Con Alessandra Carini, de “50 sfumature di viaggio”,  abbiamo deciso di scrivere un articolo a quattro mani combinando la mia passione per la lettura con la sua passione per i viaggi ed i paesi del Nord Europa, ed abbiamo scelto di cimentarci con “Hotel Silence”, di Auður Ava Ólafsdóttir, scrittrice Islandese. Il libro risulta nella cinquina finalista al Premio Strega Europeo 2018.

Uno sbalorditivo cielo di primavera con tre strisce orizzontali che lo fasciano d’arancio non è abbastanza per far rinascere in me i desideri, ho già visto questo stesso cielo l’anno scorso e l’anno ancora prima. Posso continuare a esistere o posso smettere.

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Hotel silence, di Auður Ava Ólafsdóttir, Einaudi 2018, ed. originale 2017, traduzione di Stefano Rosatti, titolo originale “Ör”, cicatrice

Hotel silence copertinaSe una persona non crede più alla sua vita, se è talmente disillusa e delusa da non trovare alcuno stimolo ad andare avanti, se decide di farla finita, che cosa può succedere per fargli cambiare idea? Può imbattersi in persone e rivelazioni, può accadere un evento che lo riporti verso se stesso. Può succedere, come in questo romanzo, che si imbatta nel dolore altrui, un dolore lacerante, fatto di cicatrici profonde, impregnato del sangue di chi è stato ucciso senza pietà, un dolore che silenzioso serpeggia tra le rovine di una città distrutta dai bombardamenti aerei; e allora, come fai a dire a chi ha lottato strenuamente per rimanere in vita, a chi ha vissuto nel terrore e ha visto i propri cari perdere quell’unica possibilità di vivere, che tu ci vuoi volontariamente rinunciare? Con quali argomenti puoi giustificare la tua scelta? E poi, è una scelta giusta?

È questo il quesito esistenziale di Jónas, il perno attorno a cui ruota il suo ritorno verso la vita; attraverso un percorso che sceglie lui stesso pensando di andare in una direzione, ma che, invece, inaspettatamente, lo porta a rigenerarsi, a capire che cosa può avere un significato nelle nostre esistenze e che, per poco o banale ci possa sembrare, basta a conciliarci con noi stessi e il vivere.

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Il protagonista del romanzo vive in Islanda, a Reykjavik a quanto è dato capire da alcuni riferimenti che l’autrice inserisce nella trama.

Una terra solitaria e da scoprire lentamente e passo dopo passo. Immersi in una natura sovrana e selvaggia. Un’isola solitaria, l’Islanda, collocata sulla dorsale medio atlantica, una catena montuosa sottomarina, di cui è l’unico punto emerso dalle acque. Un’isola che presenta una marcata attività vulcanica e geotermica, che ne influenza largamente il paesaggio.

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L’Islanda, infatti, è ricca di vulcani, geyser, terme e campi di lava. Sono inoltre frequenti dei terremoti d’intensità più o meno forte. Nel 2010 quando eruttò il vulcano Eyjafjöll, i cieli di tutta Europa, si oscurarono per alcuni giorni. Gli escursionisti più impavidi si avventurano spesso per pericolose scalate, per le quali bisogna essere, più che allenati. Offre paesaggi assolutamente unici al mondo, che restano impressi nella memoria per sempre. Che la visitiate in estate quando tutto riprende vita o in inverno tra i ghiacci ed alla ricerca dell’aurora boreale, ne resterete impressionati.

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Jónas ha quarantanove anni ed ha appena divorziato: dopo anni in cui lui e la moglie si sono progressivamente allontanati, divenendo l’una estranea all’altro, lei decide di lasciarlo. Nel compiere un passo così importante, vuole togliersi un peso dal cuore, e gli confessa che la loro figlia ventiseienne, in realtà non è sua figlia. Questi due fatti, ma soprattutto la rivelazione e lo smarrimento che ne consegue, gli fanno perdere la bussola, rendendo incerto ogni aspetto della sua vita attuale. Vengono a mancare le due realtà attorno alle quali aveva costruito la sua esistenza e non gli pare di potere trovare altri elementi per provare ancora interesse a vivere. Gli sembra che gli anni trascorsi siano stati costruiti attorno ad una menzogna, un castello di carta che la rivelazione e l’abbandono della moglie distruggono come un soffio di vento. E l’anziana madre che sta scivolando nella senilità divenendo ogni giorno più evanescente, è un appiglio troppo fragile per tenersi attaccato alla realtà.

