Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Il pozzo delle bambole

INCIPIT

Gli esclusi

Cosa c’era nel buio da far tanto spavento?
La notte era un coro di sospiri, lamenti, singhiozzi soffocati nel cuscino.
Iniziavano allo spegnere della luce. Il tempo di sentire i passi e il tintinnio delle chiavi di suor Ortensia che si allontanava dopo l’ispezione e subito, dall’angolo dove dormivano le più piccole e quelle arrivate per ultime, saliva il piagnisteo.
Una sera dopo l’altra il mormorio di dolore e mancanza si condensava sui letti fino a quando le pareti della camerata non lo contenevano più; allora sciamava nei corridoi per unirsi ai gemiti dei maschi, perché mica è vero che loro non piangono, e si trasformava in una foschia densa, gonfia di lacrime. È il buio, il regno della mancanza.
C’era da farsi il cuore duro per non esserne schiacciati.
Ma dove andava a nascondersi, poi, la nube? Alle prime luci del giorno già non c’era più. Non ne restava traccia nelle stanze, nei bagni, lungo le scale che salivano ai dormitori o scendevano al piano terra dove stavano le lavanderie e i magazzini, o ancora più sotto, nei cunicoli senza finestre dove solo la superiora e pochi altri potevano andare. No, non era possibile che arrivasse laggiù, perché erano budelli ciechi, senza sbocchi all’esterno. Forse la dolenza s’infilava sotto il portone, da dove d’inverno entravano certi spifferi che gelavano la carne; oppure sfuggiva attraverso le sbarre di ferro delle finestre per disperdersi fra la città e la conca nel cuore dei monti circostanti.
Nina non capiva il perché di tanto frignare, cos’avessero da piangere bambine e bambini quando si faceva buio, alcuni persino più grandi di lei. Sapeva solo che le disturbavano il sonno e le lasciavano un magone inspiegabile che al risveglio si trasformava in una smania difficile da sfogare. Delle volte, per non scoppiare, si chiudeva nei bagni o scappava nel punto più lontano del cortile e si metteva a strillare finché aveva voce.
«Cos’hanno da lamentarsi?» aveva chiesto a suor Immacolata, l’unica che avesse tempo da sprecare coi bambini.
«Gli manca la mamma» le aveva risposto, «la casa, la vita di prima. Cose che tu non sai».
No, lei non sapeva niente di questi fatti. Erano parte del panorama oltre l’edificio. Case e casette: molte normali; alcune brutte o diroccate; pochissime splendenti e con un giardino delimitato da un’inferriata dipinta, un po’ discoste dal centro, in zone dove le strade non avevano buche e gli alberi luccicavano d’un verde diverso, come fossero stati appena piantati. Là dentro la gente viveva in piccoli gruppi; mica come loro che erano più di sessanta fra ragazzi e suore. Però l’orfanatrofio era uno dei caseggiati più grandi della città, era normale ci abitassero in tanti.

Simona Baldelli

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