “Daode (道德dàodé) che in cinese significa “etica, morale, moralità”, e che suona come un ossimoro non appena il personaggio viene tratteggiato come un funzionario corrotto che si riempie la bocca di frasi pregne di retorica ma di rado invita ospiti a casa, nella paura che vedano la mole di regali che riceve in cambio di favori politici, inguaribile traditore che si districa a fatica tra le sue 12 principali amanti che chiama le “Dodici Forcine di Jingling”.
Se vi interessano altri spunti di lettura in merito alla letteratura cinese contemporanea, vi rimando alla mia rassegna.
ma che bello questo post ed esaustivo! io ho letto solo “spaghetti cinesi” e mi ero riproposta di leggere altro poi non l’ho fatto! curioserò nella tua rasegna! ciaoo e brava come sempre!
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E’ un autore davvero interessante!!
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Si hai ragione devo recuperarlo
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Ho visto che nel catalogo della mia biblioteca c’è “Tira fuori la lingua. Storie dal Tibet”. Lo metto in lista. Questo tuo focus autore mi ha messo voglia di leggere qualcosa di Ma Jian.
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Dai! Poi fammi sapere come ti è sembrato 🙏
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Ho letto “La via oscura” di recente, uno dei romanzi più perturbanti che mi sia mai capitato di leggere.
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Grazie per avere condiviso la tua opinione!!!
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