Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Il tempo dell’ipocrisia

INCIPIT

La distanza tra le due porte è all’incirca di dieci metri. La percorre esattamente in venti passi. Da due ore, gli stessi venti passi, da una porta all’altra, e ogni volta che si gira fissa gli occhi sulla parete di fronte. Il mio sguardo è inchiodato sui suoi passi. Poco oltre, Mània e Uli parlottano a bassa voce. Li avvicinerei volentieri, per tenere sotto controllo l’ansia con un po’ di conversazione, ma mi si sono paralizzate le gambe e non riesco ad alzarmi dalla sedia. L’unica parte del mio corpo che posso muovere sono gli occhi, che seguono come calamitati i suoi passi. Zisis, che è venuto con noi, si è dileguato. All’improvviso interrompe l’andirivieni, si volta e mi si avvicina: “Ci stanno mettendo troppo. Sono passate due ore,” dice, inquieta.

“Impossibile,” interviene Mània, che l’ha sentita parlare. “È passata esattamente un’ora e tre quarti. Ho guardato l’orologio quando sono venuti a prenderla.

“Dici che le fanno il cesareo?” mi domanda.

“Perché dovrebbero farle il cesareo?” chiedo a mia volta.

“Qualsiasi cosa le facciano, Fanis è al suo fianco,” ci tranquillizza Mània. La conversazione si interrompe all’arrivo di Zisis, che si presenta con un mazzo di rose rosse.

“Bravo. Nessuno aveva pensato di portare dei fiori alla neomamma. Meno male che ci sei tu,” gli dico.

“Le rose sono per il piccolo Lambros o per Caterina?” chiede Mània.

“Per entrambi,” risponde Zisis. Non fa in tempo a continuare perché la porta di sinistra si apre e si affaccia un’infermiera che annuncia: “Venite pure. Auguri al nuovo arrivato e a tutti voi!”

 

Petros Markaris

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