Premio Speciale Lattes Grinzane 2021 a Margaret Atwood
La scrittrice riceverà il premio e terrà una lectio magistralis il 2 ottobre ad Alba

Kader Abdolah (nato in Iran e rifugiato politico in Olanda) con Il sentiero delle babbucce gialle (Iperborea;
traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo),

Bernardine Evaristo (britannica di origini nigeriana) con Ragazza, donna, altro (Sur; traduzione di Martina Testa),

Maylis de Kerangal (francese) con Un mondo a portata di mano (Feltrinelli; traduzione di Maria Baiocchi),

Nicola Lagioia con La città dei vivi (Einaudi),

Richard Russo (statunitense) con Le conseguenze (Neri Pozza; traduzione di Ada Arduini)

sono i finalisti del Premio Lattes Grinzane 2021, riconoscimento internazionale intitolato a Mario Lattes, giunto alla sua XI edizione, che fa concorrere insieme autori italiani e stranieri ed è dedicato ai migliori libri di narrativa pubblicati nell’ultimo anno.
Margaret Atwood (Canada), edita in Italia principalmente da Ponte alle Grazie (tradotta, tra gli altri, da Guido Calza, Camillo Pennati, Elisa Banfi, Francesco Bruno, Margherita Crepax, Raffaella Belletti, Renata Morresi) è la vincitrice del Premio Speciale Lattes Grinzane, attribuito ogni anno a un’autrice o autore internazionale di fama riconosciuta a livello mondiale, che nel corso del tempo abbia raccolto un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico. Autrice di romanzi di successo come Il racconto dell’Ancella, I testamenti, L’altra Grace e L’anno prima del diluvio, molti dei quali trasposti in serie televisive, Atwood è in uscita in Italia, sempre per Ponte alle Grazie, con il romanzo Bodily Harm, scritto nel 1981 e mai pubblicato nel nostro Paese, e la sua più recente raccolta di poesie Dearly, attesi entrambi in autunno, e con Oryx e Crake, in libreria dal 13 maggio, nuova edizione di L’ultimo degli uomini, edito in italiano nel 2003.

I libri che quest’anno sono stati scelti dalla giuria del Premio Bottari Lattes rintracciano nelle vite dei protagonisti le radici dei loro comportamenti e i tentativi più o meno riusciti di tagliare il cordone ombelicale con i propri genitori. La nostra esistenza viene infatti condizionata dai modelli, dai ruoli, dal clima emotivo che durante l’infanzia la nostra famiglia d’origine ci trasmette. Cosa mantenere del proprio passato e cosa lasciar andare è perciò questione decisiva per ciascuno di noi. (Laura Pariani, scrittrice e giurata)

I cinque romanzi finalisti, così come il Premio Speciale, sono stati selezionati dai docenti, intellettuali, critici e scrittori che formano la Giura Tecnica. I cinque libri in gara sono affidati alla lettura e al giudizio di 400 studenti delle Giurie Scolastiche, avviate in 25 scuole superiori, da Bolzano a Trapani (passando per Torino, Alba, Bologna, Macerata, Matera, ecc.). Con i loro voti, i giovani giurati decretano il libro vincitore, che sarà proclamato sabato 2 ottobre 2021, nel corso della cerimonia di premiazione al Teatro sociale Busca di Alba (ingresso libero fino a esaurimento posti, con modalità che saranno definite a settembre, nel rispetto delle norme sull’emergenza sanitaria Covid-19). In questa occasione il Premio Speciale Margaret Atwood terrà una lectio magistralis su un tema a propria scelta e sarà insignita del riconoscimento. Inoltre, nel corso della mattinata di sabato 2 ottobre i finalisti incontreranno gli studenti delle scuole del territorio cuneese al Castello di Grinzane Cavour (ore 10.30).
Il bookshop al Teatro Sociale Busca è curato dalla Libreria Milton di Alba.

Gli appuntamenti del Premio saranno anche trasmessi in diretta streaming sul sito e sui canali social della Fondazione Bottari Lattes, permettendo così di raggiungere pubblici diversi e lontani e mettendo a disposizione di tutti importanti contenuti della grande narrativa contemporanea.


I finalisti e il Premio Speciale


«La varietà e la qualità delle proposte – spiega la Giuria Tecnica – sono state davvero notevoli e la giuria ha cercato di riconoscerle, anche pensando ai giovani giurati chiamati alla lettura della cinquina e alla scelta del vincitore. Importanza e qualità della testimonianza storica o biografica o civile sono stati quindi tenuti in conto non meno della felicità e della freschezza o della sapienza e dell’eleganza della scrittura. La vitalità mondiale del romanzo è stata confermata dalle proposte pervenute alla giuria per il Premio Lattes Grinzane. Ferma restando la qualità, a volte la raffinatezza di molti romanzi di cultura occidentale, è indubbio che attirino particolare attenzione quelli che vengono da mondi lontani, per i quali costituiscono una modalità narrativa che entra in fecondo contatto con altre, popolari e native, posture di racconto. Questi libri affascinano non solo per le storie che fanno conoscere, denunciano o rievocano, ma anche proprio per il linguaggio, che si sente intriso di stili diversi, meno, per così dire, scritti e strutturati, più liberi e diretti, di quelli dei romanzi delle nostre culture, nelle quali il genere ha una storia plurisecolare.»

