(..) così vigliacca da rinunciare alla felicità per paura di perderla. Perché questo era il destino di chi proveniva dal pozzo delle bambole: si convinceva di non valere niente, di non avere diritto alla bellezza .

Il pozzo delle bambole, pag.332

Il pozzo delle bambole, di Simona Baldelli, Sellerio editore 2023, pp.420

Il nuovo romanzo di Simona Baldelli è un romanzo sociale e politico che racconta un’Italia in via di trasformazione, nel periodo storico che va dal primo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta. Lo fa attraverso diverse figure femminili: le orfane e le trovatelle, le suore che le accudiscono, le operaie, e soprattutto grazie ad una figura femminile indimenticabile, Nina. Figura che colpisce singolarmente, per la sua forza, per la sua resilienza, ma anche come emblema di diversi sottoinsiemi – per usare una parola cara a Nina -: le bambine e i bambini che con lei hanno condiviso un destino di abbandonati; le bambine e i bambini privati non solo dell’affetto ma anche di sogni e speranze; le bambine divenute donne in fretta, portandosi dietro un senso di esclusione e di spaesamento, quel sentirsi periferici a tutto, alla gioventù spensierata, ai sogni, alle opportunità, all’amore; le donne combattive della Manifattura, pronte al sacrificio per difendere il lavoro e la dignità; le amiche unite dalla solidarietà e dall’affetto.

Personalmente amo molto lo stile e le trame di Simona Baldelli, fin dal suo romanzo d’esordio, Evelina e le fate; le sue protagoniste – come non citare Alfonsina di Alfonsina e la strada , Clelia/Amalia di Vicolo dell’immaginario – non raccontano solo (ma già basterebbe quello!) storie personali, si fanno specchio di un periodo storico, dei cambiamenti all’interno della società civile.
E anche ne Il pozzo delle bambole le figure femminili sono di grande spessore, e le incontriamo in un’opera molto coinvolgente, che racchiude in sé molti romanzi e molte tematiche. La vita di Nina e delle altre piccole protagoniste sono una storia di crescita e di formazione, vissuta in un istituto in cui anziché trovare conforto, si è sottoposti a punizioni e umiliazioni, un luogo che assomiglia molto ad una prigione; bambine recluse tra camerate e cucine, in cui appena si supera la soglia della prima infanzia si viene messe al lavoro, in cui studiare non è un’opzione – al massimo si viene avviati a lavori manuali.
Un romanzo che si delinea come un affresco storico sul dopoguerra, in un Paese che corre a due velocità: il nord dove il boom economico va di pari passo con la crescita industriale, il resto della nazione che arranca. Le piazze in cui si svolgono le proteste degli studenti e dei lavoratori; le occupazioni, le cariche della polizia. Un racconto di fabbrica e di lotte sindacali, un percorso di autoaffermazione al femminile, in cui proprio attraverso la lotta in difesa di lavoro e diritti, si assumono consapevolezze personali e di classe, per affermare il diritto alla dignità del lavoro e alla libertà. Una storia di emancipazione femminile: le operaie, viste come donnacce perché passano molto tempo fuori casa, perché fumano, perché guadagnano… vogliono ottenere rispetto.

E Nina che si affaccia alla vita conoscendo subito il dolore. Viene abbandonata in un orfanotrofio, dove condivide il destino con altre decine di bambine e bambini, rigorosamente tenuti separati dalle suore: maschi da una parte, femmine dall’altra. Le suore fanno la cresta sul vitto e le elemosine, il confine fra disciplina e oppressione è molto sottile e le punizioni corporali e psicologiche sono parte integrante del sistema di educazione. E’ già in questi primi anni di vita che Nina sperimenta uno status per cui ancora non ha le parole per definirlo, le imparerà più avanti, quando potrà dare un nome alla sua condizione. Una condizione di esclusione: dagli affetti e dal calore di una casa (è stata abbandonata dalla madre), dalla nutrizione (le suore vanno al risparmio), dalla possibilità di studiare (non ne vale la pena, tanto al massimo faranno le serve), ma soprattutto dalla felicità e dai sogni. Una prigione fisica (le porte sbarrate, le uscite sotto sorveglianza, le regole assurde, le punizioni) e, soprattutto, mentale, un senso di spaesamento, di inferiorità (lei che nella gerarchia tra orfani e trovatelli – i figli del peccato – appartiene alla seconda categoria, quella dei rifiutati), di inadeguatezza, un sentirsi inutili che toglie la dignità, l’essere uno fra tanti, del cui destino non importa molto a nessuno. Sentirsi trasparenti, difettosi. Una sensazione che rimane incollata addosso per sempre, che autoesclude dall’aspirare alla felicità.

La vita era una porta girevole e, se imboccavi il lato storto, non c’era modo di raddrizzarla.

