“Yerma” di Federico García Lorca
“Yerma” è la seconda pièce della trilogia teatrale rurale lorchiana: è un poema tragico in tre atti e sei quadri. Lorca terminò di scriverla nel settembre del 1933 e venne rappresentata per la prima volta nel dicembre del 1934, al Teatro Español di Madrid dalla compagnia di Margarita Xirgu, un’icona sulla scena teatrale in quegli anni (a cui Lorca ha dedicato anche una poesia), che seppe dare al personaggio di Yerma tutto lo spessore e la tragicità che il testo richiedevano; ed infatti si trattò di un vero trionfo.
(qui il post dedicato a “Nozze di sangue“; qui il post dedicato a “La casa di Bernarda Alba“)
La notorietà di Lorca era molto grande in quegli anni, grazie alle sue opere poetiche, primo tra tutti il “Romancero gitano”, ma anche al suo impegno per il teatro. Le tournee della compagnia da lui fondata, La Barraca, portavano in giro fin nei più sperduti paesi della Spagna la sua idea di teatro e il suo dramma “Bodas de sangre”, attirando le persone grazie alle tematiche che riuscivano a fare presa sull’immaginazione popolare; anche a Madrid il successo fu enorme.
Lorca, in questo poema, porta in scena le donne dei villaggi spagnoli del primo novecento, con le loro vite che divengono essenza ancestrale e mitica, storie particolari che si elevano a livello universale, archetipi dei drammi vissuti dalle donne in quella realtà ma che rappresentano tutte le donne.
“Mio bimbo, ti dirò di sì.
Di te son tutta spezzata.
Mi duole questa cintura
dove avrai la prima culla!
Quand’è che verrai, mio bambino?
Quando il tuo corpo odori di gelsomino.”
Yerma (parola che evoca il deserto, la sterilità) è la maternità frustrata veicolata attraverso immagini poetiche, è voce del sangue che richiama una prepotente vocazione naturale e la determinazione a non violare il vincolo matrimoniale. È vittima della comune attribuzione del ruolo femminile come moglie e madre, ma, allo stesso tempo, è protagonista del suo desiderio e vorrebbe, con tutta se stessa, poter adempiere a queste prerogative, ma suo marito glielo impedisce.
Juan non sente la necessità di avere figli – o forse sta solo cercando di mascherare la sua incapacità di averne – e si aspetta che ciò non costituisca un ostacolo alla loro completezza coniugale. Per Yerma, invece, il desiderio di maternità è più che un modo per adempiere al suo ruolo sociale: è una intima necessità, un bisogno ancestrale e carnale che la consuma da dentro.
Suo marito Juan si avviluppa in un sentimento di gelosia perché teme che lei lo tradisca con l’amico Victor, e fa di tutto per allontanarlo e per tenere sua moglie segregata e sotto il controllo delle sue sorelle, non capendo che il dramma di Yerma si consuma proprio nella lacerazione tra questi due impulsi: la ricerca della maternità ad ogni costo – arrivando addirittura a farsi somministrare pratiche pagane – e il desiderio di mantenersi fedele al vincolo matrimoniale. Molti uomini la vorrebbero ma lei non accetta di lasciare il marito: è a lui che chiede di donarle un figlio e visto che lui si rifiuta di farlo (o non può farlo: le allusioni ripetute confermano che la sterilità sia in realtà di Juan e non di Yerma) non avrà altra scelta se non mettere in atto il suo tragico proposito. Yerma uccide suo marito ma in realtà così facendo, come ella stessa dice, uccide suo figlio, annienta cioè la sua possibilità di maternità.
“Che prato di dolore!
Quale porta serrata alla bellezza!
Io chiedo un figlio per soffrire e il vento
m’offre dalie di luna addormentata.
Due fonti che ho di latte e di tepore
nel folto del mio corpo come zoccoli
di furioso cavallo i densi rami
della mia angoscia fanno sussultare.
Ahi, seni ciechi sotto la mia veste!
Ahi, colombe senz’occhi né candore!
Un dolore di sangue prigioniero
mi sta inchiodando vespe sulla nuca!
