INCIPIT
Carmela! Carmè! Carmela!
Carmela era la signora che abitava al quarto piano. Al quinto abitiamo noi. Mia madre non la poteva vedere perché si dava mille arie da gran signora, quando poi, altro non era, che una vajassa tirata fuori da
un basso a vico Limoncelli da quel buon uomo di suo marito Arturo. Aveva sette figli. Di uno di loro, Salvatore, il più piccolo, non si parlava mai. Un giorno Salvatore era sparito. Lo ritrovarono morto in una
grotta sopra Posillipo ma nessuno capì mai come ci era finito laggiù. Si parlava di tutti gli altri. Di Ada si parlava, non solo in casa o nel palazzo ma in tutto il quartiere, per il gusto di farlo, per dire dei suoi fianchi o del suo culo, delle forme del suo seno, come se avere quel corpo avesse più senso di quello che ci stava dentro: pensieri, idee, sogni. Ada sognava.
Ci parlavo spesso, in estate, quando nello slargo del pianerottolo al terzo piano ci mettevamo a prendere il sole tra la polvere. Lei si portava una radiolina a batterie e tirava su l’antenna. Ascoltavamo Mina e Patty Pravo. Fu una domenica di quelle che Ada, mentre stava distesa con la schiena sulla gradinata e dondolava una coscia, mi chiese all’improvviso:
Ma tu, l’hai mai visto un maschio?
In che senso Ada?
Nel senso di: l’hai visto o no? Annuro, nudo, comme l’ha fatto a’mamma.
Ma tu si’ scema? Mia mamma m’accide.
Seguì un silenzio lungo. Le sue cosce si aprivano e chiudevano come per far entrare aria sotto la gonna che si era tirata su quasi all’inguine.
Je l’aggiu visto n’omme annuro.
E a chi?
Giuvanne, Giuvanne ‘o fruttajuolo.
Maronna ma chillo è viecchio. Pare ‘o nonno mio.
Si mise a ridere per questa mia osservazione sull’età, forse perché, più esperta di me, aveva ben chiaro che un uomo di quarant’anni non è certo vecchio. Lo era per me che ne avevo quasi dieci, ma per lei, sedicenne, tutto sembrava già chiaro sull’età, sulle cose possibili e impossibili, sui desideri, sui corpi nudi e su tutto il resto. Senza che io capissi veramente, cominciarono racconti di una sessualità a me ignota, di qualcosa di misterioso, di detto a mezza bocca, perché tu si’ ancora piccerella e cierti cose nun ‘e può capì. Una frase peggiore da dire a una bambina non c’era e mi si apriva la fantasia a immaginare Ada e Giovanni nel retrobottega a toccarsi e baciarsi, lingua contro lingua, mentre nessuno al di fuori poteva capire niente.
Tutto si svolgeva così. Un mondo di dentro e un mondo di fuori. I vicoli, i muri scrostati, l’umidità del primo mattino, sembravano indifferenti alle vicende povere e scalcinate della gente del mio quartiere.
Invece proprio i muri e le loro crepe, sapevano già tutto, conoscevano ogni dettaglio di ogni famiglia, ogni disperazione, croce da portare, povertà e malattia. Bastò poco, e la storia di Ada e Giovanni
venne alla ribalta del palazzo e dell’intero vicolo.
Olimpia De Girolamo