Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Venezia e io

INCIPIT

Settembre 2019
Non sono veneziana. Vivo in questa città da più di trent’anni, ma a Venezia non ci si toglie mai del tutto l’etichetta di foresto. Del resto questa etichetta non mi disturba affatto. Mi sono sempre sentita foresta, straniera, qui come ovunque, anche nella città dove sono nata. A certi capita così.
Perché vivo a Venezia? Al principio è stato un caso. Da Ravenna, la città dove sono nata e cresciuta, dovevo scegliere tra due possibili sedi universitarie: Firenze o Venezia. Io veramente avrei preferito Roma, ma trent’anni fa non era consueto
– almeno nelle famiglie del ceto medio – scegliere mete più lontane dello stretto necessario.
Dunque scelsi Venezia, città dove la facoltà di Architettura era più rinomata e prestigiosa, città dove avevo un’amica. Non ero però molto convinta, e mi ripromettevo di tenere gli occhi aperti, per cogliere un’occasione che mi portasse più lontano.
Quando ho deciso di restare a Venezia? Ricordo benissimo quel momento. Era il principio di ottobre, il mio secondo anno accademico era appena cominciato e abitavo da pochi giorni sul rio Ca’ Balà, vicino alla chiesa della Salute. Dopo aver lottato per un lungo inverno contro difficoltà di ogni genere, il secondo si prospettava migliore. In una fresca mattina limpida e assolata, uscii dal Cotonificio di Santa Marta, nuova sede universitaria appena inaugurata, dove il professor Balestrieri ci aveva parlato per due ore della celebre Veduta di Venezia di Jacopo de’ Barberi, dell’anno 1500, illustrandocela nell’insieme
e nei dettagli con molte diapositive, e mi avviai lungo le Zattere per tornare a casa. Era la prima volta che percorrevo le Zattere da un capo all’altro, verso la Dogana. Ero così suggestionata dalle immagini che avevo appena visto, l’incisione
di de’ Barberi, che mi sembrava di camminare dentro quella stupefacente veduta, come una formichina dentro una grandiosa scenografia di marmi e pietre candide e acque scintillanti sotto il sole. A ogni passo il panorama diventava più bello e, superato il ponte degli Incurabili, io che da adolescente avevo sognato lungamente Parigi, Roma, Londra e New York, pensai: forse è proprio qui che voglio stare!
Vivo a Venezia perché è la città più bella che abbia mai visto.
Trent’anni dopo, abito dalla parte opposta della città, e ogni mattina mi ritrovo a scrivere ai tavolini di un caffè sulla riva Sette Martiri. Io sono molto cambiata, la città no: è straordinario come Venezia rimanga, nel tempo, più o meno uguale a se stessa. Mi guardo intorno e contemplo tutta questa bellezza, montagne di stupenda bellezza modellata nei secoli in forma di campanili, portali, frontoni, cupole, scalinate, statue, architetture che non hanno eguali nel mondo, e poi ancora il verdazzurro della laguna, le mille barche, i gabbiani, le altane, i Giardini Napoleonici. Se è d’altro che sto scrivendo, la bellezza della laguna mi fa bene all’anima e nutre la mia voglia di scrivere – insieme ai pensieri che ho dentro.
E poi anche la bruttezza che si mescola alla bellezza: le mostruose grandi navi da crociera che sfilano davanti a noi in corteo, la fiumana incessante dei turisti, il traffico di barche eccessivo e dannoso, le botteghine di ciarpame made in China, souvenir da due soldi. A uno sguardo meno superficiale, infatti, Venezia è cambiata eccome. Trent’anni fa non c’erano né quelle maxi- navi, né quelle botteghine. Ma anche la bruttezza, ossia i problemi di Venezia, nutrono la mia voglia di scrivere; perché i contrasti, i conflitti, i problemi da risolvere, sono quelli che mandano avanti il mondo. Non siamo qui, a questo mondo, per contemplare, ma per risolvere. Per costruire. Per fare. Nel mio caso, forse, per raccontare.

Marilia Mazzeo

Recensione

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: