INCIPIT
PRESENTE
La luce del sole si riversa nella stanza dal bovindo, tinge di smeraldo le foglie traforate di una monstera tropicale vasta come una nube, va a riflettersi sul pavimento a doghe larghe del colore del miele. Gli steli sfiorano appena lo schienale di una poltroncina di taglio scandinavo, su cui è poggiata una rivista aperta col dorso verso l’alto. Il verde smagliante della pianta, il rosso della copertina, il petrolio dell’imbottitura e l’ocra chiaro del pavimento risaltano contro il bianco polveroso delle pareti, richiamato da un angolo di tappeto chiaro che svanisce ai margini dell’immagine.
Nella seguente si vede il palazzo dall’esterno, un casamento liberty con foglie d’acanto e agrumi di cemento sui cornicioni. Il bianco della facciata trapela appena da sotto una stratificazione di graffiti fluo, brandelli di locandine, pittura scrostata; i timpani stuccati del piano nobile si distinguono a malapena sotto la crosta di sudiciume. Il lusso del primo ‘900 e la sporcizia ruvida della contemporaneità si intrecciano in un’atmosfera libera e decadente, con un tocco di erotismo. Un paio di finestre sono chiuse con tavole di truciolare scolorito, ma dietro alle altre si distinguono piante e ghirlande di luci. Da un balcone una cascata di edere scroscia verso il marciapiedi.
La cucina ha le piastrelle in rilievo lucide, rettangolari; il ripiano di legno spesso; il lavabo all’inglese di ceramica rialzata; i pensili a giorno coi barattoli da farmacia col riso e le granaglie e le spezie e il caffè; i piatti di smalto blu e bianco; la sbarra passante con appesi paioli di ferro non trattato e mestoli di legno d’ulivo. Sul piano c’è il bollitore di acciaio spazzolato e la teiera giapponese, il frullatore rosso. Ci sono i vasetti di coccio con gli odori sul davanzale della finestra, basilico e menta ed erba cipollina ma anche erba pepe, maggiorana, coriandolo, aneto. Il tavolo è una vecchia spianatoia di marmo, le seggiole sono recuperate da una scuola. Lo illumina una lampada a fisarmonica, assicurata alla parete fra la litografia botanica di un’araucaria e la riproduzione di un manifesto britannico dei tempi della guerra.
Poi il soggiorno, rigoglioso di piante facili e ipertrofiche, accudite dalla nicchia vetrata del bovindo: la monstera lussureggiante che protende le foglie lucide verso l’esterno; un ficus lyrata che cresce in altezza da un grande vaso di cemento; due mensole cariche di edere da interni e peperomia pensili, piante rosario e pilee, le cui chiome intrecciate ricadono fino al parquet. In un angolo, su un assortimento di sgabellini e cassette rovesciate, c’è una piccola selva di alocasie, euforbie giganti, ficus benjamina e filodendri dai fusti lanuginosi, sterlizie e diffenbachie. Oltre al vetro della portafinestra si intravede un balcone con due sedie e un tavolino con un posacenere di porcellana, un filo di lampadine.
Vincenzo Latronico