Uscirà il 7 ottobre nelle sale cinematografiche italiane l’attesissima pellicola “A Chiara” di Jonas Carpignano. Presentata in anteprima mondiale nella sezione Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2021, dove è stata acclamata dalla critica ricevendo il premio Europa Cinemas Label, quest’opera chiude la saga in tre atti incominciata con “Mediterranea” (2015) e proseguita con “A Ciambra” (2017). E il film è appena entrato nella selezione dell’European Film Academy – gli Oscar europei -, il cui annuncio dei vincitori si terrà il prossimo 11 dicembre a Berlino. “A Chiara” di Jonas Carpignano e “La Mif” di Fred Baillif sono i film vincitori dello Zurich Film Festival, che si è concluso sabato 2 ottobre. 

Siamo stati travolti dalla rilettura moderna della tradizione neorealista italiana, dall’uso eccezionale della musica e del sound design e dalle eccezionali performance di Swamy Rotolo e della sua famiglia, al loro debutto cinematografico. Il film è un capolavoro.

ha argomentato la giuria, che ha assunto la sua decisione “all’unanimità”. Il regista Jonas Carpignano spiega:

All’inizio non avevo affatto in mente l’idea di fare un trittico. Ma ben presto ho capito che volevo realizzare tre film su tre aspetti di questa città. Il primo era la comunità africana, il secondo, questa comunità rom un tempo nomade, ma divenuta completamente sedentaria e insediata a Gioia Tauro. Infine, la ‘Malavita’, le persone coinvolte nell’economia sotterranea creata dalla mafia.

Con “A Chiara”, il regista offre un viaggio di iniziazione e un racconto di formazione che mescolano dolcezza e amarezza. Un film che supera i soliti stereotipi, andando oltre i pregiudizi e dribblando quei luoghi comuni ormai triti e ritriti.

Rispetto ai primi due film, A Chiara ha uno stile meno documentaristico, mette in scena una realtà almeno in parte di finzione.

È sicuramente uno sguardo più digeribile da un pubblico ampio”, ha detto il regista. “Sono l’argomento e la protagonista che lo rendono tale. Quello che cerco di fare in un film rispecchia il mondo che racconto. A Ciambra era il caos totale perché così è quella realtà, in questo caso la vicenda è raccontata quasi come un giallo legato alla scoperta di cosa succede alla famiglia. Tutti i miei film partono dal protagonista. Swamy non ha mai letto la sceneggiatura, la mia idea era di sorprenderla. Ogni attore conosceva solo le scene legate al suo personaggio.”

TRAMA

È il 18esimo compleanno di Giulia, figlia maggiore di una famiglia di Gioia Tauro. Sua sorella Chiara di anni ne ha 15 ed è nella fase della vita in cui comincia a porsi molte domande. Quando però suo padre Claudio sfugge alle forze dell’ordine le domande che Chiara pone alla sua famiglia diventano scomode: non è abbastanza grande per capire, non sa che ci sono cose che è meglio non sapere e cose che non è meglio non dire. Ma Chiara non sa stare zitta e non smette di cercare risposte, soprattutto da quel padre cui è profondamente legata e che ha appena rivelato un lato di sé a lei completamente sconosciuto.

Come in A Ciambra, qui esplicitamente citato attraverso la comunità Rom di Gioia Tauro e attraverso il cammeo di Pio Amato, A Chiara vede al centro un’anima giovane che deve trovare la sua strada ma che fa parte di un insieme nel quale in buona parte si riconosce.

Fin dalle prime scene il regista-sceneggiatore ritrae la medio-piccola borghesia calabrese attraverso i riti della modernità urbana nel nostro Sud: i selfie, il rap, le feste iperdecorate. Ma il suo non è uno sguardo distaccato, come in Reality di Matteo Garrone: Carpignano ficca la cinepresa in mezzo invece di lasciarla sopra un piedestallo, e condivide il kitch posticcio come il calore autentico di certi riti comunitari che diventano folkloristici solo se li guardiamo da lontano, e con supponenza.

C’è una verità, nella sua mano di regia, che gli impedisce di esprimere (o sollecitare) facili giudizi e che gli fa perdonare anche qualche caduta nella recitazione disomogenea dei suoi non-attori (a parte la protagonista Swamy Rotolo, sempre sul pezzo) e almeno una svolta narrativa poco probabile.

In casa di Chiara c’è un buco nero che la ragazza immagina prima di scovarlo, ed è un buco che le si allarga dentro; il suo intuito attraversa una realtà che si trasforma in incubo, e il lavoro di Carpignano si gioca anche sul silenzio e sulle vibrazioni sonore (a firmare il commento musicale questa volta, oltre a Dan Romer, c’è Benh Zeitlin, il regista di Re della terra selvaggia) che la accompagnano, replicando lo straniamento in cui la ragazza è catapultata e che comincia nel cuore del suo nido, nel mezzo della sua famiglia così amata. “Che sta succedendo?” chiede Chiara, un attimo prima di scontrarsi contro il muro dell’omertà che in Calabria (ma anche a Milano, come denuncia una targa d’automobile) ha il nome della ‘ndrangheta.

Chiara non rispetta le regole, nemmeno quelle della società civile, non crede al sistema ereditario ‘ndranghetista e ad un destino già segnato. E tuttavia smarcarsi comporta strazio e rimorso. Come Carpignano, Chiara è condannata a vedere le cose come sono, non come vorremmo che fossero: una chiamata etica ed estetica che è impossibile ignorare. A Chiara comincia e finisce con una celebrazione, ma c’è poco da festeggiare, e la malinconia ci accompagna all’uscita. (MyMovie)