Il pozzo delle bambole, pag. 220

Se già la vita nell’istituto è dura, ancora di più lo è l’esposizione: ogni anno, al principio dell’estate, i cancelli dell’istituto vengono aperti alle coppie che vorrebbero adottare. Bambine e bambini vengono messi in mostra con abiti puliti, ben pettinati, vengono scattate delle foto per una specie di catalogo che viene mostrato alle coppie. Da quel mazzo di volti verranno scelti solo in pochi per un colloquio privato, e poi, pochissimi, saranno adottati. Per tutti gli altri questa esperienza non sarà altro che l’ennesimo rifiuto, l’ennesima occasione per sentirsi trasparenti, indesiderati.

“Non è giusto” mormorò. La frase voleva significare molte cose: la mancanza di equità nel trattamento di orfani e trovatelli; la mortificazione di quell’inutile mostrarsi alle coppie che venivano a scegliere bambini come fossero soprammobili; la sensazione di sentirsi di peso, un fastidio difficile da sopportare; (..) le passeggiate della domenica pomeriggio, in fila per due sotto gli occhi falsamente compassionevoli della gente.

Il pozzo delle bambole, pag. 93

Quando Nina compie sette anni, arriva Lucia; rimasta orfana, fatica ad adattarsi alla vita dell’istituto e, scemata la pietà dei primi giorni, le suore la trattano al pari degli altri. Suor Immacolata – la più umana – l’affida a Nina, che si sente in dovere di difenderla e Lucia le si incolla come un’ombra. Per la prima volta Nina si sente importante, sente il privilegio di essere stata scelta come amica da Lucia e per lei, per la sua felicità, è disposta a qualsiasi rinuncia, che sia la parte nella recita, o persino la possibilità di essere adottata. Lucia che era stata per lei un momento di felicità, si rivelerà la più cocente delle delusioni; eppure, ciò nonostante, crescendo e maturando, riusciranno a ritrovarsi.

Coloro che vivono nell’istituto sono praticamente tagliati fuori dal mondo; a parte i maschi a cui è consentito ascoltare alla radio le cronache delle partite di calcio, non hanno possibilità di sapere cosa succede fuori: la nascita della televisione, il discorso rivoluzionario di un reverendo nero, l’assassinio di J.F. Kennedy, dighe che straripano e trascinano a valle migliaia di corpi, la morte del Papa buono. Tutto questo arriva in ritardo e come un’eco lontana. Quando a diciott’anni Nina esce dal brefotrofio trova davanti a sé un continente inesplorato.

Si era immaginata di trovare chissà che fuori dal collegio e invece non era cambiato niente. Si lasciava portare dalla corrente, dal suono della sveglia, la sirena della Manifattura, il ritorno a casa. Un rosario di giorni uguali.

Il pozzo delle bambole, pag. 263

L’amicizia con Marcella (più grande di lei), nata all’interno dell’istituto, si rivela ben salda. Si ritrovano una volta che Nina lascia il brefotrofio e Marcella la farà assumere come tabacchina alla Manifattura. Sebbene abbia ricevuto molte delusioni, Marcella non ha perso il suo ottimismo e la sua combattività: infatti, sarà in prima linea durante lo sciopero delle tabacchine per difendere i posti di lavoro ed evitare la delocalizzazione (Baldelli si rifà a fatti realmente accaduti, come apprendiamo dalla sua nota).

Le tabacchine

La vita di Nina sembra iniziare da capo: all’interno della fabbrica fa nuove amicizie, con loro partecipa a manifestazioni e scioperi e alla storica occupazione del grande tabacchificio di Lanciano, nel maggio del 1968, durata per ben quaranta giorni. E’ proprio durante quei giorni di lotta che Nina acquisisce nuove consapevolezze, di sé e della giustezza delle rivendicazioni. Le vicende private e sentimentali delle ragazze si mescolano a quelle pubbliche, tutto attorno l’Italia cambia, pare lasciarsi indietro l’oscurità del passato: un nuovo inizio aspetta Nina.

Le parole davano forma alle cose. Senza di loro non esisteva neppure la fantasia perché era impossibile immaginare ciò che non aveva un nome.

Il pozzo delle bambole, pag. 81

Qui potete leggere l’incipit.

Simona Baldelli è nata a Pesaro e vive a Roma. Il suo primo romanzo, Evelina e le fate (2013), è stato finalista al Premio Italo Calvino e vincitore del Premio Letterario John Fante 2013. Il tempo bambino (2014) è stato finalista al Premio Letterario Città di Gubbio. Nel 2016 ha pubblicato La vita a rovescio (Premio Caffè Corretto-Città di Cave 2017), ispirato alla storia vera di Caterina Vizzani (1735) – una donna che per otto anni vestì abiti da uomo – e nel 2018 L’ultimo spartito di Rossini. Con Sellerio ha pubblicato Vicolo dell’Immaginario (2019), Fiaba di Natale. Il sorprendente viaggio dell’Uomo dell’aria (2020), Alfonsina e la strada (2021) e Il pozzo delle bambole (2023).