Non si riconosce più, non sa nemmeno se lui è ancora lo stesso ragazzo che trent’anni prima teneva un diario sul quale annotava i suoi stati d’animo, i nomi delle ragazze con cui aveva avuto una relazione, le riflessioni filosofiche che scaturivano dai suoi studi e le condizioni del tempo. Jónas ritrova i diari in cantina, mentre cerca di lasciare in ordine le sue cose; rileggerli lo riporta alla sua gioventù, all’incontro con la ragazza che diverrà sua moglie, alla nascita della figlia. È come vedere un film di cui lui stesso è protagonista, ma nel quale quasi non si riconosce più.

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Il tempo di formazione delle cicatrici varia a seconda dei casi, così come varia è la loro profondità. Alcune cicatrici sono più profonde di altre.

Cosa rimane degli anni passati? Sembra che solo le cicatrici, i segni evidenti impressi sulla carne siano lì a testimoniare gli avvenimenti che lo hanno segnato: una geografia del dolore, che lui cerca di coprire, simbolicamente, con un tatuaggio: una ninfea bianca, il nome di sua figlia (Vatnalilja significa appunto ninfea) tatuata sul petto, all’altezza del cuore. Lacerazioni che già covavano nel suo animo, quello di un ragazzino sensibile, come lo descrive l’anziana mamma, quello che alla morte improvvisa del padre si rende conto che “non tutti ti seguono fino in fondo”. Jónas, sopraffatto dallo smarrimento, decide di suicidarsi, di mettere la parola fine alla sua vita senza più uno scopo. Da uomo pratico quale è, passa in rassegna i possibili modi in cui farlo ma il pensiero che a trovare il suo corpo senza vita possa essere la figlia, lo preoccupa, e così decide di partire, di recarsi in un luogo lontano in cui a trovarlo sarà sicuramente un estraneo. Prepara poche cose, tanto si tratterà di sopravvivere solo alcuni giorni, il tempo necessario a scegliere il luogo e il modo.

Jónas nella vita è un “aggiusta tutto”, bravo a maneggiare trapani, cacciaviti e pialle, ha riparato di tutto in casa: pavimenti, bagni, mobili; quindi come bagaglio decide di portarsi qualche attrezzo, utile per preparare la modalità del suo suicidio, magari dovrà fissare un gancio, e gli attrezzi potrebbero tornargli utili. Parte verso un Paese che è appena uscito da una sanguinosa guerra civile, bombardato e devastato, dove le case ancora in piedi sono poche, dove manca tutto, dove i campi, i boschi e persino i parchi giochi dei bambini sono disseminati di mine antiuomo. La sua destinazione è l’Hotel Silence e, appena vi mette piede, il suo sguardo cade sui danni causati dalla guerra e immediatamente considera quanti e quali lavori bisognerebbe fare per riportarlo al suo aspetto originario, così come lui lo ha visto su internet. Ma è l’incontro con le persone che lo gestiscono a cambiargli ogni prospettiva e a fargli riconsiderare i suoi propositi. Così come le parole dell’anziana madre, in un sogno che fa la prima notte che dorme nell’albergo, a suggerirgli il modo per uscire dai suoi tormenti:

Anziché smettere di esistere, non puoi smettere di essere tu, e diventare un altro?

L’hotel è gestito da due ragazzi, fratello e sorella scampati alle squadre della morte, e con loro c’è il figlio piccolo di lei. Tre giovani vite che tentano di tornare alla normalità, lasciandosi alla spalle il dolore e la sofferenza che li ha quasi annichiliti. In paese i sopravvissuti si adoperano per ripristinare le loro abitazioni, per mantenere le piccole attività, come il ristorante in cui Jónas si reca per i pasti e dove fa amicizia col proprietario. Nei primi giorni del suo soggiorno, Jónas comincia a fare delle piccole riparazioni, è il suo istinto di mettere a posto le cose a guidarlo e a farlo entrare in simpatia agli abitanti del paese che, uno alla volta, cominciano a rivolgersi a lui, gli chiedono aiuto, lo attirano a sé per sistemare porte e finestre, mobili e tubature.

