La decisione del governo di dare la possibilità alle librerie di riaprire dal 14 aprile, ha sollevato molti dubbi e perplessità proprio tra i primi attori di questo settore, e cioè i librai, soprattutto quelli indipendenti.
Vi segnalo questa lettera aperta che è stata pubblicata stamattina su Minima&Moralia, sottoscritta dagli aderenti al LED – Librai Editori Distribuzione in rete:
http://www.minimaetmoralia.it/wp/librai-non-simboli/
In effetti, ci sono molti aspetti da tenere in considerazione. Aspetti che però non cambieranno molto dal 3 maggio…. Ci vorrà un ripensamento globale, e non solo per le librerie, ma per tutte quelle attività che prevedono un contatto diretto col pubblico.
Fermo restando che non credo sia un obbligo la riapertura, avrei preferito la medesima iniziativa nei confronti delle biblioteche pubbliche. Opportunamente regolamentato l’ingresso, come ovunque, in questo periodo mi manca molto questo.
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A me sembra che si buttino briciole un po’ a caso, come per dare un contentino alla gente. Questa delle librerie non mi pare tanto intelligente e hanno ragione i librai che hanno sottoscritto la lettera aperta. Ho visto che, tra i firmatari, c’è anche la bellissima libreria Namastè, della mia città di nascita.
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Cambieranno molte cose per molto tempo. Mi pare, per quanto riguarda le librerie, che sia un po’ prematuro.
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Non so. Tutte vere le criticità che i librai segnalano e, in effetti, non ci credo alla riapertura delle librerie.
Va anche detto, tuttavia, che i problemi segnalati sono i problemi che affliggono le librerie ora emersi in tutta la loro realtà. Che precede questa crisi. A partire dal fatto che, così come dire LIbri significa poco anche dire LIbrerie signiica poco.
Belle, tutte le funzioni, le specificità del proprio lavoro che i librai rivendicano, ma vogliamo dirlo: non appartengono a tutte le librerie; forse a poche.
Ci sono certmente un certo numero di intervenit possibili a sostegno di un’attività fondamentale per la vita culturale di un paese; c’è anche da chiedere se una crisi come questa non sia il moemnto, potremmo dire ultimo, per una riflessione, da part dei librai su di sé; per un interrogarsi, da parte dei lettori che le frequentano, su cosa si chiede e su cosa si offre, in quello spazio tempo, che ha un necessario aspetto commerciale ma che non si risolve in esso.
C’è una vecchia regola che dice l’inutilità di definire gli altri e la necessità di definire se stessi.
E c’è qualcosa che stona tra l’immagine che i librai offrono di sé (immagine che è anche la mia ma che, francamente, soffre spesso il confronto di realtà) e, per l’appunto, la realtà.
Bene le consege a domicilio, immagino, non ne ho usufruito, per ora, ma dubito che lasciare un libro fuori della porta sia la soluzione per quella vicinanza, per quel diaogo, con il lettore, che sento (giustamente) rivendicati.
Non vorrei essere brutale e, se risulterò tale, credimi, sarà solo porre il problema estremizzandolo per chiarezza.
Mentre si chiedono interventi allo Stato (bene quelli proposti, o altri, non so, tutti da pensare), c’è qualcosa che i librai stanno pensando di fare per definire se stessi e la propria funzione e superare non l’attuale emergenza ma la crisi in atto di un modello libreria che, diciamolo, non funziona, non regge la sfida dell’oggi. E’ un mito ottocentesco.
E’ assurdo, certo, che si dica alle librerie, dai, riaprite pure, come lo si direbbe al fornaio, che infatti è aperto e ci pensa lui a come funzionare. Ma non può venir assegnata unicamente alla mancanza di sostegno pubblico l’incapacità/impossibilità delle librerie a stare sul mercato e, insieme, svolgere la propria funzione.
Molto più appropriato chiedere se si pensa a come, quando, riaprire, o comunque attivare la funzione delle biblioteche.
Lo ammetto: richio di incattivirmi, perché ho paura per le mie amate librerie. Ma un po’, diciamo meglio, da un po’, mi sto anche arrabbiando, con loro.
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credo che il punto 5 della lettera aperta sia tra i più interessanti e condivisibili
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