Il tempio giainista di Ranakpur, capolavoro di intarsio di marmo bianco che par scaturire da sé da quelle umili e per il resto modestissime montagne. (..) Il tempio dimostra la grande tolleranza religiosa della filosofia giainista. (..) Gli asceti, che con aria assente si aggirano nelle sale coperti da un semplice drappo bianco, contribuiscono all’atmosfera mistica di un luogo apparentemente fuori dal tempo e dallo spazio. (pag. 73)
La figlia del Maharaja. Viaggio in India, di Francesca Giommi, Aras edizioni 2021, pagg. 166, postfazione di Patrizio Roversi
Ho conosciuto, qualche anno fa, Francesca Giommi alla presentazione del suo libro Il tesoro degli Ashanti, splendido romanzo-libro di viaggio (qui la mia recensione) in cui la protagonista Isabel accompagna il lettore in un viaggio in Ghana, alla scoperta di un popolo e di un paese dalle secolari tradizioni. E sono rimasta affascinata dalla sua profondità e apertura mentale, che derivano certo dalla formazione culturale, ma anche dalle esperienze di viaggio che l’hanno portata a contatto con culture lontane da noi, sapendone cogliere con curiosità ogni aspetto. Ora, nel suo nuovo libro di cui vi parlo oggi, ritroviamo Bea, viaggiatrice come la sua autrice, alla scoperta di una delle mete più ambite da tutti i viaggiatori, l’India.

Francesca Giommi è dottore di ricerca in letterature postcoloniali, africane e di migrazione, e ha una solida e vasta conoscenza nutrita anche attraverso i numerosi viaggi in giro per il mondo. Collabora con le pagine culturali de L’indice dei libri e de Il Manifesto. La figlia del Maharaja, come anche il precedente, è un “librido“- definizione ideata da Patrizio Roversi, che commenta il libro in un simpatico “post lectum” -, cioè un libro composto da diverse anime: libro di viaggio, che racconta l’esperienza di Bea in India durante un viaggio organizzato, saggio di approfondimento rispetto ai luoghi visitati, alle tradizioni religiose e sociali, nonché della spiritualità, spiegate attraverso la voce della guida locale che accompagna il gruppo, esperienza in cui mettersi alla prova, avvicinandosi ad una cultura così diversa dalla nostra, rimanendone definitivamente affascinata.

La combriccola di italiani con cui si trova a viaggiare Bea è composita e ognuno dei componenti viene simpaticamente ritratto durante tutto il tragitto, con episodi divertenti e uscite di spirito che disvelano le tipiche idiosincrasie dei viaggiatori occidentali, e italiani in particolare. Il viaggio si snoda attraverso il Rajasthan, toccando le attrazioni costituite da imponenti forti e residenze reali, palazzi dalle architetture affascinanti e dalle mille bellezze e stranezze, per noi occidentali, come i topi che vivono e sono venerati a Deshnok nel tempio di Karni Mata. E poi la cittadina di Bikaner, alle porte del deserto del Thar, la “città d’oro” di Jaisalmer, Jodhpur, la “città bianca” Udaipur, Jaipur e via via attraverso tempi, vicoli, mercati, fino alle mete che ogni visitatore anela: il Taj Mahal e Varanasi.
Ciò che più la attraeva in quegli stretti vicoli incorniciati da fantastiche architetture color ocra, era il vociare all’unisono di un’umanità così varia da provocarle smarrimento, ma al tempo stesso da suscitare il senso di un profondo universale riconoscimenti. (pag. 53)