I giorni passano e lo scopo del viaggio sembra sempre più svanire dai pensieri di Jónas; il rapporto con i due ragazzi dell’albergo diviene sempre più stretto, nasce tra loro una complicità, quella che può unire chi dalla morte è stato sfiorato, chi l’ha dovuta, in un modo o nell’altro, prendere in considerazione. Nei loro occhi, nei loro racconti si addensa tutto il dolore provato ma anche tutta la voglia di vivere, di pensare al futuro, di rinascere finalmente dalle macerie, fisiche e morali. E Jónas, oltre a riparare pavimenti e impianti elettrici, capisce che può e deve aiutare i ragazzi a riparare le loro vite e a gettare le fondamenta per il futuro, e che facendolo, forse riuscirà a rimettere insieme i cocci della sua.

Dovrei dire a questa giovane donna, che sogna di sentire il tintinnare della pioggia su vasi di stagno: «Vedrai, presto qui qualcosa di verde crescerà di nuovo, si riaffaccerà alla polvere»? Potrei anche citarle il canto trasognato del poeta ucciso e gettato in una tomba senza nome e dire: Verde che ti voglio verde, verde vento. Verdi rami. O la farei stare peggio? E aggiungerei che il poeta aveva creduto in un mondo migliore che ci aspetta da qualche parte, nella luce che sorge all’orizzonte sull’oceano. (..) E con questo il nostro rapporto è diventato personale. Il che significa che non posso infliggerle il mio suicidio mentre si trova al lavoro.

Riuscirà Jónas a riconquistare fiducia, desisterà dal suo proposito? Questo non ve lo dico, lo scoprirete leggendo fino alla fine il romanzo e vi assicuro che sarà una corsa fino ad arrivare in fondo, e che poi vorrete tornare indietro a rileggere passi e capitoli, a riflettere sulle frasi, sui dialoghi, sul perché di certe decisioni. Tornerete a scorrere le citazioni e i rimandi letterari, tanti e tutti non casuali, come l’accenno nella citazione sopra a Lorca, al suo meraviglioso “Romance sonámbulo”, la mia preferita (la trovate qui).

Hotel Silence è un romanzo ispirato, poetico ma anche molto attaccato alla realtà, perché nella realtà vive la poesia, quella della vita, del suo volersi imporre sulle difficoltà più grandi, a dispetto e contro ogni tentativo di sopraffarla o di sottovalutarne il valore e la preziosità. Qui potete leggere l’incipit.

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Come dicevo all’inizio, il protagonista è islandese: il suo carattere riflette molto le atmosfere di questa terra, un confine geografico ed esistenziale prima del profondo nord.

L’Islanda è un’isola dell’Europa settentrionale. Si trova nell’Oceano Atlantico, tra la Groenlandia e la Gran Bretagna; a nord-ovest delle Isole Fær Øer. Il suo clima è temperato dalla corrente del Golfo, che in parte mitiga le temperature.

La vicinanza al Circolo Polare Artico fa sì che nei mesi di maggio, giugno (tutto) e parte di luglio non ci sia la notte, anche se il sole non è molto intenso. Questa località è nota anche per il fenomeno del sole di mezzanotte e attira turisti da tutto il mondo. Quest’isola è un universo a sé, tutto da scoprire ed è la seconda isola più grande in Europa.

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La parola “Islanda” deriva dall’islandese Ísland. Termine questo che deriva dal Norreno e significa “terra del ghiaccio”o “terra ghiacciata”. Il concetto è ben espresso dalla traduzione inglese “Iceland”. Come per altri luoghi in tutto il mondo, quest’isola ha avuto varie denominazioni nel corso degli anni e presenta una storia interessante e variegata. L’Islanda è un territorio ricco di storia e incredibilmente affascinante da esplorare.

