Nella splendida cornice dell’aula magna di Palazzo Bo a Padova, la giuria del Premio Campiello, presieduta da Walter Veltroni, dopo 5 turni di votazione, ha scelto i romanzi finalisti. Eccoli in ordine di votazione:

Il fuoco che ti porti dentro di Antonio Franchini (Marsilio) – 1° turno

La casa del mago di Emanuele Trevi (Ponte alle Grazie) – 1° turno

Locus desperatus di Michele Mari (Einaudi) – 2° turno

Alma di Federica Manzon (Feltrinelli) – 3° turno

Dilaga ovunque di Vanni Santoni (Laterza) – 5° turno

Durante la selezione, è stato annunciato anche il vincitore del Premio Campiello “Opera Prima”, riconoscimento attribuito dal 2004 ad un autore al suo esordio letterario. Il premio è stato assegnato a Fiammetta Palpati con La casa delle orfane bianche (Laurana Editore), per «l’originalità di linguaggio, di drammaturgia, di impianto e di tema».

Il quadro tracciato dai giurati sul romanzo italiano contemporaneo, in particolare da Chiara Fenoglio – docente di letteratura italiana all’università di Torino a cui è spettato, quest’anno, il compito di fare da portavoce – parla di una narrativa che si avventura verso dei territori di confine, che cerca nuove e diverse modalità di leggere la realtà. Gli autori, oggi, si muovono verso la storia, l’antropologia, la linguistica, l’ecologia e l’ambiente, come emerge chiaramente dalla cinquina e, in generale, dalla rosa ampia di 85 volumi segnalati.

«Abbiamo lavorato con solidarietà e accanimento alla ricerca del meglio possibile, e sono felice di averlo fatto con questa giuria – ha dichiarato Veltroni -. L’ultima volta che sono stato in questa aula è stato in occasione del conferimento della laurea alla memoria di Giulia Cecchettin. Mai come quella volta abbiamo potuto apprezzare il valore delle parole. Se in quell’occasione fossero state usate parole di odio – come sarebbe potuto essere comprensibile – se non avessero solcato la via della comprensione e della valorizzazione della vita, probabilmente quella vicenda avrebbe potuto cambiare il linguaggio del tempo. Le parole sono importanti e anche noi qui oggi, con il Premio Campiello, celebriamo la bellezza delle parole».

Ecco i cinque romanzi finalisti, presentati uno per uno:

“Il fuoco che ti porti dentro” di Antonio Franchini è un romanzo che scava nelle profondità dell’animo umano, raccontando la vita tormentata di Angela, una donna dal carattere burrascoso e pieno di contraddizioni. Attraverso la lente della commedia, l’autore dipinge un ritratto tragico di una donna che incarna i mali dell’Italia: razzismo, classismo, egoismo, opportunismo.

Angela è la madre dell’autore, e il romanzo diventa un’esplorazione dolorosa delle loro relazioni, segnate da incomprensioni e conflitti. Franchini ripercorre la vita di Angela, cercando di comprendere le radici della sua rabbia e del suo odio. Quali esperienze traumatiche si celano dietro la sua indole ostile e refrattaria a qualsiasi forma di pace? È la guerra che l’ha segnata da bambina? La morte prematura del padre o quella tardiva della madre, che le ha rubato la giovinezza e la felicità? Un complesso d’inferiorità radicato o il risentimento verso un Sud oppresso da un Nord arrogante? Oppure, come suggerisce il titolo, il fuoco che la divora è privo di una spiegazione razionale, come la lava incandescente di un vulcano?

Franchini non offre risposte facili, ma ci guida attraverso un vortice di emozioni contrastanti, accompagnandoci nella vita di Angela e dei personaggi che la circondano. La donna appare come una figura eccessiva e imprevedibile, capace di passare da momenti drammatici e ossessivi a scoppi di ironia e comicità. “Il fuoco che ti porti dentro” è un romanzo potente e commovente che ci interroga sul potere distruttivo della rabbia e del dolore, ma anche sulla possibilità di redenzione e sulla forza dell’amore. Un’opera che ci spinge a riflettere sui demoni interiori che ci abitano e sulla complessità delle relazioni umane.

L’attesissimo ritorno al romanzo di Emanuele Trevi. L’autore ci offre il suo libro più personale, più commovente, più ironico.

“La casa del mago” di Emanuele Trevi è un romanzo profondo e commovente che esplora il complesso rapporto tra padre e figlio, intrecciando autobiografia, riflessioni filosofiche e ritratti storici. L’incipit del libro cattura subito il lettore con l’enigmatica frase ripetuta dalla madre di Trevi al figlio bambino: “Lo sai com’è fatto?”. Questa domanda diventa il leitmotiv del romanzo, spingendo Emanuele a indagare la figura del padre, Mario Trevi, un celebre e riservato psicoanalista junghiano.

