INCIPIT
AL SOLE
Ricordo perfettamente il momento in cui il nonno si innamorò. Per me era già un vecchio bacucco – aveva ormai superati i cinquant’anni – e il suo nuovo, tenero segreto mi travolse con un’ondata di ammirazione mista a gongolamento. Fino ad allora avevo sempre pensato di essere io l’unico problema dei miei nonni. Immaginai che la nonna non si fosse accorta di nulla. Aveva già minacciato di ammazzarlo per molto meno, ad esempio quando sbriciolava il pane a tavola. Io avevo quasi sei anni ed ero esperto di faccende di cuore. Alla scuola materna russa mi ero già innamorato di tre educatrici, una dopo l’altra, ma avevo anche avuto più di un’infatuazione alla volta. Nel condominio di nove piani dove abitavamo prima di emigrare non c’era una ragazza al di sotto dei diciott’anni per la quale non avessi avuto una breve cotta. Quando la nonna notava gli sguardi insistenti con cui seguivo il dondolio delle gonne e delle code di cavallo per strada, mi metteva una mano davanti agli occhi. «È inutile che fissi. Non ne avrai mai una». Come protesta silenziosa contro quella profezia, mi innamorai di una donna che non avevo mai visto. Bastò il nome su un manifesto a colpirmi: Rosa Silberstein. A casa continuai a canticchiare tra me e me le cinque sillabe del suo nome, finché la nonna non ascoltò con più attenzione e non mi ordinò di smetterla subito con le scemenze, ché il periodo era già abbastanza drammatico. Poco dopo arrivammo in Germania come rifugiati del programma di reinsediamento, e il nonno incontrò la sua amata.
Alina Bronsky