Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Il canto del profeta

INCIPIT

1.

La sera è scesa e lei non ha sentito bussare, in piedi davanti alla finestra a guardare in giardino. A guardare come l’oscurità avviluppa in silenzio i ciliegi, come raccoglie le ultime foglie che cedono al buio, accettandolo con un sussurro. Ora è stanca, la giornata ormai quasi alle spalle, tutte le faccende da sbrigare prima di andare a letto e i bambini tranquilli in soggiorno, questa sensazione di momentaneo riposo davanti al vetro. A guardare il giardino sempre più nero e a desiderare di essere tutt’unocon quel buio, di uscire fuori e adagiarsi in esso, adagiarsi insieme alle foglie cadute e lasciare che la notte le passi
sopra, per poi svegliarsi all’alba come nuova allo spuntare del mattino. Ma hanno bussato. Li sente arrivare nel pensiero, quei colpi netti, insistenti, ognuno vibrato così intensamente da farle corrugare la fronte. Poi si accorge che anche Bailey sta picchiando sulla porta a vetri della cucina e grida, mamma, indicando l’ingresso senza staccare gli occhi dallo schermo. Eilish sente il suo corpo muoversi verso l’ingresso con il piccolo in braccio. Apre la porta e vede due uomini dietro il vetro della veranda, due forme senza volto nel buio. Accende la luce esterna e gli uomini si rivelano all’istante per come sono, lì in piedi, l’aria fredda della sera pare sospirare mentre lei fa scorrere la porta, il silenzio del quartiere, la pioggia che cade quasi senza rumore su St Laurence Street, sulla macchina nera parcheggiata davanti casa. Quegli uomini sembrano portarsi addosso gli umori della sera. Lei li osserva dall’interno del proprio nido, mentre quello più giovane, sulla sinistra, le chiede se suo marito è in casa, e c’è qualcosa nel modo in cui la fissa, in quello sguardo distante ma inquisitorio, che dà l’impressione di voler afferrare qualcosa dentro di lei. In un battito di ciglia Eilish ha controllato la via in entrambe le direzioni, ha visto una figura isolata passeggiare con il cane sotto un ombrello, i salici che annuiscono sotto la pioggia, il chiarore colorato dello schermo di un televisore nella casa degli Zajac dall’altra parte della strada. Allora si dà un contegno, quasi ridendo, per liberarsi di quel riflesso di colpevolezza universale che coglie chiunque quando la polizia bussa alla porta. Ben comincia ad agitarsi tra le sue braccia e l’uomo in borghese, quello più anziano, sulla destra, inizia a osservare il bambino; la sua espressione sembra ammorbidirsi, così Eilish decide di rivolgersi a lui. Sa che anche quell’uomo è un padre, certe cose si capiscono al volo, l’altro è troppo giovane, troppo ordinato, le ossa dure, e allora Eilish comincia a parlare, percependo l’improvvisa incertezza che le incrina la voce. Sarà a casa tra poco, tra un’oretta, volete che gli faccia uno squillo? No, non è necessario, signora Stack, quando arriva, le dispiacerebbe dirgli di chiamarci appena possibile? Ecco
il mio biglietto. La prego, mi chiami Eilish, si tratta di qualcosa in cui posso esservi d’aiuto? No, temo proprio di no, signora Stack, la questione riguarda suo marito. L’uomo più anziano ora sorride apertamente al piccolo e lei gli osserva per un attimo le rughe attorno alla bocca, è un volto spento dalla solennità, un volto sbagliato per il mestiere che fa. Non c’è niente di cui preoccuparsi, signora Stack. Perché mai dovrei preoccuparmi? Infatti, signora Stack, beh, non vogliamo rubarle altro tempo e poi, mi creda, ne abbiamo abbastanza di prendere l’umidità stasera, ci vorrà un bel po’ per asciugarci con il riscaldamento dell’auto. Eilish fa scorrere indietro la porta della veranda tenendo il biglietto in mano, osservando i due che tornano in macchina, poi la macchina che si allontana lungo la strada, e quando frena all’incrocio le luci posteriori s’intensificano assumendo l’aspetto di due occhi accesi. Eilish lancia un’ultima occhiata alla strada, tornata alla tranquillità serale, poi rientra nel calore dell’ingresso, si ferma un attimo a leggere il biglietto da visita e si rende conto che stava trattenendo il fiato. È come se qualcosa fosse entrato in casa con lei, vorrebbe mettere giù il piccolo, rimanere in piedi a riflettere, perché quella sensazione era lì con i due uomini ed è entrata in casa di sua volontà, qualcosa di informe eppure chiaramente riconoscibile. La avverte ancora che le scivola di fianco quando lei entra in soggiorno e passa accanto ai bambini. Molly tiene il telecomando sopra la testa di Bailey, che agita le mani in aria e le rivolge un’occhiata implorante. Mamma, dille di rimettere il mio programma. Eilish si tira dietro la porta della cucina e sistema il piccolo nel dondolo, fa per togliere il portatile e l’ agenda dal tavolo, ma poi si ferma e chiude un attimo gli occhi. Quella sensazione che è entrata in casa e l’ha seguita. Guarda il telefono e lo prende in mano, esitante, manda un messaggio a Larry, si ritrova un’altra volta a guardare fuori dalla finestra. Il giardino sempre più nero, ormai non più così desiderabile, perché qualcosa di quel buio è scivolato dentro casa.

Paul Lynch

Recensione