Mario Trevi è per Emanuele un mago, una figura affascinante e misteriosa che rappresenta la guarigione e la comprensione dell’animo umano. La sua morte lascia un vuoto incolmabile nella vita del figlio, che decide di trasferirsi nell’appartamento-studio del padre, un luogo carico di ricordi e permeato dalle “vite storte” che il padre ha cercato di sanare. Tra le mura della casa del mago, Emanuele intraprende un viaggio introspettivo alla ricerca di suo padre e di se stesso. Si muove in un territorio fluido e mutevole, dove autobiografia, riflessioni sull’esistenza e sulla morte, e riferimenti alla storia culturale del Novecento si intrecciano indissolubilmente. In questo percorso, Emanuele incontra una serie di personaggi straordinari, tra cui Paradisa, una prostituta peruviana, e figure storiche come Carl Gustav Jung, Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli e Ernst Bernhard.

“La casa del mago” è un romanzo ricco di emozioni, che spazia dalla commozione all’ironia, dall’umorismo alla tragedia. È un’opera che ci invita a riflettere sul senso della vita, dei rapporti umani e sul potere salvifico dell’arte.

Ecco alcuni elementi chiave del romanzo:

  • Il rapporto padre-figlio: Il romanzo esplora la complessa dinamica tra Emanuele e suo padre, un uomo enigmatico e affascinante che ha avuto un profondo impatto sulla sua vita.
  • La psicoanalisi junghiana: L’influenza del pensiero di Jung è evidente in tutto il romanzo, sia nella figura del padre che nella riflessione di Emanuele sul suo passato e sulla sua psiche.
  • Il potere dell’arte: La letteratura, la musica e l’arte in generale svolgono un ruolo importante nel romanzo, offrendo a Emanuele un modo per comprendere se stesso e il mondo che lo circonda.
  • La memoria e il tempo: Il romanzo è permeato da riflessioni sulla memoria e sul tempo, sul passato che influenza il presente e sul futuro che è ancora da scrivere.

“La casa del mago” è un romanzo complesso e affascinante che ha ricevuto numerosi premi e consensi dalla critica. È un’opera che merita di essere letta da chiunque sia interessato a esplorare le profondità dell’animo umano e i misteri dell’esistenza.

In filologia, il locus desperatus indica un passo testuale corrotto e insanabile, per il quale il filologo è costretto a gettare la spugna contrassegnandolo con la cosiddetta «croce della disperazione». E a dare l’avvio a questa storia è proprio una piccola croce, disegnata nottetempo con un gessetto su una porta.
Un mattino, uscendo dal suo appartamento, il protagonista nota quel segno appena sopra lo spioncino dell’ingresso di casa: chi può essere stato a farlo, e che significato ha? L’uomo cancella la croce, ma il giorno seguente, e poi quello ancora successivo, il segno ricompare implacabile. Il mistero s’infittisce quando al residente viene imposto uno scambio: qualcuno prenderà il suo posto, e lui dovrà giocoforza trasferirsi. Ma cambiando abitazione sarà costretto a cambiare anche identità: tutte le cose dentro l’appartamento, infatti, dovranno a loro volta scegliere. O fuggiranno insieme a lui, oppure passeranno a un nuovo proprietario – macchiandosi di alto tradimento. Perché ogni oggetto amato ha un’anima, e dunque una sua volontà.
Da sempre le case, nella storia della letteratura così come nella vita, sono il luogo dove gli avvenimenti più banali si mescolano a quelli fatidici. L’abitazione al centro di Locus desperatus, però, assomiglia alla Hill House immaginata da Shirley Jackson, o alla Casa Usher di Poe: un’entità senziente, con un suo carattere ben preciso. Un luogo dove l’inconscio di chi ci abita, dopo una lunga frequentazione, è divenuto tutt’uno con i libri, le stampe, gli oggetti e i ricordi d’infanzia.
L’autore di Verderame e di Leggenda privata ci consegna una stramba discesa agli inferi e insieme una spietata tassonomia dei ricordi. Un romanzo tormentato e divertente sul senso ultimo che diamo agli oggetti: «Senza le mie cose io non sarei stato più io, e senza di me loro non sarebbero state più loro».

Federica Manzon scrive un romanzo dove l’identità, la memoria e la Storia – personale, familiare, dei Paesi – si cercano e si sfuggono continuamente, facendo di Trieste un punto di vista da cui guardare i nostri difficili tentativi di capire chi siamo e dov’è la nostra casa.

