INCIPIT
Notte, ottobre. «Ti porto il pigiama, figlia mia?». Taccio. Mia madre pensa forse che la sua voce premurosa non mi sia arrivata? Eppure siamo così vicine, lei a un capo, io all’altro del divano del soggiorno. Ripete la domanda e aggiunge che è più comodo starsene così, come lei, in camicia da notte. Si è avvolta in un pullover che conosco bene. Ah, proprio in quello, come se non ce ne fossero altri! «In questa casa» dice mia madre «ci sono ancora i tuoi vestiti, le tue scarpe, i libri, i quaderni di scuola. E anche il flauto, e il tuo walkman, per non fare tutto un elenco di varie altre cose!». Il walkman – lei lo ha tenuto da conto, mentre io me ne ero completamente dimenticata. «Niente, Valentina, proprio niente è stato portato in garage o in soffitta. Neanche le cose di Braco, sai. Là ci sono i suoi vestiti e le scarpe, tutto bene in ordine. Se arrivasse qui all’improvviso, troverebbe tutto al suo posto!». La sua voce si è fatta tremante, commossa. Per l’orgoglio di aver custodito le nostre cose o per l’emozione al solo nominare suo figlio? Con la mano indica verso l’alto, in apparenza disinvolta: lassù, di sopra, c’è la camera di Braco. Ripete un’altra volta lo stesso gesto, ma più deciso. E poi di nuovo, come se si esercitasse, se mai, per caso, stasera davvero si facesse vivo anche suo figlio. In tal modo, senza parlare, gli mostrerebbe dove sono le sue cose. E Braco getterebbe un’occhiata pro forma all’armadio e subito mormorerebbe il suo solito ah, mamma-mamma, fai sempre tutto a modo tuo? Se frugasse tra la sua roba, di sicuro troverebbe anche il suo walkman. Ma tacerebbe, anche se di solito non tralascia l’occasione di dire che non sopporta gli oggetti calpestati dal tempo?
Božidar Stanišić