INCIPIT
Marianna giaceva sul parquet della camera da letto che era stata di sua nonna Margherita, in una vecchia casa nel centro di Porretta Terme, che aveva recentemente ristrutturato e usava come pied à terre nei suoi frequenti spostamenti sull’Appennino. Le ante dell’armadio in legno di ciliegio, sormontato da un fregio intagliato a motivi liberty, erano spalancate, diversi capi di vestiario erano appoggiati sulla spalliera del letto e sulla poltroncina nell’angolo, il vestito rosso era disteso sul letto. La porta del bagno attiguo era aperta e gli schizzi d’acqua sul pavimento, la biancheria e gli asciugamani appallottolati, lo specchio ancora appannato testimoniavano che la donna si era appena fatta una doccia. Il suo aggressore l’aveva sorpresa avvolta in un grande telo bianco, coi capelli bagnati, completamente indifesa e ignara del pericolo. L’appartamento era deserto, l’assassino, dopo aver sferrato il colpo, si era defilato veloce dalla porta lasciata socchiusa; sul pianerottolo, lungo le scale non aveva incontrato nessuno, era uscito in strada e se n’era andato, a piedi, in auto, in motorino o con qualsiasi altro mezzo. Intanto il corpo di Marianna si dissanguava macchiando irrimediabilmente il parquet. Erano le tre: nessuno sapeva cos’era accaduto, salvo l’omicida, ovviamente. Sul comodino, dal cellulare iniziò a diffondersi una melodia e sul display comparve il nome Nicola. Nessuno rispose: con un ferro da calza conficcato nella schiena Marianna era impegnata a esalare i suoi ultimi respiri.
Trentadue anni, laureata in filosofia, Marianna Maffucci lavorava presso la sede bolognese di Amnesty International ed era fidanzata con Nicola Baroncini, informatico, impiegato all’aeroporto Guglielmo Marconi. Gran bella donna, ambiziosa, volitiva, aveva abbandonato senza rimpianti la cittadina termale dove era nata e si era trasferita nel capoluogo fin dai tempi dell’università. Qui le opportunità di conoscere persone interessanti, trovare un lavoro all’altezza delle sue aspettative e far carriera erano indubbiamente maggiori, senza contare che a Marianna piaceva la vita cittadina, le strade piene di gente, le vetrine dei negozi, le luci, il traffico. Ma a Porretta era sempre tornata volentieri: finché c’era stata la nonna, era stato un appuntamento fisso; poi la nonna era morta e aveva lasciato a lei la casa, e dunque, perché non approfittarne? Era un posto carino dove passare un paio di giorni, non di più, perché in ogni caso il relax offerto dalla località appenninica la stufava presto. Il motivo che l’aveva portata lì quel giorno, però, non aveva niente a che fare con un tranquillo week end montano: si trovava a Porretta per un convegno dedicato ai fatti di Genova del luglio 2001, ovvero alla “più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale”, come proprio Amnesty International li aveva definiti. Felix Osabuohien, un giovane e talentuoso fotografo di madre italiana e padre nigeriano, e Saverio Giorgianni, giornalista di QN, avevano partecipato alle giornate genovesi per realizzare un reportage ma si erano ritrovati coinvolti nel caos che aveva sconvolto la città e ne avevano buscate entrambi.
Marisa Salabelle