Tre giorni dura il ritorno a Trieste di Alma, che dalla città è fuggita per rifarsi una vita lontano, e ora è tornata per raccogliere l’imprevista eredità di suo padre. Un uomo senza radici che odiava il culto del passato e i suoi lasciti, un padre pieno di fascino ma sfuggente, che andava e veniva al di là del confine, senza che si potesse sapere che lavoro facesse là nell’isola, all’ombra del maresciallo Tito “occhi di vipera”. A Trieste Alma ritrova una mappa dimenticata della sua vita. Ritrova la bella casa nel viale dei platani, dove ha trascorso l’infanzia grazie ai nonni materni, custodi della tradizione mitteleuropea, dei caffè colti e mondani, distante anni luce dal disordine chiassoso di casa sua, “dove le persone entravano e se ne andavano, e pareva che i vestiti non fossero mai stati tolti dalle valigie”. Ritrova la casa sul Carso, dove si sono trasferiti all’improvviso e dove è arrivato Vili, figlio di due intellettuali di Belgrado amici di suo padre. Vili che da un giorno all’altro è entrato nella sua vita cancellando definitivamente l’Austriaungheria. Adesso è proprio dalle mani di Vili, che è stato “un fratello, un amico, un antagonista”, che Alma deve ricevere l’eredità del padre. Ma Vili è l’ultima persona che vorrebbe rivedere. I tre giorni culminanti con la Pasqua ortodossa diventano così lo spartiacque tra ciò che è stato e non potrà più tornare – l’infanzia, la libertà, la Jugoslavia del padre, l’aria seducente respirata all’ombra del confine – e quello che sarà.

Per trovare le prime tracce di graffiti dobbiamo risalire ben oltre le grotte di Lascaux o le incisioni di Pompei: le prime manifestazioni di espressione grafica sui muri risalgono infatti alla preistoria. Tuttavia, è corretto affermare che il graffitismo come fenomeno a sé stante, con una propria cultura e identità, nasce negli anni ’70 del Novecento nei quartieri emarginati di Filadelfia e New York.

In quel contesto, i graffiti rappresentavano uno strumento di ribellione contro l’emarginazione e l’oppressione, un modo per reclamare uno spazio urbano che negava voce e identità ai giovani. I tag, firme semplici e ripetitive, erano un modo per marcare il territorio e affermare la propria presenza, mentre i murales più elaborati potevano veicolare messaggi politici e sociali.

Negli anni ’80, il graffitismo esplode e si diffonde in tutto il mondo, diventando un fenomeno globale. Nascono nuovi stili, tecniche e filoni, come il writing, incentrato sulla lettera stilizzata, e il popping, che utilizza immagini più figurative.
Nonostante la repressione da parte delle autorità e la crescente commercializzazione, il graffitismo non ha perso la sua forza espressiva. Ancora oggi, rappresenta un modo per dare voce a chi non ne ha, per denunciare ingiustizie e per riappropriarsi degli spazi pubblici. Il libro esplora questo contesto, portandoci dentro il mondo dei writer, tra l’adrenalina delle azioni notturne e la riflessione sul significato profondo di questa forma d’arte.

È interessante notare come la street art, nata da un contesto di marginalità, sia stata in parte assorbita dal sistema, diventando oggetto di gallerie d’arte, pubblicità e speculazione immobiliare. Tuttavia, lo spirito clandestino delle origini non è completamente scomparso: molti writer continuano a esprimere la loro arte in maniera illegale, rivendicando il diritto di lasciare un segno in una società omologante. In definitiva, il graffitismo rappresenta una realtà complessa e sfaccettata, che sfida definizioni e categorizzazioni. È un fenomeno in continua evoluzione, che si intreccia con la storia sociale e politica del nostro tempo, e che continua a interrogarci sul ruolo dell’arte e sulla sua relazione con lo spazio pubblico.

Tra giugno e luglio si svolgerà il tradizionale tour letterario con gli autori finalisti, che farà tappa in diverse località italiane: un’iniziativa nata nel 2006. Tra le città finora confermate: Roma, Torino, Civitavecchia, Tivoli, Teramo, Milano, Udine, Cornuda, Gallipoli, Brindisi, Bisceglie, Folgaria, Asiago, Cortina, Jesolo, Lido di Venezia.

Gli eventi conclusivi della 62esima edizione si svolgeranno a Venezia e prevedono: venerdì 20 settembre la proclamazione del vincitore del Campiello Giovani in un evento dedicato al Teatro Goldoni a Venezia, realizzato grazie al supporto di Intesa Sanpaolo, partner esclusivo del Campiello Giovani; la mattina di sabato 21 settembre la conferenza stampa conclusiva del Premio Campiello, infine la sera di sabato 21 settembre la finale del Premio Campiello 2024 al Teatro La Fenice con l’annuncio del vincitore scelto dalla Giuria dei trecento lettori anonimi.