Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Il silenzio dei giorni

INCIPIT

Riccardo Armeni mi aveva passato un bicchiere d’acqua con un’espressione che voleva dire: per carità respira, bevi, e poi ricomincia. Ma io non avevo buttato giù nulla. Parlavo, tenevo il bicchiere in mano e fissavo ora un punto imprecisato del tetto, ora la porta, ora un cassetto. Faccio sempre così quando sono nervoso.
Stavo raccontando la storia che mi abitava tra lo stomaco e la gola da quarant’anni e, invece di alleggerirmi, i muscoli del viso tiravano e facevano male. Ero appena a metà e la voce si era arrochita per la foga, quando Armeni mi obbligò ad una pausa più lunga. Mi fece cenno di seguirlo nel corridoio.
“Peppino, ora ci vuole un caffè”, mi disse con un sorriso che non gli avevo mai visto, “per entrambi”.
Fuori era ancora buio. La redazione si era svuotata da un pezzo, ma come ogni bravo caporedattore all’antica, e lui lo era, Armeni aveva con sé le chiavi delle stanze più importanti: la sua, quella della segreteria, quella del bagno riservato ai dirigenti del giornale, quella del deposito e pure della macchinetta del caffè.
Bevemmo in pochi istanti e non dicemmo una parola. Dovevano essere circa le due di notte e in barba all’orario, Armeni aveva tutta l’aria di essere interessato al mio racconto e di investire quel tempo per una buona causa, nonostante non avessi ancora detto nulla di eclatante. Non per uno che, come lui, aveva trascorso metà della sua vita a fare l’inviato in Calabria e in Sicilia. In qualche passaggio aveva persino sorriso di cuore.
La mia telefonata poco prima della mezzanotte non gli era sembrata poi così fuori luogo.
Ci frequentavamo da cinque anni, anche se solo per motivi professionali. Qualche volta ci era scappato il tu, ma poi tutti i tentativi erano rientrati per colpa di entrambi. Eravamo troppo riservati per permettere all’altro di azzardare cameratismi.
Ma sin dal primo giorno di lavoro in tipografia avevo legato con quelli della cronaca, e i nostri rapporti erano più che buoni.
Armeni non mi aveva chiesto perché tanta urgenza di raccontare proprio a lui una storia privata, e nel cuore della notte. Proprio a lui che non amava perdere tempo. Era la domanda che temevo di più, ma non la fece.

Rosa Maria Di Natale

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