Bea e il resto della compagnia si sposta dapprima su uno scassato bus – sul quale però, a parte l’impatto iniziale, si sentono a loro agio – poi su un treno Intercity ed infine su un bus più moderno, sempre accompagnati da Raji, la dotta guida in tee shirt e occhiali Rayban attraverso il quale apprendono tutte le informazioni sui luoghi, sulla cultura e sull’intricata genealogia delle divinità indiane. Essendo un viaggio organizzato, c’è poco spazio per iniziative ed escursioni fuori programma, ma di tanto in tanto Bea riesce a svicolare e ad assaporare dettagli e situazioni di prima mano. I pernottamenti sono ovviamente in Resort Luxury, il che comunque permette di assaporare le atmosfere festaiole delle serate animate dalla musica indiana, come quando, in uno di questi resort, si imbattono nei preparativi di un sontuoso matrimonio. Anche il cibo è fonte di stupore e un’esperienza pervasiva, che nella sua variegata galleria di sapori costituisce un contatto diretto e verace dell’anima di un popolo. E, meglio che nel ristorante del resort, i colori e i profumi arrivano a deliziare i viaggiatori nei mercati popolari, dove cibi, spezie e granaglie si dispiegano in una moltitudine di colori e di sapori.
Di fronte ad una intera parete di contenitori di vetro di diverse dimensioni, Bea ebbe come un’epifania: dispiegati davanti ai suoi occhi si ergevano impilati vasi e vasetti di pickles, quelle conserve di frutta o vegetali, spesso in salsa agrodolce, che gli indiani producono e consumano in grande quantità, immancabili sulle tavole e nella letteratura del subcontinente, come in quella struggentissima storia d’amore, che l’aveva avvinghiata e tenuta con il fiato sospeso per lunghe e lunghe notti ne Il dio delle piccole cose. (pag. 111)
Personalmente, subendo il fascino della cultura indiana, sono rimasta attaccata alle pagine in cui l’autrice spiega con precisione ma senza pedanteria, la storia e le religioni di questo immenso quanto vario subcontinente, fornendo una visione completa per le necessità di un viaggiatore curioso; dai Mogul, ai brahamini, ai santoni e asceti, Francesca Giommi nel suo libro chiarisce molto del misticismo, delle cerimonie e delle usanze di una regione quanto mai composita.

L’arrivo a Varanasi, la più sacra delle sette città sacre per induismo e giainismo, costituisce il contatto più diretto e profondo, vissuto immergendosi nella capitale spirituale dell’India lasciandosi sopraffare dall’atmosfera mistica che avvolge i luoghi e le persone che vi si recano ambendo ad una catarsi finale. Luogo visitato da milioni di pellegrini indiani e turisti stranieri, Varanasi con le sue cerimonie religiose appare come la quintessenza della spiritualità.
All’imbrunire, assistettero alla suggestiva cerimonia dell’Aarti, dedicata alle sacre acque della dea Madre Ganga, raffigurazione naturale di Vishnu, dio del femminino spirituale, ricca di una complessa simbologia espressiva. (..) Le fiammelle che ciascuno reggeva nel palmo della propria mano, si riflettevano sulle loro guance e rischiaravano flebilmente le tenebre da cui furono gradualmente circondati, avvolgendoli in un estatico rapimento dei sensi, inebriati dagli incensi di legno di sandalo, frastornati da canti e danze, percussioni di conchiglie, gong e tamburi, e dal tintinnio assordante di infiniti campanellini. (pag. 147)
Fino all’Epilogo, in cui con degna conclusione, il libro offre una potente chiave di lettura dell’intimo e sacro approccio con cui l’India si fa anima del mondo.
La figlia del Maharja è una lettura molto piacevole e ricca, che offre al lettore la cronaca di un viaggio impreziosita da accurate descrizioni, con un approccio antropologico che racconta l’India in tutte le sue sfaccettature culturali, filosofiche e religiose. Un libro prezioso per chi intende organizzare un viaggio in quel paese, o anche solo sognarlo ad occhi e libro aperto.
P. S. A voi scoprire cosa si cela dietro il titolo…..
Alcune immagini riprese dal sito: Rajastan Official Site e dal sito Lonely Planet
Sembra decisamente affascinante!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grande creatività!
"Mi piace"Piace a 1 persona