Herta si copre le orecchie per non sentire il tonfo di un nuovo corpo morto che viene sbattuto giù dal carro bestiame. È già il terzo in tre giorni. Gettati come immondizie, lasciati a decomporsi lungo le rotaie. Per un po’ è riuscita a sopprimere il terrore, fingendo che fosse tutta una finzione, una scena di un film dell’orrore, e lasciando vagare la mente fino a farla uscire dal corpo e vedere se stessa dall’esterno.

Noi, i salvati, di Georgia Hunter, Casa Editrice Nord 2017, traduzione di Alessandro Storti, pagg 444

La scrittrice americana Georgia Hunter racconta in questo toccante romanzo la storia della sua famiglia. Casualmente, quando è ancora adolescente, l’autrice scopre la sua origine ebreo-polacca, e viene a conoscenza dell’odissea che i suoi familiari hanno vissuto durante la seconda guerra mondiale, sopravvivendo all’Olocausto, a duro prezzo, e decide di testimoniarla grazie ai racconti della nonna Caroline e dei vari familiari che decide di intervistare per ricomporre il puzzle della loro storia. Alla fine, nella “Nota dell’autrice”, Hunter presenta il suo modo di procedere che, oltre alla raccolta delle testimonianze, si fonda su un attento studio storico a trecentosessanta gradi, esplorando centinaia di fonti e tira le somme di questa incredibile storia.

Il racconto inizia nel marzo del 1939 quando la Germania invade la Cecoslovacchia dando l’avvio ai suoi piani espansionistici, che porteranno, di passo in passo, alla tragedia mondiale che ben sappiamo. E, per il popolo ebraico, allo sterminio.

Nelle prime pagine – a partire dall’albero genealogico della famiglia – conosciamo i Kurc, una famiglia ebrea che vive a Radom, in Polonia ormai da diverse generazioni. La famiglia è composta dai genitori, Sol e Nechuma, con i loro cinque figli, Genek, Mila, Addy, Jakob e Halina, e comprende anche i vari compagni nonché la figlioletta di Mila, Felicia. A Radom la comunità ebrea vive in pace con le altre. Ma la riunione familiare in occasione delle celebrazioni pasquali del 1939 è turbata dalle notizie che circolano, relative ad atti persecutori contro gli ebrei da parte dei tedeschi. Che, con l’invasione della Polonia – 1 settembre 1939 -, si dimostreranno ben più che fondate. La presa del potere infatti determina l’applicazione della follia persecutoria con sistematicità, a partire dall’istituzione del ghetto, proseguendo con la confisca di beni e case, alle vessazioni e così via. E, imponendo la loro supremazia, i tedeschi trascinano nel clima di antisemitismo anche chi, fino a pochi mesi prima, non ne vedeva alcuna motivazione. I fatti che seguiranno saranno la causa della disgregazione familiare e del destino che attenderà i vari membri.

radom ghetto

Il romanzo è un grande quadro, con una solida cornice storica, composto a sua volta da altri quadri più piccoli, che narrano le vite dei singoli protagonisti. Sull’asse temporale ci si muove tra il 1939 e il 1947 (a parte l’epilogo) mentre dal punto di vista geografico, ci sono innumerevoli spostamenti, in Europa ma non solo, perché per fuggire dalle persecuzioni o essendone prigionieri significa doversi spostare continuamente, in mezzo a pericoli e peripezie.

Non ripercorro le vicende personali di ciascun personaggio – complesse e dolorose, ma capaci di conservare anche una luce di speranza – ma vi lascio immaginare le tortuose vie che queste vite sono costrette a percorrere.

Noi, i salvati”, o “i fortunati” come nel titolo originale, è un bel romanzo corale, in cui si sentono tutte le voci dei protagonisti, in cui ci si trova immersi a trepidare, augurandosi nel cuore che la speranza non li abbandoni mai e guidi i loro passi anche nei momenti più bui. Un romanzo che è uno dei tanti contributi alla conservazione della memoria.

Potete leggere l’incipit qui.