Ricoperta da ghiacciai per il 10%, presenta una superficie formata da rocce di origine vulcanica, prevalentemente basaltiche. Gran parte del suo territorio è occupato da montagne e da vasti altopiani. Le coste a nord sono ricche di insenature e profondi fiordi; mentre a sud si presentano coste arenose e basse. Qui a sud, si concentrano le zone coltivabili.

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L’Islanda ospita il più grande ghiacciaio del continente, visibile all’interno del parco nazionale omonimo, il Vatnajökull . Altri imponenti ghiacciai possono essere ammirati nel parco nazionale di Snæfellsjökull. Ci sono 30 vulcani attivi e sull’isola sono diffuse molte manifestazioni vulcaniche secondarie, ovvero sorgenti termali, fumarole e moltissimi geyser. I geyser getti di acqua calda, alti decine di metri, sfruttati anche per il riscaldamento delle case islandesi. C’è un’enorme centrale termica che potrete vedere con i vostri occhi.

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Data l’abbondanza di ghiacciai, ci sono molti fiumi alimentati dall’acqua derivante dallo scioglimento del ghiaccio in estate. Tra inverno ed estate infatti, i suoi panorami cambiano notevolmente, tanto da sembrare due isole diverse. I corsi d’acqua hanno portate abbondanti e sono ricchi di salmoni e nei loro brevi corsi formano tante suggestive cascate. Due delle più conosciute sono la Cascata di Dettifoss e la Cascata di Skógafoss.

L’Islanda è una terra fredda, dal cuore caldo – così viene spesso descritta. Il suo cuore caldo è dato non solo dalle attività secondarie dei vulcani, ma anche dallo spirito dei suoi abitanti.

Il mezzo ideale per spostarsi in autonomia è l’auto e non esistono ferrovie. Il viaggio in Islanda va organizzato e pianificato con cura a seconda del periodo dell’anno che sceglierete per visitarla. In questa terra protesa al futuro, ma dove la natura è la protagonista indiscussa e domina prepotentemente il paesaggio, non appena lasciati i centri abitati.

I colori dell’Islanda restano dentro e ritornano alla mente di tanto in tanto. Il bianco inteso dei ghiacci, il blu del mare, il verde sfavillante dell’estate e la magia dei cieli dipinti dai colori dell’aurora boreale. Crepacci, valli, cascate, gole e spettacoli della natura. Innamorarsene è certo.

H S foto 10. per le vie della città

Reykjavik, la capitale, l’avrete certamente vista sia sul grande schermo che in alcune serie tv attuali, ambientata in Islanda come ad esempio “Trapped” e “Game of Thrones”. Ma l’Islanda è stata la location di molti film come “Tomb Raider”, “I sogni segreti di Walter Mitty” e “Interstellar”, solo per fare alcuni nomi. Reykjavik si trova nella parte sud-ovest, sulla costa islandese, a metà strada tra le montagne ed il mare. Nel golfo Faxafloi, ed è bagnata dalle acque dell’Oceano Atlantico.

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Al centro della città si trova il laghetto, Tjornin, che nel romanzo viene esplicitamente indicato. A dominare il suo paesaggio da una parte il maestoso monte Esja e dall’altra il mare, visibile da tutti i lati.  In lontananza, se il cielo è limpido, il vulcano Snaefellsjökull. Ospita il Museo nazionale e il Saga Museum, che ripercorrono il passato vichingo dell’Islanda.

Imperdibile la chiesa di Hallgrimskirkja, in cemento, che presenta un’architettura davvero particolare; salendo fino in cima si possono ammirare viste mozzafiato.

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Ed il Perlan, un edificio con una cupola rotante in vetro, che offre ampie vedute a 360° del mare e sulle colline.

Un esempio dell’attività vulcanica dell’isola, è visibile al Laguna Blu, un’area geotermale nei pressi del paesino di Grindavik. Questa località attira tanti turisti da tutto il mondo ogni anno. È una delle 25 meraviglie del mondo, acque turchesi e temperatura di quasi 40 gradi..

