INCIPIT
Quando finalmente arriviamo con la nostra macchina americana, una Chevrolet marrone scuro, cioccolato si potrebbe dire, il sole batte impietoso sulla città di provincia, ha divorato quasi del tutto le ombre delle case e degli alberi, è a mezzogiorno che arriviamo, allunghiamo il collo per vedere se c’è ancora tutto, se tutto è rimasto come l’estate scorsa e gli altri anni prima. Arriviamo, scivoliamo come sull’acqua lungo la strada bordata di pioppi maestosi, il viale che annuncia la cittadina, e non ho mai detto a nessuno che questi alberi protesi verso il cielo mi mettono in uno stato inebriante, uno stato che mi proietta nel vortice Matteo (la vertigine in cui cado quando io e Matteo giriamo in cerchio ancora e ancora, sulla radura più bella del bosco del paese, intimi, la sua fronte sulla mia, poi la lingua di Matteo, di una freschezza singolare, i peli neri del suo corpo che aderiscono alla pelle, totalmente votati alla sua bellezza chiara). Mentre passiamo davanti ai pioppi il loro tremulo luccichio mi fa perdere la ragione, la nostra nave color cioccolato scivola da un albero all’altro senza rumore, nel mezzo l’aria della pianura che diventa visibile, io riesco a vederla, l’aria, che adesso è immobile perché il sole non ha pietà, mio padre dice, rivolto al condizionatore, che è sempre tutto identico, e aggiunge a bassa voce che non è cambiato niente, niente.
Melinda Nadj Abonji