Più tardi ucciderò e penserò di non avere scelta. La sua vita o tutto il nostro onore. Non sono io che ucciderò, ma la strada, il quartiere, la città. Il Paese.

Nell’Iraq rurale dei nostri giorni, sulle rive del Tigri, una ragazza infrange un divieto assoluto: ha avuto una storia d’amore fuori dal matrimonio, il ragazzo è morto sotto le bombe, lei è rimasta incinta. Il suo destino è segnato, dovrà morire per mano della sua stessa famiglia.

Il lamento del Tigri, di Emilienne Malfatto, Sellerio 2022, traduzione dal francese di Vincenzo Barca, pp. 96

Sulle rive del grande fiume Tigri, nel sud dell’Iraq, una ragazza si accorge di essere incinta. La più grave delle colpe: ha fatto l’amore («il nostro unico rapporto», e nemmeno è stato bello) prima del matrimonio con il suo fidanzato, morto in guerra subito dopo. E adesso sa che deve morire, lo vuole la famiglia, la tradizione e il dominio maschile. «L’onore è più importante della vita. Da noi, è meglio una ragazza morta che una ragazza-madre». Non conta nemmeno, contro l’implacabilità della condanna, l’affetto che pure non manca dei fratelli, o la pietà di qualcuno di essi.
Questa attesa della morte è descritta in prima persona dalla giovane «impura». E il suo racconto, che si intenerisce a rievocare un passato più felice, è anche una condanna della incomprensibile guerra portata da fuori, e delle inutili umiliazioni che i «biondi» occupanti sprezzanti impongono agli abitanti.
Da coro le fanno i familiari tutti, dalla madre alla piccola sorellina, passando per il fratello che sarà l’assassino e per l’altro fratello «modernista». Costoro spiegano, ciascuno dalla propria posizione, le allucinanti e realistiche motivazioni di un’esecuzione femminicida.
Scritto da un’autrice giovanissima, questo è un libro di rabbia e di tristezza.
Con l’incedere crescente di una tragedia antica, fa vivere il conflitto tra una persona umana autentica e la crudeltà inesorabile della tradizione dominante; ma è anche l’addio commovente di una ragazzina che vuole continuare a vivere ma non potrà per colpa di un regime secolare di sottomissione.

Il romanzo è scandito da brevi estratti dell’epopea di Gilgamesh e da testi poetici detti da un altro personaggio del romanzo, il Tigri, fiume che attraversa l’Iraq da nord a sud, testimone dei drammi del paese e schiacciato dagli uomini:“Conosco la follia degli uomini. Mille volte ho visto la loro vanità portarli alla rovina.”

La scrittura è semplice, le frasi spesso brevi, incisive. La storia è veloce, potente, un vero successo letterario, un romanzo breve ma di grande intensità. 

Mi chiamano Tigri ma ogni giorno nasco dal toro e dalla tempesta, lassù sulle montagne del nord. Gli uomini di questa regione mi hanno squarciato il fianco, hanno raschiato il mio fiume con il loro metallo e i loro picconi. Hanno eretto muri di cemento e acciaio per trattenere le mie acque. Sono come il vento tra le canne, passano ma non dureranno. Quando conti come me nei millenni, niente conta davvero.

Emilienne Malfatto (1989) è una scrittrice, giornalista e fotoreporter francese. Il lamento del Tigri, con cui ha vinto il Premio Goncourt per l’opera prima nel 2021, è il suo primo romanzo.