“Faccia sì che il primo incontro avvenga tra noi due soli, perché vorrò abbracciarLa e baciarLa. Ho deciso.” 11 gennaio 1943, Cesare Pavese a Fernanda Pivano.

Nel diario di Cesare Pavese, “Il mestiere di vivere”, al giorno 26 luglio del 1940, si legge un nomignolo: Gôgnin. A cosa si riferisce?

È un vezzeggiativo che in dialetto piemontese significa musetto, faccino; Pavese allude a Fernanda Pivano.

Pivano giovaneFernanda Pivano, nel suo diario racconta il primo incontro col supplente “giovane giovane” che nel 1935 per alcuni mesi ebbe la sua classe al Liceo D’Azeglio di Torino. Furono lezioni entusiasmanti che contribuirono a fare nascere un sentimento di grande ammirazione nella giovane studentessa.

Si incontrarono di nuovo nel 1938, quando Pavese, tornato dal confino e già scrittore e traduttore, rivide la Nanda studentessa universitaria: le raccomandò di leggere Hemingway, Whitman, Anderson e Edgar Lee Masters aprendole un orizzonte che diverrà la sua strada maestra.

Pavese si innamorò di Fernanda a tal punto da chiederla in sposa per ben due volte, nel 1940 e nel 1945; ottenne dei rifiuti, nonostante l’ammirazione e l’affetto della giovane Pivano, a sua volta innamorata di Ettore Sottsass che, come sappiamo, divenne suo marito. Cesare e Fernanda mantennero un vivido sentimento di reciproca ammirazione per tutto l’arco della loro vita ma per Cesare anche questo amore si incasellò tra quelli non realizzati.

(segnalo un articolo interessante che parla della corrispondenza epistolare tra i due, apparso sul Corriere della Sera nel 2011, e che si riferisce alla mostra sugli oggetti della vita di Fernanda Pivano di cui nella mia foto potete vedere il catalogo:  http://www.corriere.it/cultura/11_marzo_15/bozzi-pavese-pivano_b28ff372-4ef9-11e0-9fbe-81b04f5e425c.shtml )

Nel “Mestiere di vivere” , il 7 agosto del 1940, Pavese scrive questa nota:

“Tono del Gôgnin. Libertà di giudizio sessuale e sociale; come da ambiente di viveuses e viveurs. Interiorità chiusa e schiva, di vergine. Frattura comune in tempi di transizione: le forme sono nuove e l’anima invecchia. Non, come si crede, viceversa. Prima mutano le forme, poi le cose interiori. Potenza della parola, della forma, dello stile.”

Il 12 agosto leggiamo un’altra annotazione, che si lega con quanto Pavese sta vivendo:

“Amore e poesia sono misteriosamente legati, perché entrambi sono desiderio di esprimersi, di dire, di comunicare. Non importa con chi.”

Il 16 agosto:

“L’idea che non esistano sbagli ma siano «portals of discovery» postula l’altra che è un dovere essere fortunati: cioè l’intelligente non fa mai sbagli, vale a dire è fortunato. O li fa e gli servono. Idee suggerite dal Gôgnin che dice che per le donne è un dovere esser belle.”

Il 17 agosto:

“Il modo del Gôgnin di «parlare a vanvera» smettendo capricciosamente un argomento e riprendendolo poi a gusto, è diventato uno stile, e diventa suo amico chi lo accetta e lo adotta. Lei se ne compiace e se ne fa un vezzo. Potenza dello stile.”

pavese biglietto pivanoE così via…. Il Gôgnin è entrata di prepotenza nella sua vita…

In “Lavorare stanca” sono inserite tre poesie che si rifanno a questo momento della vita di Pavese: le prime due furono scritte prima di ricevere il pacato rifiuto da parte della Pivano, mentre la terza fu scritta dopo e dunque rappresenta la chiusura di questa esperienza amorosa non realizzata.

Ovviamente sono molto diverse nel tono; allegre e foriere di speranza le prime due, triste e malinconica la terza: in questa poesia c’è tutta la delusione e la sofferenza per la non realizzazione dell’amore, sentimento che verrà comunque elaborato da Pavese e che sfocerà in una sincera e ammirata amicizia nell’arco della sua vita. Rispetto alle annotazioni diaristiche (dove Pavese si esprimeva talvolta in modo più crudo e critico) nelle poesie la forma è più stilizzata e purificata dai sentimenti che provava, come se fosse trascorsa una forma di decantazione del tumulto nel cuore del poeta.

Siamo nella sezione “Dopo”. La prima poesia è “Mattino”

La finestra socchiusa contiene un volto

sopra il campo del mare. I capelli vaghi

accompagnano il tenero ritmo del mare.

Non ci sono ricordi su questo viso.

Solo un’ombra fuggevole, come di nube.

L’ombra è umida e dolce come la sabbia

di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.

Non ci sono ricordi. Solo un sussurro

che è la voce del mare fatta ricordo.

Nel crepuscolo l’acqua molle dell’alba

che s’imbeve di luce, rischiara il viso.

Ogni giorno è un miracolo senza tempo,

sotto il sole: una luce salsa l’impregna

e un sapore di frutto marino vivo.

Non esiste ricordo su questo viso.

Non esiste parola che lo contenga

o accomuni alla cose passate. Ieri,

dalla breve finestra è svanito come

svanirà tra un istante, senza tristezza

né parole umane, sul campo del mare.

La seconda è “Estate”:

C’è un giardino chiaro, fra mura basse,

di erba secca e di luce, che cuoce adagio

la sua terra. E’ una luce che sa di mare.

Tu respiri quell’erba. Tocchi i capelli

e ne scuoti il ricordo.

                           Ho veduto cadere

molti frutti, dolci, su un’erba che so,

con un tonfo. Così trasalisci tu pure

al sussulto del sangue. Tu muovi il capo

come intorno accadesse un prodigio d’aria

e il prodigio sei tu. C’è un sapore uguale

nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.

                                                Ascolti.

Le parole che ascolti ti toccano appena.

Hai nel viso calmo un pensiero chiaro

che ti finge alle spalle la luce del mare.

Hai nel viso un silenzio che preme il cuore

con un tonfo, e ne stilla una pena antica

come il succo dei frutti caduti allora.

La terza è “Notturno”:

La collina è notturna, nel cielo chiaro.

Vi s’inquadra il tuo capo, che muove appena

e accompagna quel cielo. Sei come una nube

intravista tra i rami. Ti ride negli occhi

la stranezza di un cielo che non è il tuo.

La collina di terra e di foglie chiude

con la massa nera il tuo vivo guardare,

la tua bocca ha la piega di un dolce incavo

tra le coste lontane. Sembri giocare

alla grande collina e al chiarore del cielo:

per piacermi ripeti lo sfondo antico

e lo rendi più puro.

                                   Ma vivi altrove.

Il tuo tenero sangue si è fatto altrove.

Le parole che dice non hanno riscontro

con la scabra tristezza di questo cielo.

Tu non sei che una nube dolcissima, bianca

impigliata una notte fra i rami antichi.

pavese luiPer approfondire il significato letterale delle poesie potete consultare questo link: http://carrubbabiagio.blog.kataweb.it/aspirante_poeta/2010/01/16/cesare-pavese-3-tre-liriche-speciali-commentate-da-biagio-carrubba/?refresh_ce