Ma tu verrai, mio bimbo, amore mio;
dà sale il mare e dà frutti la terra,
e il nostro ventre ha in sé teneri figli,
come la nube alleva dolce pioggia.”
Nella tragedia di Yerma si intravedono le allusioni a due aspetti che fanno da sfondo a molte delle opere di Lorca: la morale cattolica – di cui la Spagna è impregnata – che vuole la donna compiere il suo destino nella procreazione e nella fedeltà coniugale, e gli elementi pagani che conferiscono al dramma la dimensione mitica necessaria a sollevarla dal particolare all’universale. Il connubio tra questi aspetti si esplicita nella forma poetica delle immagini simboliche del linguaggio lorchiano, elevando la realtà contingente a dimensione universale e la tragedia che qui si consuma acquisisce carattere di mito.
Ecco che abbiamo la Terra: simbolo di nascita e fertilità, quella terra che Juan si affatica a lavorare allo scopo di renderla fertile, proprio perché non riesce a fare altrettanto col grembo di sua moglie. L’Acqua compare con diverse simbologie: di fertilità, laddove disseta e induce la vita, e anche come simbolo di purificazione, come quando le lavandaie si recano al fiume per lavare i panni.
“Dentro il torrente freddo
lavo i tuoi panni.
Di gelsomino caldo
è la tua bocca a riso.
Lascia ch’io viva
nella piccola neve
del gelsomino.”
Yerma sa che suo marito è assetato perché non è in grado di generare la vita, possibilità che intravede in Victor – che lei avverte come un torrente che scorre; lei vorrebbe dissetare suo marito ma si scontra con il suo rifiuto.
L’Aria, (elemento maschile in spagnolo: aire, come del resto fuego, contrapposti alla simbologia tutta femminile di tierra e agua) esprime la sessualità maschile, in grado di fecondare l’elemento femminile: lo troviamo espresso nelle parole della vecchia che ha generato quattordici figli e che dice a Yerma di esserci riuscita grazie al soffio della vita. Non manca poi il Fuoco, simbolo di passione e di luce, di forza e di vita. Il sole rappresenta il fuoco e la luce e non a caso Yerma spesso descrive il volto di Juan come pallido, come se il sole non vi avesse mai posato i suoi raggi vitali. Il fuoco è desiderio, passione, quella stessa che alza la mano di Yerma contro suo marito, facendole compiere il gesto estremo.
“Potrò ormai dormire senza più svegliarmi di soprassalto per sentire se il sangue m’annunzia un altro sangue nuovo. Col corpo per sempre sterile. Che volete sapere? Non vi avvicinate! Ho ucciso mio figlio! Io! L’ho ucciso io!”
http://www.einaudi.it/libri/libro/federico-garc-a-lorca/yerma/978880606973
Non conosco l’opera teatrale lorchiana, ma mi sono davvero gustata questo tuo post, come sempre coinvolgente e ben scritto.
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Se hai tempo, si tratta di un’opera molto breve, si legge in un paio d’ore, ma merita davvero. Grazie per la consueta attenzione! ciao
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Bello! Non conosco altro di Lorca che le poesie ma quello che hai scritto di Yerma mi ha affascinato. Il desiderio di maternità e il dramma della sterilità sono interpretati da un uomo con pathos. Leggerò. Tra l’altro tema sempre attuale
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Sì, è un tema attuale e trattato con molta sensibilità e con molteplici sfumature. Lorca aveva una grande profondità di pensiero e una vivida umanità che nelle opere teatrali sono manifeste. Le sue figure femminili hanno spessore, esprimono la complessità del conflitto interiore che le anima. Le opere teatrali di Lorca alternano la prosa alla poesia rendendo così i testi molto particolari.
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Sai, più passano gli anni e più non riesco a rileggere Lorca. Avendolo amato tantissimo. Forse è un autore per giovani, per un’età che può soffrire enormemente lottando comunque per la vita, senza esserne travolta.
Rimasto eternamente giovane.
Ti sono grata per queste bellissime restituzioni.
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