Continuo la lettura dei Sonetos del amor oscuro con il penultimo della serie, uno, forse, dei più dolorosi e accorati.

El amor duerme en el pecho del poeta

 

Tú nunca entenderás lo que te quiero

porque duermes en mí y estás dormido.

Yo te oculto llorando, perseguido

por una voz de penetrante acero.

 

Norma que agita igual carne y lucero

traspasa ya mi pecho dolorido

y las turbias palabras han mordido

las alas de tu espíritu severo.

 

Grupo de gente salta en los jardines

esperando tu cuerpo y mi agonía

en caballos de luz y verdes crines.

 

Pero sigue durmiendo, vida mía.

¡Oye mi sangre rota en los violines!

¡Mira que nos acechan todavía!

 

Il poeta al suo amore che gli dorme sul petto*

 

Non saprai mai cos’è questo mio amore

perché tu dormi in me dentro il tuo sonno.

Ti nascondo piangendo, inseguito

da una voce di acciaio lancinante.

 

Quella norma che astri e corpi scuote

s’è fitta ormai nel mio affranto petto

e hanno morso le laide parole

le ali del tuo spirito severo.

 

In frotta gente salta nei giardini

e aspetta il corpo tuo e la mia agonia

su cavalli di luce e verdi crini.

 

Tu continua il tuo sonno, vita mia.

Ascolta il mio rotto sangue nei violini!

Vedi che in agguato ci aspettano ancora.

 

*la traduzione del titolo è di Mario Socrate

 

Si riprende qui un tema ricorrente nei canzonieri amorosi. È il topos della società che minaccia gli amanti: il mondo esterno con le sue leggi, la sua morale rifiuta questo amore, vuole discreditarlo e annientarlo. L’io poetico è consapevole di questa minaccia, di questa forza negativa che lo circonda e vuole opporsi ad essa per proteggere il proprio amore. L’amato è quasi inconsapevole della minaccia: “duermes en mí y estás dormido”. È questa tranquillità e serenità che l’io poetico vuole preservare: “Yo te oculto llorando”; c’è molto dolore nel suo tentativo perché conosce la carica negativa procedente dal mondo esterno: “una voz de penetrante acero”. Lorca usa in questa metafora un processo associativo tipico del suo linguaggio: cioè la caratterizzazione per mezzo di un metallo di qualcosa di estremamente negativo. La voce è fredda e metallica, simbolo che conduce alla morte, all’annientazione.

La minaccia dall’esterno è anche la maldicenza o la derisione, “turbias palabras”, ed è da tutto ciò che il poeta vuole difendere “las alas de tu espíritu severo”.

Anche nei sonetti di Shakespeare troviamo questo motivo, come si vede nel XXXVI, dove il poeta vuole mantenere nascosto il proprio amore per non esporre se stesso e soprattutto l’amato, alla maldicenza.

La convenzione della società, “norma que agita igual carne y lucero”, ha già ferito i sentimenti del poeta ed ora attenta all’innocenza, alla spiritualità dell’altro.

Le terzine si aprono su una visione molto minacciosa: la gente che, quasi coinvolta in una danza magica, attende “tu cuerpo y mi agonía”; questa immagine acquista ulteriore drammatismo nell’ultimo verso: “en caballos de luz y verdes crines”. Nell’ultima terzina c’è lo sforzo finale dell’io poetico di proteggere il destinatario del proprio amore, “vida mía”.

Ma il sonetto si chiude con una considerazione negativa, dovuta alla consapevolezza di quanto l’agguato sia ineludibile ed incombente.

L’enfasi formale dei vv. 13 e 14 procede all’unisono con il suo contenuto doloroso che si riassume potentemente nella disillusione espressa dall’ultimo verso.

Il lessico usato da Lorca è ancora quello del suo codice simbolico, che attraverso la trasfigurazione metaforica conferisce semantizzazioni evocatorie ad oggetti apparentemente estranei: dalla “voz” del v.4, ai “caballos” del v. 11, per concludersi al v.13 con “mi sangre rota en los violines”.

Dal punto di vista metrico, si nota la compattezza dei versi: solo il v.4 è a minore; cinque versi risultano tronchi nel primo emistichio ed uno, il 18, sdrucciolo. C’è un solo enlace versal, al v.7, mentre si registrano tre encabalgamientos sirremáticos mediales.