L’educazione sentimentale e artistica dell’iraniano Sultan inizia sotto la guida di un nonno convinto che ogni essere umano abbia un jinn “che vive con lui, dentro di lui e accanto a lui” per guidarlo lungo i sentieri della vita. Nato in un castello di nobili commercianti di zafferano, per superare il senso di solitudine delle alte mura che tracciano un vero e proprio confine tra lui e i suoi coetanei, il protagonista si abitua a  guardare il resto del mondo con un cannocchiale. In questo modo imbocca un sentiero che determinerà il suo futuro: col bisogno di guardare il mondo attraverso una lente, sviluppando una vera passione per l’immagine, dalla fotografia al cinema. Come nell’antico poema persiano che introduce il romanzo, Sultan va alla ricerca di sé traversando la modernizzazione forzata imposta dallo Scià negli anni Cinquanta, l’epoca khomeinista che lancia una fatwa contro i cineasti, la cruda esperienza di documentarista nella guerra con l’Iraq. Infine, nella scelta di scrivere un romanzo e nella lotta quotidiana con la lingua dell’esilio olandese, Sultan – come lo stesso Kader – scopre di poter collegare definitivamente le “linee invisibili che univano il tutto”.

Qui potete leggere la mia recensione.

Lo scrittore ricostruisce un caso di cronaca nera, indagando la psicologia dei giovani coinvolti – cosiddetti ragazzi di buona famiglia – al di là delle definizioni giornalistiche di “vittima predestinata” e di “carnefici”. Nella gran mole di documenti raccolti da Lagioia, balza agli occhi la riluttanza dei due assassini a riconoscere le proprie responsabilità: parlano infatti “come se ad agire non fossero stati loro ma qualcos’altro, un oscuro regista che aveva preso il sopravvento”. Da dove viene la loro voglia di distruggere il più debole o di ridurre un coetaneo al nulla? La violenza è un’eredità inevitabile che ristagna sul genere umano dalla notte dei tempi? Educazione e cultura possono tenerla a bada?… Nella ricostruzione del crimine emergono differenze di classe, legami disfunzionali, vecchie ferite non sanate; ma anche lacerazioni di un Paese terribilmente in ritardo sulle questioni di genere e di orientamento sessuale. E mentre pone domande ricercando le ragioni di ciascuno, Lagioia si mette in gioco tra le righe perché fondamentale nella vita è capire il senso della nostra storia, cosa ci è accaduto e perché. Con il sottofondo implicito della domanda: “Che cosa sarebbe successo se…?”.

La formazione della ventenne Paula, come donna e artista, avviene in un continuo trovarsi al bivio: artigianato o arte, vecchio o nuovo, leggerezza o passione. L’indipendenza è conquistata apparentemente senza traumi; non avviene infatti uno scontro netto con la famiglia d’origine: i genitori borghesi, che esibiscono una longevità amorosa sorprendente, sembrano semplicemente alzare un sopracciglio di fronte all’apparente casualità con cui Paula sceglie le relazioni affettive e gli ingaggi nei vari cantieri – dai set cinematografici alle grotte di Lascaux. Ma a un certo punto la protagonista scopre che anche lei, come tutti, è scavata da fiumi carsici e gallerie oscure. E la sua educazione sentimentale si completerà nella lettura di Anna Karenina, romanzo che leggerà d’un fiato, “magnetizzata dalla costruzione progressiva dell’amore, tagliato, scheggia dopo scheggia, come un’amigdala del Paleolitico fino a diventare tagliente come una lama e capace di incidere un cuore in silenzio”.

Esiste nella nostra adolescenza un momento di incroci, bivi e svolte (le chances del titolo originale), ma una volta imboccata una strada, avviata la discesa verso la cosiddetta età adulta, non restano che le conseguenze (il titolo della traduzione italiana) di tali scelte. Con rapidità l’innocenza si tramuta “in orgoglio e l’orgoglio in una delusione schiacciante, in disperazione, in amarezza e alla fine in rassegnazione e disprezzo di sé”. Così, a quarant’anni di distanza da quel breve e smagliante momento delle “possibilità”, Lincoln, Teddy e Michey si ritrovano a fare i conti con verità sepolte nel profondo della coscienza. Una di queste è che ogni esistenza ha un desiderio quasi insopportabile – per i tre amici di un tempo, l’affascinante Jacy – e un’occasione per inseguirlo. Un’altra è che la famiglia in cui cresciamo – col suo sistema di aspettative e obblighi – ce la portiamo dentro tutta la vita e “fare ai tuoi figli quello che è stato fatto a te è la storia più vecchia del mondo”. Nella malinconica fine-stagione della vita, è allora impossibile avere un’altra chance? Teddy, che “per anni aveva creduto di non avere un compito urgente da svolgere nel mondo, o che il mondo non avesse nulla in serbo per lui”, ha un guizzo di entusiasmo che forse gli darà un’ultima possibilità.