INCIPIT
1.
Il doppio cono di luce fendette l’oscurità rimbalzando sullo sterrato umido. L’automobile si arrestò.
Una debole nebbiolina a banchi radi fluttuava bassa sul terreno erboso e infondeva una sensazione d’opacità.
Un rumore alternante, sordo e cupo.
Qualcosa si stava muovendo.
Gaia si guardò in giro ma non vide anima viva. La luce tangenziale dei fari illuminò la fitta erbaccia che si perdeva nel buio.
Fissò la strana costruzione cilindrica. Notò subito dei rampicanti che si inerpicavano appena alla base, come una rada barba su un collo.
Scese dall’auto, impugnò una torcia e si avvicinò. L’atmosfera attorno era piuttosto opprimente.
Guardò bene l’edificio. Si trattava di un mastodontico mulino – sembrava uno di quei mulini a vento olandesi delle cartoline – ed era in funzione. Il fascio di luce rischiarò le enormi pale bianche che roteavano vorticosamente.
Gaia osservò perplessa l’immobilità della nebbiolina sospesa a strati che contrastava con quel movimento.
Si avvicinò alla porta di metallo, cercando di entrare.
Era solida e chiusa. Sopra c’erano una scritta che non riuscì a leggere, una meridiana e il disegno di una rosa dei
venti.
Fece qualche passo indietro e si spostò di lato. Puntò con insistenza a zigzag la torcia verso le pale in alto. A sinistra
c’era una finestra con un vetro, che rifletté per un istante la luce.
A destra invece qualcosa di voluminoso sporgeva sospeso nel vuoto. Gaia si avvicinò verso quello che sembrava una specie di manichino, con il tronco e le braccia penzoloni, una figura grottesca, quasi ridicola.
Le pale roteavano lasciando vedere lo spazio delle finestre a intermittenza.
Si avvicinò ancora.
Un brivido partì dall’occipite e si scaricò lungo la schiena fino alla punta dei piedi.
Era un corpo decapitato.
La carne del collo non era stata tranciata di netto ma strappata con la testa. Dal collo sfilacciato spuntavano come due tubi biancastri di lato e una specie di condotto più ampio al centro. Senza poter pensare, Gaia capì che si trattava delle carotidi e della trachea.
Brandelli di tessuto flaccido e di cute frastagliata penzolavano da quel corpo. Lungo il muro sottostante e sul bordo di una pala erano visibili delle colature rosso-scure, evidentemente il sangue ormai rappreso pompato per qualche secondo dalla forza di contrazione del cuore, prima che tutto finisse.
Istintivamente Gaia abbassò la torcia.
A terra, due occhi vitrei in una ben nota testa da elfo, la guardavano terrorizzati.
Paolo Mazzarello