Voglio circoscrivere nel paragone delle parentesi il viaggio notturno che mi portò a Milano. Una parentesi si era aperta alla partenza,un’altra si sarebbe chiusa quando il treno si fosse fermato sotto le arcate della stazione Centrale. Aprire e chiudere, cominciare e finire. In mezzo scorre il tempo. (pag 123)

 

Breve storia del mio silenzio, di Giuseppe Lupo, Marsilio editori 2019, candidato al Premio Strega 2020

Si tratta di un’autobiografia dell’autore, di una biografia letteraria dell’Italia e di un romanzo di formazione. Il racconto parte dall’improvvisa e devastante (ma transitoria) perdita della parola da parte del bambino alla nascita della sorellina: lo choc di vedere quella creatura tra le braccia della mamma, ammutolisce il suo mondo. Mondo in cui giocare con le parole era uno svago ma anche un metodo con cui i suoi genitori – insegnanti elementari all’avanguardia – lo educavano al valore della parola.

La verità è che i consigli dei medici non avevano successo e io continuavo a non parlare. L’unico esercizio che mi interessava era scoprire i segreti che mettevano in fila le parole sulle labbra degli adulti. Contavo il tempo delle pause e pensavo: dopo quante lettere bisogna fermarsi a respirare? Ogni frase pareva un ponte sospeso sull’abisso. L’abisso era il silenzio e le parole erano appese al filo che ci penzolava sopra. Parlare era come salire su una funivia agganciata a questo filo: ci si lascia andare nel vuoto e via con le lettere, una dietro l’altra. (pag. 24)

Dunque il bambino cresce e si forma in un universo fatto di libri, di cultura, di letteratura: letterati e poeti attraversano la vita della sua famiglia e nutrono la sua crescita intellettuale, contribuendo a formare la sua identità.

In una intervista, Giuseppe Lupo racconta perché il terremoto ebbe un ruolo così decisivo nel suo amore per la lettura:

Perché fino a quell’evento, cioè fino ai miei diciassette anni, leggevo soltanto per ragioni scolastiche, obbligati dai professori. L’inverno che seguì al terremoto invece, vuoi perché non avevo altro da fare, vuoi per la paura di morire, ho cominciato a prendere in mano i libri che avevo a casa e mi sono appassionato all’idea che, immergendomi nelle storie, mi dimenticavo le mie paure. In quel momento ho scoperto che leggere è un modo per moltiplicare la vita e dimenticare la minaccia della morte. E ho capito anche che non avrei potuto vivere lontano dai libri.

Nella prima parte del libro troviamo una rievocazione dei personaggi con cui entra in contatto, e che ricorda con gli occhi infantili  di allora: il libraio di Potenza Vito Riviello a Tommaso Fiore e  Leonardo Sinisgalli , Giuseppe Antonello Leone e la moglie Maria Padula, il pedagogista milanese Ettore Gelpi.

La famiglia vive ad Atella, in Lucania, e l’ambiente del Subappennino è quello in cui lo scrittore vive gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, immerso nel paesaggio agreste, nelle usanze; già in questo contesto e in quegli anni, fa la sua comparsa Milano – secondo polo della sua esistenza futura – tramite i racconti di chi vi è emigrato, ma soprattutto grazie ai viaggi con i genitori (e senza la sorellina) per conoscere questa città, che era percepita come il simbolo della modernità.

La città era come se aprisse le braccia per proteggere le mie paure, aveva la forma di una chiocciola che si allarga, bastava solo che seguissi il corso dei navigli interrati. Allora cominciai a cercare l’acqua nascosta sottoterra. (..) Non sapevo dove mi avrebbero portato le dita sui tasti, ma l’acqua aveva svegliato le parole. Piano piano, canale dopo canale, sarebbero arrivate sul foglio. (pag 174)

Milano è la città dei vagabondaggi dello studente universitario, la città immersa nella nebbia, con la sua rete delle acque, circondata dalle periferie industriali, percorse anche più che del suo elegante centro storico. Alla città industriale e illuminista si aggiunge l’industria moderna, altro tema centrale del mondo di Lupo. La fascinazione per Milano va di pari passo con la fascinazione per i prodotti della nuova industria localizzata in Alta Italia, per il bambino Giuseppe: i detersivi con i loro profumi o l’acqua di colonia Victor, usata dal padre.

Nasce da qui l’interesse del futuro professore e saggista per la letteratura industriale italiana e per la storia dell’industria italiana.

L’autobiografia di Lupo è molto “letteraria”, più che personale. Le tappe della sua vita sono scandite da precisi ricordi e riferimenti a letture, riviste, libri, a protagonisti della vita culturale coeva, che costituivano il pane quotidiano della sua vita famigliare. La seconda parte contiene un ventaglio di riferimenti ai libri che costituiscono il canone della letteratura italiana del secondo dopoguerra e degli anni ottanta e novanta in particolare. A questi, si sommano i riferimenti alla musica dell’epoca e ai programmi televisivi che hanno nutrito la generazione dell’autore.