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Secondo la leggenda riportata nel Landnámabók, Reykjavik, venne fondata dal re della tribù vichinga, Ingólfur Arnarson, nel IX secolo dopo Cristo. Egli chiamò il posto Reykjarvir ovvero “baia fumosa”, per via dei vapori che salivano dal terreno. Si racconta che il re, in fuga dalla sua terra, abbia scelto questa parte dell’isola seguendo la direzione dei suoi Öndvegissúlur, ovvero le colonne di legno del suo trono, gettate in mare poco prima, in vista della terraferma.

Hofdi, si trova sul lungomare di Reykjavik e presenta l’interessante Höfði House, costruita nel 1909, è considerata uno degli edifici più belli e storicamente significativi nell’area di Reykjavík.
È conosciuto come il luogo dell’incontro al vertice del 1986 dei presidenti Ronald Reagan e Mikhail Gorbatsjov, un evento storico che ha effettivamente segnato la fine della Guerra Fredda. La scultura di fronte alla casa ritrae i pilastri dal seggio del capo del primo colono norvegese a Reykjavík.

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Il viaggio in Islanda solitamente comincia uscendo da Reykjavik e dirigendosi verso le tre attrazioni del cosiddetto Circolo d’Oro: il parco nazionale di Thingvellir, Il geyser di Geysir e la cascata Gullfoss. A poca distanza dalla capitale è possibile visitare una selezione significativa delle attrazioni naturali più belle offerte dall’Islanda e, volendo si può anche vedere tutto in una giornata.

La valle di Jokuldalur, nota anche come “The Glacial Valley”, è la valle abitata più lunga del paese. La parte più occidentale è in realtà l’area di Bruardalir, dove sorgeva la fattoria Laugarvellir, all’inizio del XIX secolo.

La parte occidentale della valle glaciale è stretta, ma si allarga più a est. Uno dei fiumi glaciali più voluminosi del paese attraversa l’intera lunghezza della valle e porta con sé circa 120 tonnellate di limo ogni ora. Alcuni ponti e funivie attraverso di esso hanno reso le comunicazioni più facili durante i secoli, ma molte persone ci sono annegate.

L’area di Jokuldalur ha sofferto dalle ceneri dell’eruzione Askja del 1875 e molte famiglie hanno dovuto emigrare. Guidando attraverso la valle si apre la vista a molte belle cascate sul suo lato orientale. Tra cui anche quella di Rjúkandi proprio da queste parti.

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Un’altra famosa cascata è quella di Gullfoss, che in Islandese significa  “Cascata d’Oro” e molti la ritengono la cascata più bella d’Islanda. È anche la più conosciuta dato che è facilmente raggiungibile da Reykjavik e ha dato il nome al Golden circle (Circolo d’Oro). E’ infatti una delle tappe dei classici tour, oltre a Geysir e Þingvellir. È situata a Sud-Ovest e si trova solamente a 2 ore da Reykjavik in auto, percorrendo la Strada 35. Quello che impressiona maggiormente di questa terra è la sua natura incontaminata, in contrasto con le strutture di architettura moderna che trovate nei vari luoghi. Chiese dai design più stravaganti, vie di negozi e ristornati e poi vallate immense e sterminate circondate da chilometri di assenza di villaggi.

Nota sull’autrice:

Auður Ava Ólafsdóttir fotoAuður Ava Ólafsdóttir è nata a Reykjavík nel 1958. Ha insegnato Storia dell’arte ed è stata direttrice del Museo dell’Università d’Islanda. Ha pubblicato Rosa candida (tradotto in tutti i maggiori paesi europei e negli Stati Uniti), La donna è un’isolaL’eccezioneIl rosso vivo del rabarbaroHotel Silence.

 

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Introduzione: Pina Bertoli

Recensione, stile e trama: Pina Bertoli

Geografia e descrizione dell’isola: Alessandra Carini

Foto: Alessandra Carini

Foto della copertina del libro: Pina Bertoli

Articolo scritto in collaborazione con Alessandra Carini de “50 sfumature di viaggio” e pagina facebook