INCIPIT
PROLOGO
29 giugno 1958
Il vento comincia a soffiare dal mare, scuote la capannina, nient’altro che un telo teso su quattro rami; il sole filtra attraverso il tessuto sgualcito e le piove sulla faccia. Nilde alza la mano, ma la luce continua a passarle tra le dita e la infastidisce. Si mette a sedere.
Intorno a lei, i teli colorati sbattono al vento, i bagnanti abbronzati e gocciolanti vanno avanti e indietro dal mare del pomeriggio, di un blu vertiginoso. Sta lottando per recuperare l’ultima cosa che ha sognato: ricorda una figura che si frapponeva tra lei e il sole, un’ombra dai contorni luminosi… Si volta di nuovo verso il mare e lì, tra il blu e il grigio, c’è una donna in un costume a righe rosse e bianche che la fissa. Nilde la intravede per un secondo solo: un gruppo di ragazzi passa tra loro e quando si allontana la donna è sparita. Lei balza in piedi, cerca affannosamente le ciabattine e il cappello, poi si maledice e si incammina a piedi scalzi sulla sabbia bollente, con il sole che le morde le spalle dopo pochi passi. Mentre avanza si guarda intorno, lo sguardo catturato da ogni dettaglio bianco, rosso, dorato – un fermaglio, un pantaloncino, un foulard –, finché si rende conto di essere arrivata al bagnasciuga: la sabbia è scura e fresca, punteggiata di conchiglie e alghe sottili. La spiaggia è una mezzaluna, delimitata e modellata dalle foci di due rami del Po. Quando Nilde si gira verso sud il suo cuore manca un battito: eccola, capelli d’oro e bocca rossa, stagliata contro l’orizzonte bianco per il caldo. Anche la donna ha notato il suo sguardo. Le sue labbra si stendono in un sorriso. Nilde allunga la mano, poi viene scaraventata a terra; il colpo le toglie il fiato, l’acqua salata le entra in bocca.
«Signora, mi scusi, è colpa del mio amico… non l’ho proprio vista… si è fatta male?». Il ragazzino la solleva per le braccia e la fissa, ansioso. Lei scuote la testa, gli abbassa le mani e si allontana. Oltrepassa senza vederli bambini seduti nell’acqua bassa, coppie distese su un telo solo, persino un anziano vestito di tutto punto e seduto su una sedia di vimini. Tutto ciò che vede è la schiena nuda della donna, i boccoli arruffati sul collo. Gli occhi bruciano per la salsedine e per lo sforzo di non battere le palpebre. Se distogliesse lo sguardo, lo sa, lei sparirebbe.
La donna scompare dietro una duna. Nilde accelera, quasi corre, poi la chiama.
«Norma!».
Sale sulla duna, tra gli arbusti sottili, e si ferma, interdetta. Dall’altra parte ci sono solo un canneto e il canale verdastro – nessuna donna, nessuna impronta sulla sabbia liscia. Nilde porta la mano alla bocca, la preme sulle labbra. Si guarda indietro, ma è impossibile distinguere Norma tra i bagnanti. Guarda in avanti, ma oltre il canale non c’è che la campagna sbiadita dal sole. Un dolore le risale dallo stomaco al petto, si gonfia, pulsa e poco per volta si fa piccolo come una puntura di zanzara. Torna indietro piano, a capo chino. Domenico sta sistemando la capanna: l’acqua si sta seccando, gli lascia una patina di sale sulle spalle.
«Dov’eri finita?», le chiede senza voltarsi. Nilde si posa una mano sulla gola.
«Di là, sulle dune».
«Senza cappello e senza ciabatte? Questa sera mi implorerai di…». La guarda, e si interrompe. Nilde inspira a fondo, raddrizza le spalle. Domenico le prende la mano, la trascina all’ombra.
«Mi implorerai di spalmarti la crema», mormora gentile. Lei si siede davanti a lui, appoggia la schiena al suo petto fresco, e rabbrividisce di piacere.
Sonia Aggio